C'era una volta a New York

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Un film di James Gray. Con Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominczyk.
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Titolo originale The Immigrant. Drammatico, durata 120 min. - USA 2013. - Bim Distribuzione uscita giovedì 16 gennaio 2014. MYMONETRO C'era una volta a New York * * 1/2 - - valutazione media: 2,94 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

C'era una volta a New York Valutazione 4 stelle su cinque

di catcarlo


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mercoledì 22 gennaio 2014

Senza temere né il confronto con un monumento (il titolo originale è uguale a quello de ‘L’emigrante’, Charlie Chaplin nel 1917), né la sfida contro il gusto corrente, che certo non ha una predilezione per il genere, James Gray costruisce attorno a Marion Cotillard un sontuoso melodramma in costume capace di regalare emozioni e bel cinema senza bisogno di forzature o effetti speciali. Le sorelle Ewa e Magda arrivano dalla Polonia a Ellis Island con poche speranze di superare i controlli: la seconda è malata di tisi, la prima si porta addosso un’accusa di bassa moralità poivutale addosso durante il viaggio (e la cui spiegazione rivelerà parecchio sull’ipocrisia dei tempi). Mentre Magda va in quarantena, Ewa si affida alla capacità di ungere le ruote di Bruno, un pappone che maschera il suo giro di prostituzione dietro il mediocre spettacolo che va in scena in uno teatrino scalcinato. Rifiutata dai parenti che vivono già a New York per l’onta di cui sopra, Ewa entra nell’azienda del suo ‘salvatore’ – suscitando più di un’invidia - per stare vicina alla sorella nella speranza di liberarla: per questo declina l’offerta di partire assieme all’illusionista Orlando per una tournée che la allontanerebbe dalle brutture della vita in città ed è costretta ad affidarsi di nuovo a Bruno che, spinto da un amore pur sempre negato, troverà modo di riscattarsi. Struttura classica che più classica non si può, quindi, ma una confezione impeccabile in cui tutti gli elementi si bilanciano per raggiungere l’ottimo risultato finale. La New York del 1921 è un posto difficile dove vivere: prima regola di sopravvivenza, per chi non è nato fortunato, è sgomitare ed essere disposti a tutto. Una città buia in cui, nei quartieri popolari, le strade brulicano di gente d’ogni tipo mentre le case hanno i muri scrostati e condizioni igieniche non proprio ideali (forse nell’accurata ricostruzione manca un po’ di sporcizia, ma siamo pur sempre al cinema…). Sono le seconde a rimanere più impresse perché l’azione si svolge in prevalenza in spazi chiusi, a volte al limite del claustrofobico, quasi a significare che, in fondo, per tutti i personaggi il margine di manovra è poco: nelle penombre risaltano i colori caldi della fotografia di Darius Khondji che, affidandosi in prevalenza all’ocra, fa risaltare i volti che riescono a trasmettere anche le più piccole emozioni. Ovviamente, questo lavoro è facilitato dalla bravura degli attori, specialmente per quanto riguarda i ruoli principali: Jeremy Renner è un Orlando che forse nasconde le sue vere intenzioni, Joaquin Phoenix interpreta la doppiezza di Bruno mettendo su qualche chilo e confermandosi un vero aficionado del regista (questo è il quarto film insieme) mentre Cotillard giustifica la scelta di Gray di scrivere (assieme a Ric Menello) una storia che si basi sia sul suo bel viso da attrice degli anni Trenta, sia sulle sue capacità recitative che paiono ancora in crescita. L’attrice francese dimostra che la fiducia è ben riposta, costringendo ben presto lo spettatore ad appassionarsi alla difficile esistenza di Ewa, anche se, al tirar delle somme, la scena più bella tocca a Phoenix nel sottofinale, quando, ormai chiuso all’angolo, il suo Bruno fa un’impietosa critica di se stesso e di tutto un modo di intendere l’esistenza: il sogno americano è passato anche su strade tortuose, palchi di quart’ordine e letti a pagamento in un ambiente in cui il più debole è destinato a soccombere. Fra questi ultimi non c’è Ewa che, all’apparenza fragile, riesce ad andare oltre l’orgoglio e mettere la sordina ai sentimenti per raggiungere ciò che si è prefissa in una sfida alla sorte avversa che il regista racconta con un passo che, grazie anche a numerosi bei dialoghi, regala molto spazio all’intospezione e solo di tanto in tanto è spezzato da una sequenza improvvisa di azione convulsa.

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