eugen
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lunedì 15 maggio 2023
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opera decisaamente notevole
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"The Railway Man"(JOnathan Teplitzkiy, dal romanzo autobiografico di Eric Lomax, sceneggiatura di Frank Cotrell Boyce e Andy Paterson, 2013)mostra come un ex-ufficiale inglese, a suo tempo preso prigioniero dai"Japs", dai militari nippnisi, a suo tempo maltratto, obbligato a cistruire la"Ferrovia della morte", nonostante un matriononio che si prospetta felice, abbia sempre terribili incubi relativi alla sua prigionia e soffra di conseguenti alluicnazioni. Alla fine, anche dopo la morte di un su commilitone, suicida, che ha passato le stesse sofferenze, decide di tornare in THailandia, dove finisce per incotrare e sfidare il suo torturatore, risparmiandolo, dopo un duello invero singolare; torneta' poi da "vincitore riconciliato"sul"luodo dle dleitto"con la moglie, riconciliandosi con il suoNemico "di un tempo, Grande film, quesot" The Railway Man", che si basa su una storia vera, sceneggiata in modo intelligente, senza tradire lo sprito dell'opera da cui e'tratto, anzi rispettandolo pienamente, dove la "dialettica drammaturgica"e'sostenuta da due grandi "antagonisti"(Colin Firth e Hiroyki Samada,), ma anche dall'aituante femminile-.
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"The Railway Man"(JOnathan Teplitzkiy, dal romanzo autobiografico di Eric Lomax, sceneggiatura di Frank Cotrell Boyce e Andy Paterson, 2013)mostra come un ex-ufficiale inglese, a suo tempo preso prigioniero dai"Japs", dai militari nippnisi, a suo tempo maltratto, obbligato a cistruire la"Ferrovia della morte", nonostante un matriononio che si prospetta felice, abbia sempre terribili incubi relativi alla sua prigionia e soffra di conseguenti alluicnazioni. Alla fine, anche dopo la morte di un su commilitone, suicida, che ha passato le stesse sofferenze, decide di tornare in THailandia, dove finisce per incotrare e sfidare il suo torturatore, risparmiandolo, dopo un duello invero singolare; torneta' poi da "vincitore riconciliato"sul"luodo dle dleitto"con la moglie, riconciliandosi con il suoNemico "di un tempo, Grande film, quesot" The Railway Man", che si basa su una storia vera, sceneggiata in modo intelligente, senza tradire lo sprito dell'opera da cui e'tratto, anzi rispettandolo pienamente, dove la "dialettica drammaturgica"e'sostenuta da due grandi "antagonisti"(Colin Firth e Hiroyki Samada,), ma anche dall'aituante femminile-.moglie di Firt, Nicole Kidman, da Stefan Skarsgard come "terzo"(rende il pesoanggio dell'altro britannico vitttima a suo tempo del "furore giallo", dell'imperialismo nippponico, non a caso "degno" alleato di nazismo e fascismo), ma anche anche Jeremy Irvine nella parte di Lomax gioane ufficiale prigioniero dei"Japs"e'decisamente convincente. Un film da vedere, che certo non ha le astuzie che puo'avere un "thriller"ma lasicia il sengo bne piu'di questo genere fil film. Scneografia, musiche etc.sono oltremodo curati, per un film che si segnala quale opera particoalmente significativa Eugen
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carloalberto
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lunedì 31 gennaio 2022
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retorico, sentimentale e fazioso
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Un mattone di quasi due ore di Teplitzki. Oltre alla bella fotografia di Garry Phillips e all’interesse che potrebbe suscitare un biopic che traspone cinematograficamente il libro di memorie di un reduce dei campi di prigionia nipponici, Eric Lomax, c’è soltanto la noia, per la lunghezza spasmodica dei tempi in cui si svolge l’azione e l’insofferenza per la solita banale retorica dei buoni sentimenti di cui è intrisa ogni scena.
Il finale, anche se non si fosse letta l’autobiografia di Lomax, è ampiamente prevedibile fin dall’inizio, si legge chiaramente nell’espressione di Colin Firth, che già di per sé ha l’aria del bravo ragazzo e per di più è truccato da timido gentiluomo appassionato di treni e ferrovie, con baffetti e grossi occhiali da intellettuale anni ‘70, un personaggio, insomma, che non farebbe del male nemmeno a una mosca.
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Un mattone di quasi due ore di Teplitzki. Oltre alla bella fotografia di Garry Phillips e all’interesse che potrebbe suscitare un biopic che traspone cinematograficamente il libro di memorie di un reduce dei campi di prigionia nipponici, Eric Lomax, c’è soltanto la noia, per la lunghezza spasmodica dei tempi in cui si svolge l’azione e l’insofferenza per la solita banale retorica dei buoni sentimenti di cui è intrisa ogni scena.
Il finale, anche se non si fosse letta l’autobiografia di Lomax, è ampiamente prevedibile fin dall’inizio, si legge chiaramente nell’espressione di Colin Firth, che già di per sé ha l’aria del bravo ragazzo e per di più è truccato da timido gentiluomo appassionato di treni e ferrovie, con baffetti e grossi occhiali da intellettuale anni ‘70, un personaggio, insomma, che non farebbe del male nemmeno a una mosca.
Nicole Kidman,imbalsamata in un perenne sorrisetto, ora ironico, ora pietoso, fa la bella statuina, la mogliettina apprensiva e preoccupata per le crisi nervose del marito traumatizzato dalle atrocità sofferte durante la prigionia.
Se è comprensibile che Lomax riduca esclusivamente alla sua vicenda personale gli orrori della guerra e del resto di cosa avrebbe dovuto parlare nella sua biografia se non di ciò che ha visto e di quello che ha dovuto subire, non è invece giustificabile Teplitzky. Se si incentra un film sulle crudeltà dell’esercito imperiale giapponese e non si fa il minimo cenno a Hiroshima e Nagasaki ciò denota quanto meno, eufemisticamente, un atteggiamento mentale viziato da partigianeria, che conduce ad una selezione colpevolmente omissiva ed incompleta, per non dire irrealistica, di quanto accaduto nel secondo conflitto mondiale.
L’antefatto sentimentale, quasi da romanzetto rosa, che descrive la nascita della storia d’amore tra Firth e la Kidman è troppo lungo e da introduzione al tema principale finisce per essere un film a sé stante, con un proprio plot ed un suo cast, in cui figura Stellan Skarsgård. Questa prolissità del prologo va a discapito della parte centrale del film, in cui si mostra il lavoro forzato, per costruire la famigerata Ferrovia della morte tra la Thailandia e la Birmania, cui furono sottoposti non soltanto i prigionieri di guerra ma soprattutto gli incolpevoli civili tratti in schiavitù da ogni parte dell’Asia e la povera gente del posto.
L’impresa titanica durata quattro anni e le condizioni estreme di vita dei lavoratori che realizzarono l’opera avrebbero meritato il tono tragico dell’epopea corale e non un film romantico che sfiora il dramma di migliaia di uomini lasciandolo sullo sfondo e trattando, peraltro in modo aneddotico, l’esperienza soggettiva di un solo individuo.
L’epilogo, infine, risulta eccessivamente patetico ed artificiosa ed insistita appare l’esaltazione della magnanimità dello scozzese, cui fa da contrappunto la lacrimevole richiesta di perdono dell’ufficiale giapponese, pentitosi del male fatto e delle torture inflitte alle sue vittime, che si inchina e quasi si genuflette davanti al rappresentante di una coalizione di paesi che a tutt’oggi, americani in testa, ancora devono chiedere scusa per l’orrenda efferata strage di innocenti compiuta Hiroshima.
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giovanni_b_southern
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sabato 15 gennaio 2022
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magnifico
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Visto in grosso ritardo. Purtroppo non al cinema. Magnifico. Semplicemente Magnifico
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gattoquatto
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sabato 16 ottobre 2021
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mal riuscito
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The Railway Man è un film che non mi è piaciuto.
La trama sarebbe interessante e ricca di spunti (una vicenda storica di intensa umanità) e nel cast figurano attori importanti.
Ne deriva però un film convenzionale e superficiale, privo di mordente. Le immagini restano sempre concilianti, con una fotografia accademica e inquadrature leziose, come l'apparizione onirica del militare nella radura, di fronte al treno che riporta il protagonista nei luoghi di prigionia.
I personaggi sono ritratti in modo grossolano, senza un vero approfondimento psicologico. Se i modi garbati dell'attore protagonista, Colin Firth, in qualche modo si adattano al suo personaggio, la recitazione di Nicole Kidman è rigida e inespressiva.
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The Railway Man è un film che non mi è piaciuto.
La trama sarebbe interessante e ricca di spunti (una vicenda storica di intensa umanità) e nel cast figurano attori importanti.
Ne deriva però un film convenzionale e superficiale, privo di mordente. Le immagini restano sempre concilianti, con una fotografia accademica e inquadrature leziose, come l'apparizione onirica del militare nella radura, di fronte al treno che riporta il protagonista nei luoghi di prigionia.
I personaggi sono ritratti in modo grossolano, senza un vero approfondimento psicologico. Se i modi garbati dell'attore protagonista, Colin Firth, in qualche modo si adattano al suo personaggio, la recitazione di Nicole Kidman è rigida e inespressiva. Spicca l'intensità del caratterista Stellan Skargard.
La trama stessa si sviluppa per sommi capi e ne soffre sia la ricostruzione storica (l'atteggiamento dei militari giapponesi è quasi caricaturale) che la dimensione più intima dei protagonisti.
Un film indeciso.
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samanta
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lunedì 11 gennaio 2021
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si può perdonare il proprio carnefice?
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Il soggetto è ricavato dall'autobiografia di Eric Lomax ex ufficiale inflese in cui racconta la sua prigionia in un campo di concentramento giapponese dopo la caduta di Singapore, e il lungo periodo del dopoguerra nel quale visse tormentato dai ricordi. E' opportuno riflettere che i fatti sono veri e che riguardano i crimini commessi dai gipponesi durante la II guerra mondiale che furono notevoli specie nei confronti dei prigionieri e della popolazione civile.
Il film del 2013, inizia in Scozia nel 1980 nel circolo dei veterani di guerra in una cittadina dove si riuniscono gli ex combattenti della II guerra mondiale, tra di essi in disparte c'é Eric Lomax (Colin Firth) appassionato di ferrovie di cui sa tutto compresI gli orari e le coincidenze (in originale il film ha il titolo: The Railway man), tutti sono reduci dalla caduta di Singapore e prigionieri dei giapponesi dal 1942 al 1945, durante i 3 anni di prigionia costretti con un trattamento feroce a costruire la ferrovia (quella de Il ponte sul fiume Kwai) per unire la Thailandia alla Birmania occupate dal Giappone.
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Il soggetto è ricavato dall'autobiografia di Eric Lomax ex ufficiale inflese in cui racconta la sua prigionia in un campo di concentramento giapponese dopo la caduta di Singapore, e il lungo periodo del dopoguerra nel quale visse tormentato dai ricordi. E' opportuno riflettere che i fatti sono veri e che riguardano i crimini commessi dai gipponesi durante la II guerra mondiale che furono notevoli specie nei confronti dei prigionieri e della popolazione civile.
Il film del 2013, inizia in Scozia nel 1980 nel circolo dei veterani di guerra in una cittadina dove si riuniscono gli ex combattenti della II guerra mondiale, tra di essi in disparte c'é Eric Lomax (Colin Firth) appassionato di ferrovie di cui sa tutto compresI gli orari e le coincidenze (in originale il film ha il titolo: The Railway man), tutti sono reduci dalla caduta di Singapore e prigionieri dei giapponesi dal 1942 al 1945, durante i 3 anni di prigionia costretti con un trattamento feroce a costruire la ferrovia (quella de Il ponte sul fiume Kwai) per unire la Thailandia alla Birmania occupate dal Giappone. Lomax è diventato nevrotico, i ricordi sono doloranti ciccatrici, ha visioni dell'ufficiale che lo torturava, durante uno dei suoi viaggi in treno in cerca di oggetti delle ferrovie, incontra un'affascinante insegnante Patti (Nicole Kidman), dopo sorrisi e imbarazzanti dialoghi lui le fa la corte, si innamora ricambiato e si sposano presenti al matrimonio i suoi commilitasti. Tra questi c'é Finlay il loro capo (Stellan Skarsgard noto attore svedese: I Pirati dei Caraibi, vari film di Lars von Trier,Mamma mia) ma il matrimonio è solo un lampo di felicità, perché Lomax ripiomba ancora di più nei suoi incubi e visioni sempre più forti, diventando violento. Patti scopre la verità da Finlay: Lomax era stato torturato ferocemente da un ufficiale giapponese, quell'ufficiale si scopre che è ancora vivo , Finlay propone Lomax di andare a trovarlo in Birmania proprio dove fa il custode del Museo della Ferrovia vicino al ponte sul fiume Kwai e ucciderlo. Lomax rifiuta, ma dopo il suicidio di un commilitone per il suo rifiuto, va in Asia, ritrova l'ex ufficiale, ma l'incontro sarà catartico, di fronte alla piena e sofferta confessione dell'uomo e alla richiesta di perdono Lomax lo concede, gli incubi spariscono e ritorna in quel luogo con la moglie ormai rasserenato e felice.
La storia, cooispondente alla realtà dei fatti è commovente, a mio avviso il nucleo centrale del film non è l'orrore della guerra in cui i giapponesi si comportarono bestialmente non solo con i giapponesi che consideravano disonorati perché si erano arresi, ma anche verso i civili specie in Cina e in Corea le stragi di massa a Nanchino, le migliaia di donne stuprate e uccise o inviate nei bordelli per soldati, specie le torture erano dirette dalla Kembetai (la Ghepeu o la Gestapo del Giappone) a cui apparteneva l'ufficiale torturatore di Lomax, pochi giapponesi furono condannati per questi crimini anche perché gli USA aveva bisogno del Giappone come alleato. Il motivo centrale del film risiede nel perdono, non quello fasullo del criminale che cerca di alleviare la pena, ma quello che si raggiunge dopo un lungo percorso umano e psicologico da entrambe le parti, Lomax ha di fronte un uomo che in questi lunghi anni ha guardato dentro se stesso, sa che la morte sarebbe una giusta pena, la richiesta di essere perdonato nasce dal profondo del cuore ed incontra il sentimento di un uomo che si vuole sgravare dai ricordi. In questa vicenda Lomax ha la meglio: finalmente ritorna libero.
Il regista Jonathan Tepliztzsky (australiano ha diretto il recente Churchill) ha saputo toccare le corde giuste dei sentimenti, il film in alcuni punti è lento e manca di nerbo, anche se certi immagini della costruzione della ferrovia sono estremamente coinvolgenti. Molto buona l'interpretazione di Colin Firth bravo interprete del traditore ne La Talpa e di Giorgio VI ne Il discorso del Re con cui ricevette l'Oscar, ma qui si supera interpretando un personale complesso, infin dei conti mite e gentile, ma caratteriale sconvolto da terribili ricordi, efficace l'interpretazione di Nicole Kidman nella parte di un insegnante metodica e formalista che ha scoperto tardi l'amore, bravi i comprimari specie l'interprete di Finlay.
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antoniopagano
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giovedì 8 febbraio 2018
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una tragedia che opprime il cuore, una storia che
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Eric Lomax (Colin Firth) è un appassionato di ferrovie che gira la Gran Bretagna in lungo e in largo, naturalmente in treno, alla ricerca di cimeli ferroviari. In treno incontra Patti (Nicole Kidman) e la precoce scintilla che scoppia tra i due mette momentaneamente fuori strada lo spettatore: Eric continua a vivere da decenni l’incubo del campo di prigionia giapponese di Kanchanaburi in Thailandia dove, insieme a decine di migliaia di militari inglesi, è stato internato dopo la caduta di Singapore nel 1942.
I Giapponesi stavano costruendo una linea ferroviaria tra Thailandia e Birmania (415 km) che avrebbe completato il collegamento tra India e Cina.
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Eric Lomax (Colin Firth) è un appassionato di ferrovie che gira la Gran Bretagna in lungo e in largo, naturalmente in treno, alla ricerca di cimeli ferroviari. In treno incontra Patti (Nicole Kidman) e la precoce scintilla che scoppia tra i due mette momentaneamente fuori strada lo spettatore: Eric continua a vivere da decenni l’incubo del campo di prigionia giapponese di Kanchanaburi in Thailandia dove, insieme a decine di migliaia di militari inglesi, è stato internato dopo la caduta di Singapore nel 1942.
I Giapponesi stavano costruendo una linea ferroviaria tra Thailandia e Birmania (415 km) che avrebbe completato il collegamento tra India e Cina. Non era sufficiente, per tale impresa, disporre di manodopera in larga quantità e a basso costo: le difficoltà di tracciato, le proibitive condizioni ambientali e il ritmo dei lavori richiedevano un esercito di schiavi, prigionieri militari e civili brutalmente asserviti, e renderanno famosa quell’opera come “la ferrovia della morte” dato l’altissimo numero di vittime tra i lavoranti (lavorarono 260.000 prigionieri e ne perirono 116.000 di stenti, malattie e vessazioni).
L’incubo ricorrente di Eric sottopone a stress l’unione con Patti che deve fare i conti con un disturbo mentale di cui non conosce l’origine. Patti contatta Finlay (Stellan Skarsgard), un altro sopravvissuto al campo di lavoro che condivide con Eric quel «codice del silenzio che sembra affidarsi al tempo per curare le piaghe dell’anima». Patti ricuce, attraverso Finlay, gli avvenimenti passati e risale alla dimensione eroica del giovane Eric (Jeremy Irvine), alle vessazioni subite, alle torture, alle selvagge bastonature, estenuanti anche per gli stessi Giapponesi che le infliggevano. In particolare, emerge la figura di Takashi Nagase (Tanroh Ishida), altrettanto giovane ufficiale interprete della Kempeitai, la Gestapo giapponese. La tragedia ha una madre, la guerra, un padre, il disprezzo dei Giapponesi nei confronti dei nemici vinti, e un attore protagonista, Nagase, un uomo istruito, un aguzzino senza attenuanti perché i condizionamenti culturali del militarismo nipponico e la forza delle circostanze nulla potrebbero se il libero arbitrio chiudesse il rubinetto allo sgorgare del male. Le torture inflitte da Nagase a Lomax erano del tutto gratuite, oltre che dolorose e umilianti: Eric seppellisce nel silenzio quei ricordi, soprattutto con la persona che ama, perché le ingiustizie subite si vivono con il pudore nascosto della vergogna. Sarà grazie all’amicizia estrema di Finlay e all’amore illuminante di Patti che Eric riuscirà a chiudere i conti con il passato attraverso l’incontro con un maturo Nagase (Hiroyuki Sanada), anch’egli sopravvissuto, alla ricerca di una nemesi.
Stabilire la verità: questa è la prima ansia di Eric, iniziando dal lessico con cui i due antagonisti parlano di quel passato (“sono morti? No, sono stati ammazzati”). Questa storia è qualcosa di diverso e di meglio della precedente filmografia di genere (Il ponte sul fiume Kway 1957, Furyo 1983, Fight for Freedom 2001, Unbroken 2014): se vogliamo cercare analogie calzanti dobbiamo citare Primo Levi che, qualche anno dopo il ritorno dal lager, in modo del tutto fortuito ebbe una relazione epistolare con “Doktor Muller”, uno dei tanti che non furono aguzzini ma assistettero immobili allo scempio umano nei campi. Accadeva quel che accadeva perché doveva accadere. Levi avrebbe voluto incontrarlo: «L’incontro che io aspettavo … era un incontro con uno di quelli di laggiù, che avevano disposto di noi, che non ci avevano guardati negli occhi, come se noi non avessimo avuto occhi. Non per fare vendetta … Solo per ristabilire le misure, e per dire “dunque?”». Nell’espressione finale di Eric («Viene il momento in cui l’odio deve finire») non c’è il tema del perdono o della pietà per il Nagase contrito ma il monito ad avere rispetto per sé stessi, a costruire consapevolezza sulle macerie lasciate dalla tragedia. Stabilire le misure, sempre, e non dimenticare, ma non odiare nessuno, mai, neanche per “fare vendetta”.
L’emergente regista australiano Jonathan Teplitzky indaga nell’intimo e lo fa con una fotografia che è un album completo di effetti: i mille luccichii del cantiere ferroviario che appaiono come una favola ma poi svelano la bruttura dei lavori forzati, il gracchiare della radio clandestina al lume di una lampada, le stanze in bianco e nero del Kempitai, il chiarore della spiaggia con le case basse allineate sullo sfondo e quell’unica figura umana, i primi piani di Nicole Kidman.
Il film è tratto dall’omonimo libro autobiografico The Railway Man che Eric Lomax ha pubblicato nel 1994 conservando i nomi dei protagonisti oltre all’autenticità delle vicende. Nell’edizione italiana, sia del libro che del film, è diventato “Le due vie del destino”: quali sono le “due” vie del titolo italiano? Quelle di Lomax e di Nagase? O quelle di Lomax e di Finlay? Forse il miglior riferimento è proprio il secondo: Lomax e Finlay sono rimasti entrambi scossi da quella esperienza e vorrebbero entrambi dimenticare senza cedere all’oblio. I loro destini si divideranno e, in qualche modo, l’uno consentirà all’altro di recuperare il tempo perduto.
Il monito ricorrente di Lomax (“non contare, non sprecare gli anni con l’orologio”) è meno sibillino di quanto possa sembrare, se è vero che non sempre “affidarsi al tempo per curare le piaghe dell’anima” è la scelta migliore.
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renatoc.
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mercoledì 26 aprile 2017
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un eccezionale insegnamento morale!
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Raramente la cinematografia anglo/americana fa vedere le brutalità commesse dai Giapponesi durante l'ultima guerra! In genere fanno vedere quelle dei nazisti! Però in questo film viene fatto vedere che i Giapponesi non sterminavano popoli per odio razziale, ma quanto a brutalità nelle torture......Dio ce ne scampi! Ciò che rende importante questo film è che si tratta di fatti realmente accaduti ed il soggetto è preso dall'autobiografia del protagonista! Si vede quale orribile effetto psicologico gli è rimasto anche dopo finita la guerra, ed il conseguente odio verso il torturatore; e quando dai giornali scopre che è vivo, parte immediatamente per il Giappone con l'intento di ucciderlo! Tuttavia quando si trova di fronte a
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Raramente la cinematografia anglo/americana fa vedere le brutalità commesse dai Giapponesi durante l'ultima guerra! In genere fanno vedere quelle dei nazisti! Però in questo film viene fatto vedere che i Giapponesi non sterminavano popoli per odio razziale, ma quanto a brutalità nelle torture......Dio ce ne scampi! Ciò che rende importante questo film è che si tratta di fatti realmente accaduti ed il soggetto è preso dall'autobiografia del protagonista! Si vede quale orribile effetto psicologico gli è rimasto anche dopo finita la guerra, ed il conseguente odio verso il torturatore; e quando dai giornali scopre che è vivo, parte immediatamente per il Giappone con l'intento di ucciderlo! Tuttavia quando si trova di fronte a lui tentenna un po' forse perchè gli manca il coraggio, o forse perchè comincia a provarne pietà, quindi lo lascia in vita e torna a casa dalla bella moglie Nicole Kidman! (Bella, anche se la preferisco bionda e meno smagrita che in questo film!) Comunque i dialoghi che il protagonista ha intrattenuto col suo torturatore mentre prendeva tempo prima di ucciderlo, cominciano a fargli capire che il giapponese si stava ravvedendo e stava nascendo in lui una certa stima per la sua ex-vittima! Un giorno riceve da lui una lettera e parte con la moglie per il Giappone per andarlo ad incontrare e dirgli che lo aveva perdonato! Il film termina con un abbraccio tra loro due! Le note finali, comunque, commentano che sono poi diventati amici e si sono frequentati fino alla tarda età! L'insegnamento morale di questo film è bellissimo! Quando ci rende conto di aver sbagliato, ci si pente e ci si ravvede l'odio si trasforma in amicizia e questo fa ulteriormente vedere quanto è grande insegnamento di Gesù! Ha portato subito in Paradiso il buon ladrone, la Maddalena da prostituta è diventata santa, San Paolo da persecutore dei Cristiani a grande Apostolo!
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enzo70
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sabato 20 febbraio 2016
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una pagina poco nota della seconda guerra mondiale
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Eric Lomax, Colin Firth, è un ingegnere con due passioni: i treni e gli orari ferroviari e la moglie Patti, Nicole kidman, conosciuta, chiaramente, su un treno. La sua vita scorre apparentemente tranquilla, ma esiste un lato oscuro, il ricordo delle torture subite nel periodo di prigionia in un campo di lavoro giapponese. Eric, infatti, come molti soldati inglesi, è stato destinato alla costruzione della linea ferroviaria Bangkok, Rangoon, chiamata la ferrovia della morte, per il numero elevatissimo di decessi da parte dei lavoratori. Tra l’altro Eric è stato preso di mira da un ufficiale della polizia segreta giapponese, la keimpetai, e le torture sono state il suo pane quotidiano.
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Eric Lomax, Colin Firth, è un ingegnere con due passioni: i treni e gli orari ferroviari e la moglie Patti, Nicole kidman, conosciuta, chiaramente, su un treno. La sua vita scorre apparentemente tranquilla, ma esiste un lato oscuro, il ricordo delle torture subite nel periodo di prigionia in un campo di lavoro giapponese. Eric, infatti, come molti soldati inglesi, è stato destinato alla costruzione della linea ferroviaria Bangkok, Rangoon, chiamata la ferrovia della morte, per il numero elevatissimo di decessi da parte dei lavoratori. Tra l’altro Eric è stato preso di mira da un ufficiale della polizia segreta giapponese, la keimpetai, e le torture sono state il suo pane quotidiano. Con il supporto di Patti, Eric trova la forza di tornare nei luoghi dove ha vissuto un periodo durissimo, per recuperare le redini della sua vita. E lì incontra il suo aguzzino che cerca di riscattare i peccati compiuti conducendo i turisti in un museo sulla costruzione della ferrovia. E l’incontro, l’unione tra vendetta e perdono, rappresenta il punto nevralgico del film. Tratto dal libro autobiografico “the railway man” di Eric Lomax le due vie del destino è un film intenso e che riapre una pagina poco conosciuta della fina della storia della seconda guerra mondiale.
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nicdep
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giovedì 23 luglio 2015
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un bel film
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Le Due Vie Del Destino è davvero un film toccante: porta rabbia ma al tempo stesso commozione.
Fa riflettere molto sulla crudeltà e l'inutilità delle guerre, sulle ingiustizie umane e i soprusi per cui milioni di persone hanno sofferto.
Consiglio la visione.
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luigi chierico
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martedì 16 giugno 2015
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una magnifica pagina dell’ultima guerra
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Un vero capolavoro per coloro che sanno apprezzarne i contenuti,che non scelgono di andare a vedere un film per svagarsi,ma per crescere e dare un valore alla vita. Regia da lode.Un film completo sotto tutti i punti di vista, certo lo spettatore comune si sofferma ad apprezzarne la vicenda,la musica,la fotografia e l’interpretazione. Un inizio delicatissimo, un incontro casuale tra Eric Lomax e Patti,ovvero Patricia Wallace,rispettivamente interpretati da due beniamini del pubblico: Colin Firth e Nicole Kidman. Il treno, che ha segnato l’esistenza di Eric sino a portarlo alla totale solitudine e silenzio,è invece il veicolo dell’amore. Un incontro casuale diventa lirico,è amore allo stato puro;”dovrebbe avare medaglie e gloria, l’ho visto illuminarsi quando è arrivata lei” dice Finlay,ovvero lo”zio”,a Patti.
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Un vero capolavoro per coloro che sanno apprezzarne i contenuti,che non scelgono di andare a vedere un film per svagarsi,ma per crescere e dare un valore alla vita. Regia da lode.Un film completo sotto tutti i punti di vista, certo lo spettatore comune si sofferma ad apprezzarne la vicenda,la musica,la fotografia e l’interpretazione. Un inizio delicatissimo, un incontro casuale tra Eric Lomax e Patti,ovvero Patricia Wallace,rispettivamente interpretati da due beniamini del pubblico: Colin Firth e Nicole Kidman. Il treno, che ha segnato l’esistenza di Eric sino a portarlo alla totale solitudine e silenzio,è invece il veicolo dell’amore. Un incontro casuale diventa lirico,è amore allo stato puro;”dovrebbe avare medaglie e gloria, l’ho visto illuminarsi quando è arrivata lei” dice Finlay,ovvero lo”zio”,a Patti. I primi trenta minuti sono dolcissimi sinché la quinta goccia non apre la porta dei ricordi, terribili,indimenticabili, agghiaccianti. La favola finisce e comincia l’inferno. Assistiamo a scene di violenza talmente forti che nessuno le racconterà mai perché incredibili. Atrocità che hanno segnato l’ufficiale inglese Eric, da giovane interpretato dall’ottimo,superlativo Jeremy Irvine. Il film si snoda tra presente e passato in maniera così ben coordinata, che non lo si penserebbe diverso. Alla bellissima colonna sonora che accompagna i tanti diversi momenti del film, si affiancano scene della massima suspense, l’animo ha un sussulto, il cuore in gola, una lacrima sul viso, non solo della bellissima Nicole Kidman, moglie fedele e coraggiosa. La partecipazione dei due protagonisti è ottima, anche se Colin Firth, ancora una volta, è grandissimo. Il richiamo alla Birmania,alle migliaia di morti disseminati lungo i binari ricorda “L’arpa Birmana”dove Mizushima darà sepoltura a tutte le migliaia di morti che troverà sulla sua strada e ”la terra non basta a ricoprire i morti”. I riferimenti alla scelleratezza delle guerre sta nelle parole:”Questa vittoria non sarà la fine della guerra,ma neanche l’inizio della fine”, “Hanno suonato le campane, è la prima volta dall’inizio della guerra”. Le guerre generano guerre, come l’odio chiama odio, ci sono faide che si si tramandano da oltre cento anni. Il film del dolore e del silenzio, ma “nel silenzio non si può trovare la risposta”,le torture diventano umiliazioni inaudite,vergognose ed “umilianti” che non si possono raccontare soprattutto alla persona che si ama. All’estremo della resistenza Eric invoca”Mamma perché non mi aiuti!” Gli anni non hanno cancellato i ricordi,il rancore e l’odio, ma messo di fronte all’opportunità di vendicarsi del carnefice e “criminale” ufficiale giapponese Nagase(prima Tanroh Ishida-poi Hiroyuki Sanada), Eric risponde allo “zio”:”Sei arrivato tardi,non siamo più soldati,ma impiegati di banca,ho moglie ed è tutto per me…;non siamo più in guerra”.”Noi facciamo il verso alla Vita,siamo un esercito di fantasmi”.Un gesto liberatorio mette in viaggio Eric. Occhio per occhio, come si conviene nella religione orientale, o il perdono come si chiede nel cristianesimo? Un atto criminale non è pur sempre un crimine sebbene compiuto in nome della giustizia? Il messaggio finale del film:”La vita merita il massimo rispetto”,la vedi traballare sul filo di un rasoio,rimani col fiato sospeso finché la pace e l’Amore non saranno ritrovati nel viale di un bosco che ha conosciuto la pazzia dell’uomo, e dietro le lenti vi è lo sguardo puro e casto dell’innocenza.chibar22 @libero.it
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