Gyeongju

Al funerale di un amico il professor Choi Hyun ricorda gli ultimi momenti trascorsi assieme a Gyeongju, quando scherzavano su un dipinto osceno in una sala da tè. Prima di tornare a Pechino, dove lo aspetta la moglie, decide quindi di sostare a Gyeongju. Si reca alla medesima sala da tè, dove conosce la nuova proprietaria, la giovane e bella Yun-hi.
Un'isola avvolta nel mistero, una deviazione dal cammino sicuro ma forse un po' monotono della vita: da sempre uno spunto stimolante per il racconto cinematografico e non. Zhang Lu, cinese di nascita ma sudcoreano d'adozione, lavora sull'espediente per 145 lunghi minuti, in cui Gyeongju, una delle più antiche città coreane, capitale nel periodo del regno Silla (57 a.C. - 935 d.C.), può brillare in tutto il suo antico splendore. Una città in cui vita e morte si confondono (i verdi e suggestivi tumuli così vicini alle dimore degli abitanti), in cui il tempo sembra seguire un andamento a sé; un museo a cielo aperto che pare quasi mutare aspetto di fronte allo sguardo curioso di Choi.
Il protagonista torna a Gyeongju quasi attratto da una forza invisibile, che trova il suo epicentro nella casa del tè di Arisol, in cui ieri era appeso un quadro osceno e oggi serve il tè una donna bellissima e misteriosa, Yun-hi. L'attrazione tra Choi e Yun-hi è immediatamente percepibile, ma il regista non accelera mai né precorre i tempi, preferendo sorseggiare il momento, come il professore con il raro tè giallo, e gustarsi i surreali quadretti umani che intercorrono. Non ci sono narrazioni principali, mentre se ne aprono e chiudono continuamente di collaterali, in un'iterazione che sa di nonsense, ma soprattutto di Alain Resnais. Naturalmente transitato dalla rilettura di Hong Sang-soo, che è sicuramente l'influenza preponderante di Zhang Lu: suoi i piani fissi ad altezza tavolino con simmetria tra uomo e donna, sue le situazioni assurde ma assurdamente verosimili che si creano durante le bevute collettive, specie quando il professore di provincia cerca di impressionare il blasonato Choi. Quasi un gioco di storytelling, in cui i personaggi sono altrettante pedine intercambiabili (come Yun-hi e la vedova dell'amico), in cui sono gli errori o gli scambi di identità, di cui spesso è vittima Choi, a dettare il passo. E insieme l'occasione per una riflessione sottocutanea sui torti inflitti o subiti tra le popolazioni dell'Estremo Oriente, con il Giappone rappresentato da due turiste curiose e la Cina dalla moglie lontana, costantemente fuoricampo. Uno scrigno magico, difficile da interpretare nella sua totalità, che induce a nuove visioni e ad altrettanti smarrimenti tra i misteri di Gyeongju. 