La grande bellezza di Paolo Sorrentino – Farfugliare - [5/10]
Un racconto confuso; tanti personaggi mescolati; un affresco coloratissimo, troppo. Un’occasione persa: questa è “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino (2013) racconto di un amore esagerato per una città (Roma) e per i suoi marziani. Perché di “non terrestri” si tratta ovvero di persone non nella realtà anche se lavorano e mangiano e bevono e si divertono… mai faticano, mai sudano.
Vagano nelle notti romane alla ricerca del nulla, incapaci di fermare la loro attenzione su qualcosa di concreto: lo squallore di certi angoli della città non li tocca; la bellezza di altri non li conquista. I loro gesti sono pesanti come le loro parole inutili. Chiacchierano all’infinito e – alla fine – non dicono nulla.
Jep Gambardella di tutti è il peggiore. È il modello negativo per tutto l’ambiente di intellettuali, artisti, giornalisti, narratori, cinematografari, teatranti che popolano le feste notturne e che si trascinano da un luogo all’altro della città eternamente e sfacciatamente usata come set delle loro faccende.
Toni Servillo è Jep. Oramai più bravo persino di se stesso e si mostra superiore a tutti, ma irrita. Non il personaggio infastidisce; è proprio l’attore che esagera rischiando spesso di trasformarsi nell’eccellente imitatore dei suoi personaggi chiave. Oramai è una presenza costante del cinema italiano fino a diventarne la “maschera”. Peccato.
Più moderati e persino più efficaci gli altri del contorno che non son pochi: Carlo Verdone (Romano, scrittore fallito), Sabrina Ferilli (Ramona, amore redento), i due nobili Colonna Franco Graziosi e Sonia Gessner; Roberto Herlitzka il folle Cardinale Bellucci esperto in gastronomia, ma ignorantissimo in cose della fede… Giovanna Vignola è Dadina, la direttrice della rivista che fa del suo nanismo (vero) l’unica interpretazione coinvolgente, forse. Il resto è maniera romana.
Jep lavora (non molto) per Dadina che sopporta le pigrizie del suo inviato e lo sollecita, lo comprende e lo coccola. Jep ha poca voglia di concretizzare. Scrittore senza voglie, né ispirazione è autore di un libro solo, pubblicato da lustri e di cui ancora si parla come di un caso. Dopo di quello il nulla. La grande bellezza che lo circonda non penetra nel suo corpo e sfugge ai suoi pensieri.
Mentre non succede niente e tutti, Jep in testa, si sciolgono nella noia, Roma risplende di bellezze sue proprie, ripresa da ogni angolatura. Cromaticamente eccessiva, patinata all’estremo non perde ovviamente il suo fascino perverso: popolare e snob, clericale e laica, cialtrona e intelligente, coinvolgente, puttana.
L’immagine di Roma è affidata a Luca Bigazzi (super premiato direttore della fotografia, autore di una cinquantina di film anche notevoli) che sa raccontare abilmente muovendo la macchina da presa, leggermente, sfiorando le cose, le strade, le acque.
Paolo Sorrentino ha scritto il soggetto, la sceneggiatura (con Umberto Contarello) e firma la regia: la sesta della sua fortunata carriera (“L'uomo in più”, 2001; “Le conseguenze dell'amore”, 2004; “L'amico di famiglia”, 2006; “Il Divo”, 2008; “This Must Be the Place”, e diversi documentari). Ne “La grande bellezza” non convince. Nonostante i premi nazionali e internazionali e dunque il riconoscimento della critica (soprattutto estera) in Italia è stato giudicato severamente.
Il film non convince soprattutto per l’assenza di un disegno chiaro. Sembra un grande affresco: personaggi della mondanità (brutta e cattiva) dentro una città straordinariamente bella che fa da sfondo. Gli uni, in primo piano, senza anima e senza colore; la città sullo sfondo bellissima e sfacciata. L’insieme produce un contrasto fastidioso dove il racconto è sostituito dall’agiografia urbana. Una Roma noiosa.
Il film “La grande bellezza” è candidato all’Oscar 2014.
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