Titolo originale | Song of my Mother |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Francia, Turchia, Germania |
Durata | 103 minuti |
Regia di | Erol Mintas |
Attori | Feyyaz Duman, Zübeyde Ronahi, Nesrin Cavadzade, Ferit Kaya, Cüneyt Yalaz Incinur Dasdemir, Aziz Çapkurt, Murat Çelik, Zabit Arslan, Selahattin Bulut, Enginay Gültekin, Ibrahim Turgay, Mehmet Unal. |
Uscita | giovedì 24 marzo 2016 |
Distribuzione | Lab 80 Film |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 15 aprile 2016
Diviso tra le due donne della sua vita, Ali dovrà scegliere il proprio cammino.
CONSIGLIATO SÌ
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Alì è un curdo maestro di scuola elementare. Da quando la sua anziana madre Nigar ha dovuto lasciare Tarlabasi, quartiere di Istanbul, "casa" di numerosi rifugiati curdi dal 1990 per lui la vita è diventata complicata. In quel deserto di cemento senza anima che è l'estrema periferia della città dove ora madre e figlio abitano la donna sente di avere perso le proprie radici e non pensa ad altro se non a tornare nel villaggio in cui è nata e a ritrovare l'audiocassetta di una vecchia canzone curda. Per Alì poi c'è un'altra situazione che gli crea problemi: la sua fidanzata è incinta.
Arriva finalmente sui nostri schermi, grazie all'attenta distribuzione di Lab80, un film che ha vinto moltissimi premi in festival internazionali e che offre l'occasione per assistere alla performance di una straordinaria non attrice (Zübeyde Ronah) che ricorda, per aderenza al ruolo, quella di Bruce Dern in Nebraska. Perché Erol Mintas alla sua opera prima è abilissimo nel mostrare la complessità di un rapporto figlio/madre proprio grazie al modo in cui Nigar viene portata sulla scena. È una donna generosa che sprofonda progressivamente in un pensiero fisso non potendosi rendere conto della fatica che carica sulle spalle di un figlio amorevole che, al contempo, non trova in sé la forza per accettare la responsabilità di essere padre. Ma questo è solo il fil rouge più evidente che percorre il film. Perché sotto traccia (ma neanche troppo) vengono sviluppati altri temi. Istanbul qui non è quella di Fatih Akin (problematica ma riconoscibile anche dal più distratto degli spettatori). Non ci sono scorci turistici ma una periferia anonima in cui sul pianerottolo si vanno a cercare vicini che non aprono la porta. Ma soprattutto c'è la difficoltà di essere curdi insieme all'attaccamento alle radici. Il prologo è chiarissimo in materia: ci mostra un insegnante che sa come vivacizzare le lezioni che viene portato via da uomini armati. Quell'insegnante è curdo e siamo nel 1992. La stessa storia che l'uomo stava raccontando ai propri alunni verrà fatta leggere in classe da Alì che insegna non in curdo ma in turco ma con uno spirito diverso e non solo a causa dei suoi problemi familiari.
Il clima si è fatto, se possibile, ancor più pesante per i curdi in Turchia e a ricordarci come si sia di fronte a una democrazia più formale che sostanziale c'è una breve ma significativa scena: il direttore della scuola consegna al maestro una lettera in cui gli si chiedono giustificazioni per aver partecipato a uno sciopero. Non serve altro per capire.
Film delicatissimo per l'esecuzione (un accenno di violenza solo nella scena iniziale, dialoghi gentili e rispettosi, raramente rudi, personaggi e trama commoventi), ma fortissimo nel messaggio che trasmette e cioè le conseguenze sull'individuo della perdita di identità di un popolo imposta da un altro popolo dominante.