A proposito di Davis

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Un film di Joel Coen, Ethan Coen. Con Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, Ethan Phillips, Robin Bartlett.
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Titolo originale Inside Llewyn Davis. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 105 min. - USA, Francia 2013. - Lucky Red uscita giovedì 6 febbraio 2014. MYMONETRO A proposito di Davis * * * 1/2 - valutazione media: 3,82 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Uno sconfitto armato solo di voce e chitarra. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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venerdì 19 agosto 2016

A PROPOSITO DI DAVIS (USA, 2013) diretto da JOEL & ETHAN COEN. Interpretato da OSCAR ISAAC, CAREY MULLIGAN, JOHN GOODMAN, JUSTIN TIMBERLAKE, GARRETT HEDLUND, F. MURRAY ABRAHAM
Una settimana nella vita di Llewyn Davis, chitarrista folk che, nel 1961, presso Greenwich Village, propone con scarso successo le sue canzoni che parlano di impiccagioni, derelitti e situazioni disastrate, vivendo nelle case che gli amici generosi gli mettono a disposizione, dormendo sui divani, viaggiando per gli USA portando con sé la chitarra gelosamente incustodita e un gatto infedele, collezionando insulti e sberleffi da parte sia di donne che di uomini e distribuendone egli stesso alle esibizioni di altri artisti, incidendo saltuariamente con qualche collega e sperando sempre e comunque che il futuro gli riservi sorprese incoraggianti. Ex arruolato nella marina mercantile, nel sottofinale tenta di rientrarvi, ma l’amore per la musica prevale, e la sua missione di artista incompreso, vilipeso e vagabondo prosegue. L’universo musicale era stato esplorato in precedenza, dai fratelli Coen, soltanto nelle magnifiche colonne sonore dei loro capolavori, o addirittura in base alla loro assenza (com’è avvenuto in No Country For Old Men, 2007), ma un personaggio principale che fa il musicista, non gli era mai successo di sviscerarlo a fondo, mettendone a nudo le aspirazioni prontamente deluse, i desideri inappagati ma sempre sognati, la forza di volontà sempre incrollabile, la tenacia con cui crede nelle sue idee e la mordace aggressività latente da individuo debole e violento con cui si rivolta contro la boria e lo spudorato arrivismo di colleghi, impresari musicali, discografici, soggetti ospitanti e semplici astanti. L’esperimento, per un eccezionale 95%, riesce: quel 5% di imperfezione risiede semplicemente in un’atmosfera ovattata in modo permanente, che commette l’errore di cullare troppo la storia, in sé e per sé efficace, attraverso un alone di nostalgia che scivola talvolta nell’autocommiserazione, senza però adottare mai un tono compassionevole, bensì cercando con costanza di restituire dignità alla personalità di un combattente d’altri tempi che ha la chitarra come spada, la voce come urlo di battaglia e una flebile arroganza come armatura. Per il resto, questa commedia drammatica dai risvolti amari e graffianti assolve appieno il suo ruolo chiarificatore ed esplicativo di un’epoca, gli anni 1960, che i Coen vissero da bambini e che ripercorrono con una vivida memoria che esplora i ricordi fin nelle più intime profondità, traendone il succo delle lotte, delle contestazioni, delle aspettative e delle fatiche che finirono troppo spesso sprecate e disingannarono chi le veicolava, convinto che il proprio impegno portasse ad un porto non buono, eccellente. E Llewyn Davis (cui giova enormemente il volto malinconico, lo sguardo disincantato e la recitazione sotto le righe del bravissimo O. Isaac) è, a suo modo, un protestatario ante litteram che porta avanti una solitaria guerra contro il perbenismo, la bigotteria, il malaffare, il carrierismo e anche l’egoismo dilagante in una società che sembra non considerare più gli artisti e li relega ormai nel dimenticatoio delle inutilità. Non al livello dei capolavori indiscutibili dei Coen, come possono essere ritenuti Fargo, il già menzionato No Country For Old Men eA Serious Man, ma ha dalla sua una semplicità di linguaggio e una capacità comunicativa straordinariamente diretta che lo rendono apprezzabile per come insegue la strada del sogno senza introdursi nell’illusione e per come la storia (la trama denota un pre-lavoro di sceneggiatura davvero ottimale) si affeziona al personaggio evitando di esserne succuba e seguendo passo dopo passo l’evoluzione sentimentale, morale e civile di un antieroe metropolitano il cui unico scopo è quello di essere valutato (o meglio, rivalutato) per la sua arte e per quello che sa fare bene (malgrado una gigantesca moltitudine cerchi di screditarlo in questo senso): suonare. Contributi tecnici di inappuntabile qualità, comprese ovviamente le canzoni che O. Isaac, insieme a J. Timberlake, C. Mulligan e G. Hedlund cantano dal vivo, brani musicali che riportano indietro nel tempo e non possono non eludere il collegamento con un gigante della musica made in  USA che, proprio in quel tempo, muoveva i primi passi e riscuoteva un discreto successo ancora agli albori: il mitico, insuperato Robert Allen Zimmermann, in arte Bob Dylan. Il protagonista della commedia dei Coen ha numerosi punti in comune con lui, ma un analogo riferimento, non eccessivamente forzato, può essere mosso pure nei confronti di Woody Guthrie o perfino di Elvis Presley, allora già celebre e citato una volta nei dialoghi. Fotografia che privilegia il grigio come colore predominante per le vie bigie e tristi del Greenwich Village, che seguono molto da vicino i sentimenti di Llewyn, mentre il montaggio tranquillo e la scenografia ridotta all’osso creano un palcoscenico ideale e magnifico per far muovere il carattere principale in un ambiente ostile e duro ma non per questo privo di occasioni per farsi notare, in modo positivo o negativo.

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