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Michele Venitucci, il controcampo italiano

Intervista a uno dei protagonisti di Italian movies di Matteo Pellegrini.
di Gabriele Niola

In foto Michele Venitucci e Anita Kravos in una scena del film Italian movies di Matteo Pellegrini.
Michele Venitucci (49 anni) 4 settembre 1974, Bari (Italia) - Vergine. Interpreta Ben nel film di Matteo Pellegrini Italian Movies.

mercoledì 3 luglio 2013 - Incontri

Era l'unico italiano nella banda di extracomunitari che da inservienti di un'impresa di pulizie diventano videomaker clandestini in Italian movies, Michele Venitucci, 38 anni, pugliese è diventato il controcampo italiano di un film che utilizza gli extracomunitari per raccontare il nostro paese, fuggendo i toni drammatici e scegliendo un andamento spensierato con l'idea di penetrare più a fondo del solito.

Il nostro cinema si sta interessando sempre di più alla principale novità sociale di oggi, gli italiani di seconda generazione. Italian movies invece vuole raccontare un'altra forma di mancata integrazione?
Si. Ci sono film molto belli come ad esempio Alì ha gli occhi azzurri che stanno facendo questo lavoro ma la peculiarità di Italian movies è di essere più colorato e di affrontare i genitori degli italiani di seconda generazione, cioè quelle persone che vivono nel nostro paese e mettono su una famiglia ma rimangono invisibili, gente con cui noi non abbiamo a che fare.

Non a caso lavorano di notte in luoghi che sono attivi di giorno.
Sono personaggi a tutti gli effetti tagliati fuori dalla vita ufficiale, quella del giorno. Durante la lavorazione, la notte è stata una protagonista importante e una compagna per noi attori, perché abbiamo lavorato fisicamente di notte che è una dimensione strana, vivi nell'ombra quando la città va a dormire. Mi piace infatti che poi quando iniziano il loro business clandestino si approprino anche del giorno.
Un'altra cosa che mi piace è come si rendano conto, proprio stando in un luogo di finzione disabitato, che essere visibile è ciò che dà a qualcosa la possibilità di vivere. Capiscono che attraverso il linguaggio audiovisivo possono dare voce anche ad altre persone che non l'avrebbero.

La dinamica che descrivi però di fatto esiste, la televisione sempre di più dà voce alle persone comuni
Proprio per questo volevamo parlarne. Con Matteo Pellegrini, il regista, ne abbiamo discusso molto. C'era la volontà di fare il verso alla maniera in cui la televisione in questi anni ha illuso la gente di essere protagonista, creando conseguenze nefaste anche nel mio lavoro. Io credo che nell'arte ci debba essere una porta d'accesso a tutti ma alla stessa maniera ci debbano essere standard di professionalità.

Cosa ti è piaciuto del tuo personaggio la prima volta che hai letto il copione?
C'è una scena che ho subito capito che doveva essere il punto di riferimento costante sul suo carattere. Mentre stanno facendo le pulizie trovano una stanza blindata con una videocamera e uno di loro, l'indiano, fantastica di poterla recuperare per fare il filmino del matrimonio di un parente ma sono poi io a prenderla in prestito perché dico proprio testualmente: "Non ho nulla da perdere". Ecco in questa frase c'è tutto e me la sono subito appuntata, dà l'idea della superficialità e della spensieratezza di quest'uomo per il quale il lavoro nella società di pulizie è una cosa come tante mentre per loro è preziosissimo.

Gli attori del film sono tutti professionisti stranieri che hanno imparato l'italiano ma ci sono anche incursioni di non professionisti, avete lavorato con loro per i personaggi?
Io ci ho lavorato, ma non per il personaggio; sono tornato dopo la fine della lavorazione a Torino per intervistarli, l'idea era di farci un documentario, solo che ad un certo punto mi sono reso conto di avere solo delle interviste. Ora stiamo discutendo se inserirle o meno negli extra del DVD.
Volevo dar voce alle persone dietro la finzione per capire come mai non ci sia integrazione. Ho capito che oltre alla lingua c'è la condizione lavorativa, cioè il fatto che lavorino tutto il giorno per inviare soldi a casa o ai figli e che quindi non abbiano effettivamente tempo per inserirsi, un po' come i meridionali al nord negli anni '70.

Tra gli attori protagonisti invece ce n'è uno che spicca in modo particolare...
Si certo, Aleksey Guskov! Un grandissimo professionista, un uomo molto passionale come spesso sono i russi e sensibilissimo. La cosa di lui che mi ha colpito di più, come sempre nei grandi attori, è l'approccio vero al lavoro. Per quanto siano forti e carismatici gli attori veri sono quelli che si mettono a disposizione del personaggio, il suo ego è dentro quella cosa e non si riempie mai.

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