Dal profondo

Film 2013 | Documentario 72 min.

Anno2013
GenereDocumentario
ProduzioneItalia
Durata72 minuti
Regia diValentina Pedicini
MYmonetro 2,84 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Valentina Pedicini. Un film Genere Documentario - Italia, 2013, durata 72 minuti. - MYmonetro 2,84 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento giovedì 22 giugno 2017

Una miniera a rischio chiusura, un universo parallelo da scoprire, un nuovo punto di vista, orgogliosamente femminile, sul mondo sotterraneo. Il film ha ottenuto 1 candidatura a David di Donatello,

Consigliato sì!
2,84/5
MYMOVIES 2,50
CRITICA
PUBBLICO 3,17
CONSIGLIATO SÌ
Documentario che scavalca la cronaca giornalistica per privilegiare l'approccio empirico nella storia dell'ultima minatrice italiana.
Recensione di Raffaella Giancristofaro
Recensione di Raffaella Giancristofaro

Miniera di Nuraxi Figus, provincia di Carbonia-Iglesias, Sardegna, estate del 2012. I media puntano i riflettori su questa frazione di poche centinaia di abitanti perché è a rischio di chiusura l'unica miniera di carbone del Paese, quella di Monte Sinni, nel territorio del Sulcis Iglesiente. Mentre i sindacati propongono un progetto di rilancio, decine di dipendenti della Cabosulcis, in rappresentanza delle circa cinquecento famiglie coinvolte, in assenza di risposte dalla gestione e dalla politica (la società proprietaria è controllata dalla Regione Sardegna) si asserragliano a centinaia di metri sotto terra con un'ingente quantità di esplosivo.
Lungometraggio di debutto della regista classe 1978, vincitore del premio Solinas 2011, Dal profondo è un documento che, grazie a due anni e mezzo dedicati a familiarizzare con il luogo e i protagonisti coinvolti, ottiene e fornisce accesso senza precedenti a un contesto che per la massa è più mitico che reale: la cava di carbone (basterebbe la perifrasi "non è la miniera" a evocarne l'effetto terrorizzante): la steadycam del direttore della fotografia Jakob Stark si cala ripetutamente a 500 metri sotto il livello terrestre, nel ventre pulsante e spaventoso che evoca atmosfere alla H.R. Giger, tra scorci conquistati da un'illuminazione avventurosa, macchine che mangiano la roccia e grovigli di cavi. Dal piano sequenza iniziale, girato su un ascensore chiamato "gabbia", che apre in piena luce fino a che il livello della terra non diventa un punto lontano, lo spettatore è spinto ad appropriarsi del punto di vista, cognitivo e sensoriale, degli operai. Non solo di quelli scesi in miniera con la ridottissima troupe del film, ma con generazioni di lavoratori che si sono tramandati i medesimi gesti e destini.
Dal profondo scavalca la cronaca giornalistica (il Sulcis come "provincia più povera d'Italia", la vicenda si chiuderà con un piano di chiusura entro il 2018) per privilegiare l'osservazione pura, l'approccio empirico, al fine di rendere intellegibile a chi guarda l'esperienza di chi, per vivere, sta nell'oscurità, tra polvere e rumore, paura e speranza. Mediatrice di questo passaggio semantico e intergenerazionale e testimone di questo sforzo secolare è Patrizia, una delle poche fiere donne minatrici rimaste in attività, il padre morto in miniera, un figlio che ne vorrebbe scappare.
Riprendendo la più nota preghiera per i morti (De profundis), come un'invocazione proveniente da chi è vivo ma ritenuto già "oltre", il documentario adotta l'immagine dei grilli come metafora della resilienza di Patrizia e dei suoi colleghi. Unica specie animale che sopravvive in quella dimensione claustrofobica, atemporale, metafisica eppure fisicissima. La macchina da presa registra le tante, impercettibili variazioni di buio, lavora sul desiderio di luce di uomini che avrebbero voluto essere marinai. Procede per accumulazione, rispettando i tempi distesissimi di quel set naturale ma estremamente difficile da controllare. Al punto che la regia affida il senso della narrazione alla voce della protagonista e agli sguardi in macchina; stilemi che altrove suonerebbero abusati e che qui risultano semplicemente funzionali a un'opera che si inscrive, per l'eccezionalità delle condizioni produttive, in una lunga tradizione di cinema del lavoro. Al Festival Internazionale del Film di Roma 2013 nella sezione Prospettive Doc Italia.

Sei d'accordo con Raffaella Giancristofaro?
Sottraendo dialoghi e narrazione a favore di illustrazione e contemplazione, il documentario cerca la via più complessa per scardinare qualcosa nella mente dello spettatore.
Recensione di Gabriele Niola

A 500 metri sotto il livello del mare c'è l'ultima miniera di carbone d'Italia. In essa lavora l'ultima (e quindi l'unica) donna minatrice del paese. Assieme a lei un gruppo di uomini che quotidianamente affronta un lavoro faticoso in una notte perpetua, a contatto con strumenti e rocce, tecnologia e perforazione. Nonostante l'inumana e primitiva dimensione del lavoro, lo stesso la necessità fa sì che quando arriva la notizia della chiusura della miniera i lavoratori indicano uno sciopero e un'occupazione per non perdere il proprio sostentamento.
C'è un indubitabile merito e una sincera urgenza in Dal profondo, sono quelli che spingono a documentare l'ultima miniera di carbone del nostro paese (nella Barbagia), un luogo che appartiene sempre di più al passato, ad un'era industriale e pre-industriale, non certo a quella post-industriale, che nello sguardo di Valentina Pedicini è vicino al futuro distopico di Aliens - Scontro finale o Prometheus, un ambiente da riprendere con dominante blu, una continua notte in cui la luce è un lusso e nella quale l'umido si mescola ad epifanie di un terrificante che non arriva mai.
In questo luogo che è già visivamente malsano si svolge non solo il lavoro di quanti estraggono carbone ma anche la lotta per sopravvivere. Il documentario oltre a documentare il lavoro nel suo svolgersi (con i suoi gesti e la sua fatica) racconta anche la battaglia contro la chiusura della miniera e in questo senso si avventura nel terreno dell'astrazione.
Prendendo spunto da temi come il futuro (personale di ogni lavoratore), la resistenza di un altro mondo del lavoro, l'ingiustizia di un certo tipo di vita, il cameratismo e la storia di una donna (l'unica) che ha ereditato il posto dal padre, Dal profondo non nasconde il proprio desiderio di elevare la materia trattata. Dilatando i tempi, indugiando sugli ambienti e sui volti, sottraendo dialoghi e narrazione a favore di illustrazione e contemplazione, il documentario cerca la via più complessa per scardinare qualcosa nella mente dello spettatore non riuscendoci sempre.
Non tutto in Dal profondo infatti ha il fascino che sarebbe auspicabile, nè tutto è così interessante o calamitante da giustificare il ritmo appesantito dallo stile scelto. Ed è un peccato perchè non fosse per le velleità poetiche si ha l'impressione che Valentina Pedicini avrebbe azzeccato la lente attraverso la quale guardare quei luoghi per poterli inserire in un discorso significativo. Non fosse per la decisione di rifiutare una narrazione più convenzionale forse il film sarebbe riuscito a mettere più a frutto le ottime idee visive.

Sei d'accordo con Gabriele Niola?
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