Babadook |
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Un film di Jennifer Kent.
Con Essie Davis, Noah Wiseman, Daniel Henshall, Hayley McElhinney, Barbara West (II), Benjamin Winspear, Cathy Adamek, Craig Behenna.
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Titolo originale Babadook.
Horror,
durata 95 min.
- Australia 2014.
- Koch Media
uscita mercoledì 15 luglio 2015.
- VM 14 -
MYMONETRO
Babadook
valutazione media:
3,45
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'horror che c'è in noi!di Ely57Feedback: 910 | altri commenti e recensioni di Ely57 |
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lunedì 27 luglio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Solitamente i film horror hanno trame avulse dai problemi reali delle persone, anzi sono quasi sempre un'evasione forte dalla vita reale, ma questo bel film al contrario, tocca profondamente il nostro essere attraverso la conoscenza e la vicinanza al dolore, di un tipo di dolore quello non risolto, ne elaborato, quel traumatico dolore, dovuto alla perdita del proprio marito-futuro padre, sottratto ad un progetto di famiglia, progetto che viene annientato proprio nel giorno della nascita del figlio Samuel, nel giorno- incipit della costruzione di una famiglia contemporanea tipo. La bravissima sceneggiatrice-regista Jennifer Kent, ci fa conoscere la doppia declinazione del dolore, da parte dei due protagonisti, madre e figlio, in particolare quando esso è conseguenza di una grave perdita e lo fa attraverso due visioni che hanno percorsi ed intrecci a volte simmetrici ed a volte crescenti-decrescenti. Nella prima parte del film, il bambino è insopportabile,simboleggiando cosí l'istinto allo stato puro, al dolore reagisce con paure, disturbi di personalità ed aggressività sotto gli occhi di una madre che parrebbe tranquilla, affettuosa col figlio ma giovane vedova ieratica e monoespressiva. Nel passare dei giorni si ha un crescere di disperazione sotto la maschera che da adulti tutti adottiamo, quando tra la facciata pubblica della donna occupata tra casa e lavoro, si ha dentro un dolore immane che è rimosso e non affrontato e che sotto-sotto di giorno in giorno, cresce. Ed è a questo punto che il dolore della madre che non ha potuto continuare ad essere moglie, si trasforma in disperazione-delirio e in questo loop incontrollato, la mente umana a cui basta un qualsiasi parafulmine, in questo caso il Babadook, personaggio materializzato dal cervello, suggerito dal bimbo addolorato, essendo la favola, non a caso, da lui prediletta e anche dalla sua mente scelta, esso il dolore Babadook entra in scena ed Amelia inizia a conviverne la presenza, sino a proiettarne l'agognata sembianza del marito. Ció le permette di scaricare la tensione delirante accumulata, arrivando ad intrecciare, nel crescere delle allucinazioni, il decrescere delle paure di Samuel che dovrà anche difendersi da una madre a tratti una Medea contemporanea. Ed è in questi concitati momenti che per alcuni secondi il film tratta in una maniera molto realistica, sociale e psicologica, una problematica, purtroppo in crescita come casistica nella nostra attuale società portatrice di solitudini familiari nei mononuclei madre-figli ed è l'analogia agli orribili fatti di cronaca di madri che uccidono i figli. Sono anche presenti, come triste corollario alcuni oggetti simboli antropologici che segnano la nostra vita contemporanea e vanno dal vibratore per la solitudine notturna della madre, agli psicofarmaci per bambini utilizzati quando non sai che pesci pigliare! Amelia la protagonista, nella seconda parte del film viene interpretata da una straordinaria Essie Davis che a questo punto affronta il durissimo percorso dolore-delirio-schizofrenia con sdoppiamento di personalità, con una molteplicità di espressioni e timbri di voce che permette allo spettatore un ineguagliabile avvicinamento a quelle ombre-horror che sono dentro a noi esseri umani e che a volte purtroppo si manifestano. Il finale è intelligentemente liberatorio, in quanto cadono tutte quante le tensioni vissute e i due bravissimi protagonisti, guidati dalla presa di coscienza che il dolore-Babadook è qualcosa che purtroppo puoi creare e che puoi conoscere cosí bene che lo puoi anche controllare ed alimentare, convivendoci come possibile configurazione di equilibrio quale via d'uscita per le sofferenze che la vita ci presenta.
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