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Innocenti dalle mani sporche

Melbourne, la società iraniana e il mezzo cinematografico.
di Roy Menarini

In foto l'attrice protagonista del film Melbourne Negar Javaherian.
Negar Javaherian (41 anni) 12 gennaio 1983, Tehran (Iran) - Capricorno. Interpreta Sara nel film di Nima Javidi Melbourne.

domenica 30 novembre 2014 - Approfondimenti

Ci sono alcuni film molto originali ambientati a Melbourne, tra cui Patrick, amatissimo horror degli anni Settanta, o Chopper, piccolo oggetti di culto recente, o ancora Nel paese delle creature selvagge di Spike Jonze. Ma in quella città i protagonisti di Melbourne non li vedremo mai arrivare. È solo la meta di un trasferimento che forse significa anche lasciarsi alle spalle le contraddizioni e le ingiustizie della società iraniana. L'allusione all'Australia, perciò, significa fuga, da una nazione dove le donne hanno "strane idee in testa" come studiare l'inglese o pretendere una autorealizzazione nel lavoro, ma anche ritirata dalle proprie responsabilità.
Il film di Nima Javidi è una piccola lezione di cinema. Qualcuno ricorderà quando il cinema italiano degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta veniva accusato di essere sempre e solo "due camere e una cucina", sinonimo di storie minimaliste, scarsa immaginazione, mezzi pauperistici e autoreferenzialità sociale. La formula ebbe successo, ma in pochi spiegarono che il problema non stava nelle camere e nella cucina, ma in quello che ci facevi succedere dentro, e in come lo potevi raccontare. Il cinema iraniano è quasi leggendario a questo proposito, per come la generazione del "nuovo cinema" (Kiarostami, Makhmalbaf, ecc.) ha sfruttato scenari comuni e piccole case; e per come la nuova generazione - capitanata da Ashgar Farhadi e dal suo kammerspiel Una separazione - ha ripreso le poetiche dei maestri per declinarle secondo modelli formali più internazionali, tesi, vicini alla suspense e al thriller. Melbourne è certamente debitore del cinema di Farhadi, ma è anche così - con imitazioni ed emulazioni - che si sviluppa una cinematografia.
Javidi, come Farhadi, è in grado di sfuggire alle censure grazie a una sottile capacità allegorica. La coppia senza figli, sprovvista delle più elementari regole di custodia di una neonata e per questo motivo puniti oltre misura da un destino crudele, precipita nel panico, e commette - uno dopo l'altro - errori e forzature di colossale ingenuità. Se non fosse per il rischio di non essere creduti e per la certezza di non vivere in una società trasparente, i protagonisti reagirebbero in tutt'altro modo. Quel che invece fanno e dicono, piuttosto che frutto di una inverosimiglianza di sceneggiatura, è la spia di una microsocietà sotto pressione, dove tradizioni famigliari e legislazione quotidiana si legano tra loro in modi non sempre limpidi: non è un caso che il film cominci con un censimento, portato avanti con pertinacia da una graziosa dipendente ministeriale, che tuttavia già insinua il tema del controllo e della mancanza di libertà.
Tornando al "due camere e cucina", bisogna dire che anche a livello di messa in scena Nima Javidi offre ottima prova di sé. Una casa che si sta per lasciare diventa un fortino in cui ci arrocca, anche se il frutto del delitto si trova purtroppo dentro le porte, per quanti nemici siano assiepati fuori. Emergono via via fantasmi di un cinema lontanissimo (Nodo alla gola di Hitchcock per esempio), mentre l'intensificazione delle tecnologie - palmari, computer, Skype, videocitofoni, cordless ecc. - funge da moltiplicatore di immagini e di ritmo, sfidando e aggiornando temi cari, tra gli altri, a Brian De Palma o a Michael Haneke.
Insomma, Melbourne convince e si fa persino invidiare per come registi in stato d'assedio permanente - in attesa di democratizzazioni sempre annunciate e spesso rimandate - trovano modo di raccontare il proprio Paese ibridando modelli poetici differenti e sfruttando con fantasia ogni mezzo che il cinema mette a disposizione, dal montaggio alla scenografia. Non dimentichiamo che uno dei maestri d'un tempo, Jafar Panahi, costretto agli arresti domiciliari, è riuscito a realizzare This Is Not a Film senza muoversi dai propri appartamenti. La casa può diventare il più infinito dei set.

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