sixsixsix
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venerdì 7 marzo 2014
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sparatutto 3d
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Il film è bello per certi versi e insoportabile per altri.
Tutto il film segue la linearità di un videogioco sparatutto 3d in ci il prottagonista deve soppravvivere ai vari livelli (vagoni).
Grazie a questa impostazione si rimane tesi e curiosi per tutto il film.
Ma purtroppo alla fine si esce con la sensazione di aver visto un film senza spessore, un po' insensato e monotono.
L'aspetto filosofico del finale invece rimane interessante.
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dodori
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venerdì 7 marzo 2014
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pessimo film!!! imbarazzante
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NON ANDATE A VEDERE QUESTO SCEMPIO AL CINEMA!!!!
NON VI FATE FREGARE DALLE RECENSIONI A 5 STELLE DI GENTE CHE NON S'INTENDE DI CINEMA!!!
FILM ADATTO SOLO A BIMBI M****A IGNORANTI!!!
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dodori
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venerdì 7 marzo 2014
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imbarazzante!!! non buttate soldi e tempo!!!
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Vedo che leggere ''regista coreano'' ha offuscato le sinapsi di troppe persone che danno un giudizio positivo di questo film allucinante e terrificante nell'accezione più negativa possibile del termine!!
Film tratto da un fumetto, prodotto e realizzato veramente male!!
Regia = 1 stella (noiosa e ridicola come nei rallenty, una emulazione continua di altri film riusciti)
Sceneggiatura = - 5 stelle (dialoghi imbarazzanti e della profondità di un cerobroleso)
Grafica = 1 stella (sembra un videogame di 10 anni fa)
Musiche = 1 stella
Montaggio = - 5 stelle (combattimenti più che irreali, scene sconclusionate messe in banale successione)
Se fosse possibile gli darei -3 stelle.
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Vedo che leggere ''regista coreano'' ha offuscato le sinapsi di troppe persone che danno un giudizio positivo di questo film allucinante e terrificante nell'accezione più negativa possibile del termine!!
Film tratto da un fumetto, prodotto e realizzato veramente male!!
Regia = 1 stella (noiosa e ridicola come nei rallenty, una emulazione continua di altri film riusciti)
Sceneggiatura = - 5 stelle (dialoghi imbarazzanti e della profondità di un cerobroleso)
Grafica = 1 stella (sembra un videogame di 10 anni fa)
Musiche = 1 stella
Montaggio = - 5 stelle (combattimenti più che irreali, scene sconclusionate messe in banale successione)
Se fosse possibile gli darei -3 stelle.
SCANDALOSO!!! SONO VERAMENTE SHOCKATO DA TUTTI QUESTI COMMENTI POSITIVI!!!!
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effemmecinema
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giovedì 6 marzo 2014
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i sopravvissuti del mondo sul treno della vita.
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Una nuova era glaciale ha reso la terra inabitabile. Calore, cibo ed acqua si possono trovare soltanto sull’ “arca sferragliante” del ricco costruttore di treni Wilford (Ed Harris). Si tratta di un treno che, per produrre il necessario alla sopravvivenza, corre da diciassette anni senza sosta, lungo un binario circolare che si estende per 438.000 kilometri: giusto un anno il tempo necessario a percorrere l’intera distanza e celebrare il capodanno passando sul ponte di Yekaterina!
A bordo l’ordine è stabilito, tutti hanno la propria posizione ed il proprio ruolo ed il caos non è tollerabile: così è! In fondo al convoglio c’è l’ultima classe, dei sudici e dei reietti, che vengono nutriti con immonde barrette proteiche gelatinose.
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Una nuova era glaciale ha reso la terra inabitabile. Calore, cibo ed acqua si possono trovare soltanto sull’ “arca sferragliante” del ricco costruttore di treni Wilford (Ed Harris). Si tratta di un treno che, per produrre il necessario alla sopravvivenza, corre da diciassette anni senza sosta, lungo un binario circolare che si estende per 438.000 kilometri: giusto un anno il tempo necessario a percorrere l’intera distanza e celebrare il capodanno passando sul ponte di Yekaterina!
A bordo l’ordine è stabilito, tutti hanno la propria posizione ed il proprio ruolo ed il caos non è tollerabile: così è! In fondo al convoglio c’è l’ultima classe, dei sudici e dei reietti, che vengono nutriti con immonde barrette proteiche gelatinose. Il ministro Mason (una fantastica ed irriconoscibile Tilda Swinton) porta ai “diseredati del pianeta” notizie ed ordini dalla “sacra locomotiva” ma presto Curtis (Chris Evans) guiderà la rivolta, per “risalire il mondo dai piedi fino alla testa”.
Una “strip” francese scoperta in una fumetteria di Seul - “La Transperceneige” di Jean Marc-Rochette e Benjamin Legrand, - ha ispirato Bong Joon-ho per il suo “Snowpiercer”. Il regista coreano trasforma in immagini la visione di un “microcosmo viaggiante su rotaia”, un ecosistema chiuso e bisognoso ad ogni costo di mantenere il suo precario equilibrio (vi ricorda qualcosa?), del quale ci mostra in sequenza l’interno/(inferno…) di ogni vagone, facendoci scoprire un po’ alla volta piccoli gironi Danteschi e – confinati all’interno delle carrozze - fascinosi ambienti di un pianeta quasi estinto.
Seguono folate d’azione (lotte a colpi d’ascia, sanguinolente colluttazioni corpo a corpo) miste ad un cocktail di sarcasmo, crudeltà e toni grotteschi.
Dai finestrini scorgiamo bianchi paesaggi post-apocalittici mentre all’interno del convoglio va in scena molto del campionario degli orrori della sopraffazione e dei meschini abusi del potere, con metaforiche allusioni alla rivoluzione del popolo ed il corredo di tutte le cocenti disillusioni al riguardo.
“Snowpiercer” è una lunga e veloce carrellata tra le follie e le disuguaglianze del mondo: Bong Joon-ho coniuga assieme eccessi e fantasia con bravura, in una pellicola ricca di azione e spunti interessanti, passando in rassegna alcuni pregi e difetti dell’umanità come la vacuità e l’ambigua natura di molti, il raro coraggio disinteressato di pochi altri.
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pietro sassi
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giovedì 6 marzo 2014
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1
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Discreto film d'azione con pessime pretese filosofiche: trasmette chiaramente una visione aristocratica del mondo dove la rivolzione la fanno i poveri e i puzzolenti semplicemente per tentare una risalita della scala sociale, risalita che lascerebbe tutto come prima. L'unica alternativa sarebe la distruzione del mondo. Presupposti storico-sociologici del tutto inevrosimili: mai rivoluzione è stata fatta da uno strato parassitario delle società; i rivoluzionari del film, infatti, non sono schiavi, non sono contadini asserviti, non sono operai: sono solo accattoni nulla facenti.
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miguel-angel-barota
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giovedì 6 marzo 2014
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pochi buoni spunti in una mare di già visto
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Intendiamoci da subito: se si cerca in Snowpiercer puro intrattenimento, l’obiettivo è centrato in pieno, grazie a una storia accattivante, azione, sangue, colpi di scena. Ma se parliamo di “capolavoro”, o qualcosa di simile, be’, allora siamo davvero molto distanti.
Fin dalle premesse, Snowpiercer ci promette di parlarci, attraverso la poco velata metafora del treno, di cos’è il modo e cosa sono gli uomini: compito sempre nobile e affascinante, ma anche molto difficile, perché il rischio di scivolare nel già visto, nel banale e/o nell’assurdo è sempre dietro l’angolo. E Bong Joon-ho, purtroppo, non supera il guado.
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Intendiamoci da subito: se si cerca in Snowpiercer puro intrattenimento, l’obiettivo è centrato in pieno, grazie a una storia accattivante, azione, sangue, colpi di scena. Ma se parliamo di “capolavoro”, o qualcosa di simile, be’, allora siamo davvero molto distanti.
Fin dalle premesse, Snowpiercer ci promette di parlarci, attraverso la poco velata metafora del treno, di cos’è il modo e cosa sono gli uomini: compito sempre nobile e affascinante, ma anche molto difficile, perché il rischio di scivolare nel già visto, nel banale e/o nell’assurdo è sempre dietro l’angolo. E Bong Joon-ho, purtroppo, non supera il guado.
La situazione surrealistica del treno-mondo è senz’altro suggestiva, ma davvero troppo limitativa per la grandezza delle tematiche: quand’anche i rivoluzionari si fossero sottratti alle loro condizioni di sottomissione e abbrutimento, riuscendo a conquistare la locomotiva, cosa ne avrebbero ottenuto? Non certo la libertà, impossibile da conquistare in un mondo che è tutto lì, in qualche decina di carrozze. E se viene meno l’ideale della libertà, viene meno anche la forza vera dell’ideale rivoluzionario. Ecco allora che i personaggi che risalgono il treno da fondo a cima appaiono non tanto come uomini in lotta per il sovvertimento di un ordine sociale imposto, con tutte le implicazioni filosofiche e sociali collegate, quanto piuttosto come marionette che si muovono in un teatrino per ottenere un pranzo migliore.
Bong Joon-ho, insomma, non riesce a dare complessità a un tema che risulta appiattito e semplificato quanto l’ambiente in cui è costruito il film. È banale il vecchio saggio “ideologo” della rivoluzione, è banale il capo rivoluzionario dal passato poco nobile, è banale la mamma agguerrita alla ricerca del figlio perduto, soprattutto è banale il “super-dittatore” con tutta il corredo di retorica totalitaria, riproposto veramente troppe volte, senza neppure un minimo di originalità, dal Grande Fratello di Orwell in poi. Da notare, poi, come non giovi certamente a dare brillantezza al film la profusione di sangue che occupa tre quarti del film.
Non è tutto da stroncare, comunque. Sono da accogliere positivamente i personaggi dell’apritore di porte e di sua figlia, perché sono gli unici personaggi che finalmente sfuggono alla banalizzazione della recitazione di un ruolo prestabilito, e inquadrandosi come forze esterne e indipendenti, rispetto allo schema “dittatore vs rivoluzionari”, ci danno un punto di vista diverso e nuovo. E poi, nella parte finale, le rivelazioni che il super-dittatore fa al capo rivoluzionario offrono effettivamente interessantissimi spunti di riflessione: le rivoluzioni come strumento non di sovvertimento ma di controllo dell’ordine prestabilito, grazie al ruolo di insospettabili “infiltrati” che fomentano il popolo rispondendo invece al volere del dittatore. Sono temi, questi, profondi e attualissimi, peccato che vengano “annacquati” dalle ultime scene, che ricascano nella retorica della fantascienza post-apocalittica, con tanto di disastro finale e speranza ultima di rinascita.
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hector ternaz
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giovedì 6 marzo 2014
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a tutto vapore contro le solite glaciali banalità
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Snowpiercer è politicamente scorrettissimo quando ci costringe a simpatizzare con la brutale liquidazione di una donna incinta, una “madre del Reich” bionda, dagli occhi azzurri, spietata e armata di mitra; o quando antepone la riuscita della lotta per tutti alla vita di uno solo, anche se è l’affetto più caro del protagonista. La violenza apertamente abbracciata come cura dell’oppressione sociale, un leader poco superomistico, anzi un “pessimo”, scioccato e redento da un gesto di solidarietà estrema. Il film di Bong Joon-ho è come il treno di cui racconta la corsa disperata: infrange molti cliché con la violenza di un rompighiaccio.
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Snowpiercer è politicamente scorrettissimo quando ci costringe a simpatizzare con la brutale liquidazione di una donna incinta, una “madre del Reich” bionda, dagli occhi azzurri, spietata e armata di mitra; o quando antepone la riuscita della lotta per tutti alla vita di uno solo, anche se è l’affetto più caro del protagonista. La violenza apertamente abbracciata come cura dell’oppressione sociale, un leader poco superomistico, anzi un “pessimo”, scioccato e redento da un gesto di solidarietà estrema. Il film di Bong Joon-ho è come il treno di cui racconta la corsa disperata: infrange molti cliché con la violenza di un rompighiaccio. A cominciare dalla favola di un ordine iniquo per necessità di sopravvivenza, una balla, articolo di spaccio ben più esteso del “cronol” o di qualsiasi altro stupefacente sociale. Snowpiercer ci conferma che “siamo sulla stessa barca” (o sullo stesso treno) ma qualcuno rema e mangia scarafaggi mentre altri con ipocrita benevolenza celano le zanne con cui difendono il privilegio. Curtis-Evans si ritrova a guidare l’insurrezione attraverso i vagoni della scala sociale e capisce che se non si conquista la testa, il “potere”, nulla potrà cambiare. Faticosamente arriva fino in fondo, a contatto diretto con la personificazione del “potere”. Giunti a questo punto Bong Joon-ho potrebbe cedere alla facile retorica del potere corruttore di chiunque tenti di utilizzarlo per il bene comune. In effetti Curtis-Evans tentenna di fronte alla rivelazione dell’organicità con gli oppressori del suo mentore rivoluzionario, un Gilliam-Hurt somigliante al Goldstein di nineteen eighty-four di Orwell. Esita di fronte alle argomentazioni del macchinista-dittatore: il peso della direzione, il delicato equilibrio che la divisione sociale rende possibile… Curtis sembra quasi cedere alla proposta che un centimetro prima della meta tutti i rivoluzionari si sentono fare: prendi il mio posto, che cambi la guardia purché nulla cambi. Ebbene no. Bong Joon-ho fa spezzare la catena (e un braccio) al suo antieroe che distrugge la macchina infernale e che col suo sacrificio rende possibile una nuova difficile vita. Saranno un piccolo Adamo afroamericano e un’Eva asiatica ad occuparsene.
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ego74bo
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giovedì 6 marzo 2014
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impresentabile
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Orrendo, banale, rozzo, puerile, scontato, pieno di dettagli ridicoli e poco credibili quantunque non palesemente sbagliati, senza un briciolo di creatività narrativa, con una ritmica lento-veloce-lento-veloce che nemmeno alla skuola di cinema, piatto, noioso, copia scolorita e stemperata di altri lavori di ben altro carisma e bellezza, con una fotografia passabile e una scena finale dove Harris mette tutto il suo professionismo e per questo resta apprezzabile: lui contro il resto del film, ma questo fa passare ai miei occhi tale lavoro da orridissimo a orrido. :D Insomma, evitare, evitare ed evitare ancora.
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michela siccardi
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mercoledì 5 marzo 2014
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il treno come metafora della vita
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Dalla metafora più (ab)usata del mondo nasce questo film prodigioso. 2031: all’interno di un treno è segregata l’intera umanità sopravvissuta alla glaciazione della Terra provocata dall’uomo 17 anni prima. Una catastrofe prevista dal magnate Wilford che si era pertanto attrezzato costruendo un treno di straordinaria avanguardia e completamente autosufficiente. L’ “arca sferragliante” percorre incessantemente la ghiacciata superficie terrestre. Perpetuo è il moto del treno, così come perpetuo è lo scontro tra le classi in cui esso è diviso. Wilford non ha soltanto “creato il mondo”, ma gli ha anche dato una rigida organizzazione sociale: nel treno-mondo ognuno ha il suo posto prestabilito, la divisione delle classi è congelata come il mondo esterno.
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Dalla metafora più (ab)usata del mondo nasce questo film prodigioso. 2031: all’interno di un treno è segregata l’intera umanità sopravvissuta alla glaciazione della Terra provocata dall’uomo 17 anni prima. Una catastrofe prevista dal magnate Wilford che si era pertanto attrezzato costruendo un treno di straordinaria avanguardia e completamente autosufficiente. L’ “arca sferragliante” percorre incessantemente la ghiacciata superficie terrestre. Perpetuo è il moto del treno, così come perpetuo è lo scontro tra le classi in cui esso è diviso. Wilford non ha soltanto “creato il mondo”, ma gli ha anche dato una rigida organizzazione sociale: nel treno-mondo ognuno ha il suo posto prestabilito, la divisione delle classi è congelata come il mondo esterno. Nella coda del treno, in condizioni abiette e degradanti, vivono i sopravvissuti del “terzo mondo”, proseguendo verso il convoglio di testa troviamo i passeggeri della prima classe: ricchi privilegiati che vivono tra gli agi, in vagoni di lusso dove non manca nulla. In testa al treno, nella “Sacra Locomotiva”, dimora il demiurgo Wilford, venerato e osannato come un misericordioso creatore dai ricchi della prima classe, identificato come il male dai passeggeri nella coda del treno. Proprio questi, stremati per le pessime condizioni di vita e per le costanti torture e soprusi subite, organizzano una rivolta, con lo scopo di giungere nel convoglio di testa e prendere il controllo del treno. Guidati dal leader Curtis, i “ribelli” combattono strenuamente i " guardiani" del treno. Assistiamo a bellissime ed efficaci scene d'azione, a scontri brutali squisitamente mitigati dal tocco poetico orientale, da quella estetica della violenza tipicamente coreana, dal sangue che macchia ma non invade. Porta dopo porta, scompartimento dopo scompartimento si dispiegano mondi discordanti, universi inconciliabili. Il “contenuto” di ogni vagone stride, prepotente e surreale, con quello del vagone appena lasciato. Le contraddizioni tra i diversi ambienti sono sapientemente esaltate dai contrasti di atmosfera e di colore. Nell’avanzata dei ribelli assistiamo alla progressiva distruzione di ogni credenza, al ribaltamento di ogni prospettiva, al cangiare di ogni verità. Curtis perde un compagno dopo l’altro ma non vacilla, e continua per la sua strada verso la testa del treno, verso la rivelazione finale. Il treno rappresenta un vero e proprio universo in miniatura, un microcosmo che racchiude, -imitandone le forme, ricalcandone le strutture, riproducendone (altrettanto perversamente) i giochi di potere- , quel macrocosmo che pochi anni prima poteva darsi sulla più ampia superficie terrestre. La sceneggiatura stupisce e si rivoluziona ad ogni nuova porta aperta. Ogni atmosfera è effimera, ogni personaggio ha più volti da scoprire, più fili invisibili che lo muovono. Tutto muta e si evolve incessantemente, tutto sfreccia insieme allo sfrecciare del treno. Dalla fantascienza alla filosofia, dall’azione alla riflessione: la pellicola si lascia abbracciare da molteplici contaminazioni,sfugge alle classificazioni cui siamo soliti, trascende le etichette di genere. Questo film non si lascia imbrigliare da una definizione univoca ma, in un riuscitissimo sincretismo, ne ingloba molteplici. Oriente e Occidente viaggiano qui sullo stesso binario, sfociano in un sublime connubio.
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francesco2
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mercoledì 5 marzo 2014
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ma di coreano c'è solo il regista
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Dopo "The Road", un altro futuro apocalittico. Ma se la trasposizione del romanzo di Mc Carthy è un garbato pacchettino con alcuni momenti di presunta suspence, questo film è un passo avanti ma sino a un certo punto.
Il regista coreano, infatti, sembra avere capito bene come si confeziona un film all'"Americana", dato che nel suo lavoro non c'è praticamente traccia dell'ironia coreana, magari o magari no autocompiaciuta della sua violenza, di film come "Old Boy" o "Lady Vendetta") Al contrario, i personaggi obbediscono a dei ruoli precostituiti (La cattiva, il buono, l'anziano saggio eccetera), che sin dall'inizio trasmettono una sensazione di racconto didascalico già visto.
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Dopo "The Road", un altro futuro apocalittico. Ma se la trasposizione del romanzo di Mc Carthy è un garbato pacchettino con alcuni momenti di presunta suspence, questo film è un passo avanti ma sino a un certo punto.
Il regista coreano, infatti, sembra avere capito bene come si confeziona un film all'"Americana", dato che nel suo lavoro non c'è praticamente traccia dell'ironia coreana, magari o magari no autocompiaciuta della sua violenza, di film come "Old Boy" o "Lady Vendetta") Al contrario, i personaggi obbediscono a dei ruoli precostituiti (La cattiva, il buono, l'anziano saggio eccetera), che sin dall'inizio trasmettono una sensazione di racconto didascalico già visto.
Curiosa è, semmai, la figura del coreano, unico connazionale del regista. Non fosse per questo, forse, si potrebbe sospettare che il film non sia immune neanche da un certo razzismo. Ma sarebbe un atto di colossale automasochismo, contraddetto peraltro dal fatto che la giovane figlia sembra guardata con simpatia sin dalle battute iniziali (Le viene detto "Capisci le cose prima che si aprano le porte"). Allora, a costo die ssre cerebrotici, potrebbe essere una metafora del regista e della sua condizione di "Diverso" in quanto non-americano, e teoricamente bistrattato da chi voglia il cinema statunitense "Da popcorn".
Tutti questi massimi sistemi, in ogni caso, non tolgono che sia la perizia tecnica il maggior pregio del film; il quale ogni tanto ritaglia figure originali, come il "Preparatore di cibi"(Mi pare),e dei momenti di vivacità come la classe che inneggia al totalitarismo.
Ma appaiono momenti -A proposito di locomotive- sganciati dal contesto, non immune peraltro da momenti di commozione facile. E le riflessioni conclusive, che vorrebbero gettare più ombre sulle figure descritte e seminare dubbi politico/esistenziali sul bene degli uomini, la tirannia ecc., non tolgono che chi auspica un cinema innovativo, forse, farebbe meglio a guardare altrove.
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