Point and Shoot

Film 2014 | Documentario 82 min.

Anno2014
GenereDocumentario
ProduzioneUSA
Durata82 minuti
Regia diMarshall Curry
TagDa vedere 2014
MYmonetro 3,47 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Marshall Curry. Un film Da vedere 2014 Genere Documentario - USA, 2014, durata 82 minuti. - MYmonetro 3,47 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento lunedì 20 ottobre 2014

La storia di un timido ragazzo americano che nel 2006 parte per un viaggio in moto in Nordafrica e Medio Oriente.

Consigliato sì!
3,47/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,43
CONSIGLIATO SÌ
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Cinema
Un documentario di viaggio che è anche cronaca di un rito di passaggio e un eccezionale reportage politico.
Recensione di Raffaella Giancristofaro
Recensione di Raffaella Giancristofaro

Un nerd. Ecco come si potrebbe definire Matt VanDyke. Figlio unico, cresciuto a Baltimora sotto l'ala protettiva di madre e nonna, dedito più ai videogiochi e al cinema d'azione che alla socializzazione. Una passione forte per Lawrence d'Arabia di David Lean e il Medio Oriente, oggetto della sua tesi di laurea e terra per lui incognita. Facendosi coraggio, VanDyke si attrezza all'impresa: compra una motocicletta e una videocamera che monta sul casco, e nel 2006, a 26 anni, parte per l'Africa settentrionale. Percorre in moto circa 55 mila chilometri, attraversando, in tre anni, Marocco, Tunisia, Egitto, Giordania, Siria, Turchia. Con la videocamera sempre accesa e spesso puntata su se stesso. In Iraq non solo impara dai soldati statunitensi a maneggiare le armi, ma si offre come corrispondente embedded per un giornale delle sue parti. Scivolando gradualmente nel personaggio di Max Hunter, suo alter ego coraggioso e votato all'avventura. In viaggio incontra il placido Nuri, pacifista che lo invita e lo fa innamorare del proprio Paese d'origine, la Libia. Poco dopo il rientro di Matt negli Stati Uniti scoppia la primavera araba. Alla notizia delle violenze subite dai suoi amici, torna in Libia per contribuire alla destituzione di Gheddafi, affronta la detenzione per cinque mesi e mezzo e combatte a fianco dei ribelli fino alla fine della guerra e alla caduta del dittatore.
Già nominato all'Oscar per i documentari Street Fight (2006) e If a Tree Falls: A Story of the Earth Liberation Front (2011), Marshall Curry firma quest'originale operazione di editing su centinaia di ore di girato di VanDyke, che nel 2013 gli ha chiesto di riassemblare il materiale in una forma documentaristica. L'intervento non si limita però a selezione e montaggio, ma comprende una robusta intervista di Curry al protagonista e la sovrapposizione delle loro voci over. Questo perché la natura del viaggio di VanDyke è così eccezionale da trascendere il ritratto lineare del "nerd divenuto uomo". È infatti grazie alla forma del doc (inteso come genere cinematografico) che Matt cura e supera il proprio doc (disturbo ossessivo compulsivo) ma la trasformazione non è unilaterale: le immagini forgiano la nuova identità, ma il modo di mettersi in scena determina il film stesso. Certo è che Matt ottiene una nuova indole, contro tutte le apparenze: quella dell'attivista. Ma da figlio occidentale di una società ubriaca d'immagini, è solo quando si vede alla tv che se ne convince. Lateralmente, la sua esperienza ci porta a chiederci se la condizione per passare all'azione sia vedere morte e violenza "dal vero" - e non attraverso i media.
Point and Shoot è fruibile come documentario di viaggio, cronaca di un rito di passaggio e reportage politico accompagnato da una parallela analisi testuale su video non professionali digitali di videocamere e smartphone (con l'unica variazione stilistica dell'animazione 3D della cella libica, ripresa dopo la prigionia). In equilibrio tra la drammaticità di un conflitto in corso e la potenziale ambiguità del protagonista (mosso da necessità di adrenalina o coscienza civile? O da entrambe?), instilla riflessioni - forse maieuticamente suscitate da Curry in VanDyke - sulle motivazioni profonde del girare un documentario, presunzione di "realtà" e percezione di essa. Gioca sulla polisemanticità del titolo ("mira e spara", ma anche "indica e riprendi") per sondare le interazioni tra messa in scena e (de)costruzione identitaria.

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