rita branca
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domenica 2 novembre 2014
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“la festa di fellini” di rita branca
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“Che strano chiamarsi Federico” (2013) film di Ettore Scola con Giulio Forges Davanzati, Tommaso Lazotti, Maurizio De Santis, Ernesto D’Argenio, Vittorio Viviani, Sergio Rubini
Ancora una volta Ettore Scola colpisce nel segno con un film adorabile in cui, come di consueto in tutti i suoi numerosi capolavori, riempie gli occhi e il cuore dello spettatore di struggente bellezza e forti emozioni alternate a momenti di gradevole umorismo e sana ironia.
In questo affascinante “amar cord” outdoor con l’utilizzo di un narratore esterno, la cui presenza non disturba affatto, Scola ripercorre la vita del grande regista italiano fin dai suoi esordi artistici, quando diciannovenne, lasciata la natale Rimini, a Roma, entra a far parte dell’équipe dell’importante rivista satirica “Marc’Aurelio”, per la quale anche il giovane Scola collabora.
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“Che strano chiamarsi Federico” (2013) film di Ettore Scola con Giulio Forges Davanzati, Tommaso Lazotti, Maurizio De Santis, Ernesto D’Argenio, Vittorio Viviani, Sergio Rubini
Ancora una volta Ettore Scola colpisce nel segno con un film adorabile in cui, come di consueto in tutti i suoi numerosi capolavori, riempie gli occhi e il cuore dello spettatore di struggente bellezza e forti emozioni alternate a momenti di gradevole umorismo e sana ironia.
In questo affascinante “amar cord” outdoor con l’utilizzo di un narratore esterno, la cui presenza non disturba affatto, Scola ripercorre la vita del grande regista italiano fin dai suoi esordi artistici, quando diciannovenne, lasciata la natale Rimini, a Roma, entra a far parte dell’équipe dell’importante rivista satirica “Marc’Aurelio”, per la quale anche il giovane Scola collabora. Il film ha il sapore autentico della testimonianza di prima mano che lo rende ancor più gustoso, senza quasi mai entrare nel privatissimo (viene totalmente ignorato il ruolo di Giulietta Masina nell’esistenza di Fellini… delicato pudore o forse la necessità di spazi più ampi da dedicare a questo capitolo importantissimo del vissuto Felliniano?).
Si illustrano le vicende quotidiane ed artistiche di Fellini fino alla fine della luminosa carriera premiata, insieme a numerosi altri premi prestigiosi, con quattro Oscar, ed oltre, con uno scherzo finale che il “grande bugiardo” mette in atto facendosi inseguire da due pomposi carabinieri nel corso del suo funerale, così ricreando le atmosfere italiane degli anni ’40-’90 e dando un’idea precisa del senso dell’affermazione Felliniana che “la vita è una festa” e così va vissuta. E’ questo il sentimento che prevale in tutto il racconto filmico: la gioia di vivere e la giocosità con cui va affrontato il quotidiano, con garbata ironia, sempre priva dei veleni che infangano molta di quella contemporanea spesso capace solo di amareggiare.
Subito riconoscibile la firma di Scola nella rappresentazione affettuosa dell’umanità variegata, perfino nelle sue bassezze, nelle mediocrità, nella filosofia che la sottende talvolta inaspettatamente e che questo straordinario regista trasforma in note poetiche.
Un encomio speciale va a Sergio Rubini per la sua interpretazione perfetta dell’artista di strada che Fellini invita a bordo della sua macchina, per accompagnare uno dei suoi vagabondaggi notturni per le vie di Roma e riempire le notti insonni forse alla ricerca di approfondimenti sull’umanità e nuove ispirazioni.
La convincente interpretazione e la bella fotografia rendono questo film assolutamente imperdibile.
Rita Branca
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onufrio
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mercoledì 4 giugno 2014
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solo per gli amanti del genere
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Ettore Scola fa un "amarcord" del suo rapporto d'amicizia e lavorativo nato con Federico Fellini ai tempi del Marc'Aurelio, noto giornaletto satirico; tutto infatti si concentra in questo giornale, in quanto sia Fellini che Scola vi iniziarono la loro avventura lavorativa, anche se in tempi diversi. I due faranno successivamente amicizia, con Fellini già regista, e Scola ancora alle prese coi primi "lavoretti" nel mondo della settima arte; il tutto raccontato come una sorta di documentario biografico, Scola che racconta Fellini, il quale a sua volta si racconta da solo attraverso dei lunghi pensieri nati fra una passeggiata e l'altra in giro per le strade romane.
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Ettore Scola fa un "amarcord" del suo rapporto d'amicizia e lavorativo nato con Federico Fellini ai tempi del Marc'Aurelio, noto giornaletto satirico; tutto infatti si concentra in questo giornale, in quanto sia Fellini che Scola vi iniziarono la loro avventura lavorativa, anche se in tempi diversi. I due faranno successivamente amicizia, con Fellini già regista, e Scola ancora alle prese coi primi "lavoretti" nel mondo della settima arte; il tutto raccontato come una sorta di documentario biografico, Scola che racconta Fellini, il quale a sua volta si racconta da solo attraverso dei lunghi pensieri nati fra una passeggiata e l'altra in giro per le strade romane. Il tutto intervallato da scene storiche felliniane, tratte dai suoi numerosi capolavori.
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nipporampante
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sabato 15 marzo 2014
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per gli amanti del maestro
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Non si può dire che per i fan del maestro sia un film imperdibile. Forse non dice molto di nuovo (e devo confessare che la prima parte mi ha un po' annoiato), ma sentirsi raccontare di Fellini da uno che che lo conosceva bene e lo accompagnava nelle sue peregrinazioni fantastiche non può che suscitare piacere. E soprattutto lo spirito del film è veracemente felliniano: girato tutto in studio, tutto finto, meravigliosamente inventato. Tutto sprizzante gioia e mistero. Viene da chiedersi se in realtà Scola abbia seguito la filosofia dell'amico fabbricando una magnifica bugia.
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Non si può dire che per i fan del maestro sia un film imperdibile. Forse non dice molto di nuovo (e devo confessare che la prima parte mi ha un po' annoiato), ma sentirsi raccontare di Fellini da uno che che lo conosceva bene e lo accompagnava nelle sue peregrinazioni fantastiche non può che suscitare piacere. E soprattutto lo spirito del film è veracemente felliniano: girato tutto in studio, tutto finto, meravigliosamente inventato. Tutto sprizzante gioia e mistero. Viene da chiedersi se in realtà Scola abbia seguito la filosofia dell'amico fabbricando una magnifica bugia. Magari si è sognato tutto, magari Fellini non l'ha mai conosciuto...
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xcasta
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mercoledì 29 gennaio 2014
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non l'ho capito proprio
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Non è un film e nemmeno un documentario. Io, che non conosco Fellini e i suoi lavori (non scandalizzatevi per favore), da questo film non ho imparato altro di lui se non qualche tappa della sua vita. Ai miei occhi la pellicola è risultata noiosa e non mi dava mai un motivo per cui continuare la visione. Un miscuglio di scene recitate, filmati originali e inquadrature di Cinecittà che non ho compreso. Non metto un voto perché magari un appassionato può averci visto citazioni e chissà cos'altro, ma anche se fosse, secondo me, è stato fatto tutto in un modo sbagliato. Sconsigliato a chi non è un fan di Fellini.
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fsromait
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lunedì 21 ottobre 2013
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grazie perchè rido sul dolore della vita
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"Che strano chiamarsi Federico" è un magnifico e umano artistico omaggio di un Maestro (Scola) del cinema a un altro Maestro (Fellini), nel ventennale della scomparsa di quest'ultimo. Se la poesia felliniana, qui decisamente frammista a quella scoliana (le quali entrambe si erano già pregnantemente incontrate in quel prezioso crocevia che è stato "C'eravamo tanto amati", appassionata storia trentennale del nostrano costume), è garbatamente scandita ed emblematizzata dai dialoghi notturni, ad esempio, con una tenera e sognatrice prostituta (quanto riecheggia di Cabiria!) della provincia o con un cochard-madonnaro alcolista meridionale (tracce sparute anche di Zampanò?), al film, per essere goduto e apprezzato degnamente, basterebbe anche solo il sontuoso e serrato montaggio finale della cinematografia del Maestro riminese, ancora una volta sotto le vibranti e struggenti note della passerella di Otto e mezzo di Nino Rota.
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"Che strano chiamarsi Federico" è un magnifico e umano artistico omaggio di un Maestro (Scola) del cinema a un altro Maestro (Fellini), nel ventennale della scomparsa di quest'ultimo. Se la poesia felliniana, qui decisamente frammista a quella scoliana (le quali entrambe si erano già pregnantemente incontrate in quel prezioso crocevia che è stato "C'eravamo tanto amati", appassionata storia trentennale del nostrano costume), è garbatamente scandita ed emblematizzata dai dialoghi notturni, ad esempio, con una tenera e sognatrice prostituta (quanto riecheggia di Cabiria!) della provincia o con un cochard-madonnaro alcolista meridionale (tracce sparute anche di Zampanò?), al film, per essere goduto e apprezzato degnamente, basterebbe anche solo il sontuoso e serrato montaggio finale della cinematografia del Maestro riminese, ancora una volta sotto le vibranti e struggenti note della passerella di Otto e mezzo di Nino Rota. Ma la chiave di tutto il film, quanto anche delle opere dei due Maestri, chiave che certamente Scola vuole additarci, è riposta nell'atteggiamento di vita degli adepti del Marc'Aurelio, in quella loro sorta di viscerale e primordiale motto "Questo mi fa ridere!", moto dell'anima più che azione fisica o del volto, moto che infatti si compie "senza muovere il viso" (parafrasando il Francesco Guccini di "Vedi cara"); un ridere sulle cose della vita, sulle tragedie di un'epoca (1939) in cui era davvero difficile farlo. Questo atteggiamento è stato probabilmente il denominatore comune del cinema tanto di Fellini che di Scola; pertanto, un grande grazie e una sincera lode ai due Maestri!
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topo paolino
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domenica 20 ottobre 2013
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c'eravamo tanto divertiti
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Un film molto adatto per chi non conosce Fellini, amorevolmente ritratto (la voce che si sente della controfigura "grande" è sua) da un amico che ha condiviso con lui la formazione al "Marco Aurelio" diretto dal mitico De Bellis, che ha sfornato una serie di grandi registi e sceneggiatori del cinema italiano. Scola racconta soprattutto gli inizi, con il lavoro creativo di giovani straordinariamente talentuosi (dal vignettista Attalo, cui Fellini si ispirerà per le sue fantastiche caricature del film "Roma" al futuro sceneggiatore Maccari). Ne viene fuori una figura positiva, che non a caso Scola indica, proprio lui, il più grande Pinocchio italiano, tra i due Carabinieri nella camera ardente, come rappresentante dell'Italia retta ed essa premiata con il suo ultimo Oscar.
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Un film molto adatto per chi non conosce Fellini, amorevolmente ritratto (la voce che si sente della controfigura "grande" è sua) da un amico che ha condiviso con lui la formazione al "Marco Aurelio" diretto dal mitico De Bellis, che ha sfornato una serie di grandi registi e sceneggiatori del cinema italiano. Scola racconta soprattutto gli inizi, con il lavoro creativo di giovani straordinariamente talentuosi (dal vignettista Attalo, cui Fellini si ispirerà per le sue fantastiche caricature del film "Roma" al futuro sceneggiatore Maccari). Ne viene fuori una figura positiva, che non a caso Scola indica, proprio lui, il più grande Pinocchio italiano, tra i due Carabinieri nella camera ardente, come rappresentante dell'Italia retta ed essa premiata con il suo ultimo Oscar. Molto riuscite le caratterizzazioni della prostituta e soprattutto del pittore di strada interpetato dall'ottimo Rubini. Affascinanti i trascoloramenti che esprimono la magia del cinema nel Teatro 5. Non era facile fare un film su Fellini. Scola, come tutti quelli che lo hanno conosciuto, racconta il "suo", con la sua cifra stilistica riconoscibile, concedendosi anche delle, peraltro assolutamente pertinenti, autocitazioni. Un dolce ricordo contro l'amaro dell'Italia contemporanea, che ritrova chi nel mondo la rappresenta nella sua espressione migliore, che, senza altro fare che quello che sentiva congeniale, ha aiutato, aiuta e aiuterà a vivere.
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aesse
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giovedì 26 settembre 2013
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da lorca a fellini
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CHE STRANO CHIAMARSI FEDERICO
Se certo non è guarigione di sicuro, il docufilm di Ettore Scola “ Che strano chiamarsi Federico”, per la mia orfanità felliniana, è cura. Il racconto, bello, che Scola fa di Fellini, incomincia con la silhouette del maestro scaturita dalla penna di Scola stagliata su un tramonto madrileno che è protagonista, insieme ai versi di Garcia Lorca, l’altro Federico, che da il titolo a quest’opera, della prima scena e anche, sigillo finale. Perché come in un cerchio, oppure un allegro carosello, l’inizio e la fine coincidono e circondano la storia di Fellini che incrocia quella di Scola seguendo un destino che per certi versi sembra comune.
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CHE STRANO CHIAMARSI FEDERICO
Se certo non è guarigione di sicuro, il docufilm di Ettore Scola “ Che strano chiamarsi Federico”, per la mia orfanità felliniana, è cura. Il racconto, bello, che Scola fa di Fellini, incomincia con la silhouette del maestro scaturita dalla penna di Scola stagliata su un tramonto madrileno che è protagonista, insieme ai versi di Garcia Lorca, l’altro Federico, che da il titolo a quest’opera, della prima scena e anche, sigillo finale. Perché come in un cerchio, oppure un allegro carosello, l’inizio e la fine coincidono e circondano la storia di Fellini che incrocia quella di Scola seguendo un destino che per certi versi sembra comune. Ambedue i registi, infatti, nascono come abili disegnatori e approdano al cinema attraverso la palestra “tosta” del Marco Aurelio . Il più giovane, Ettore, si avvicina per la prima volta a Fellini, quando da bimbetto legge e diverte il nonno cieco con le sapide strisce che il giovane Federico pubblica sul famoso giornale satirico dell’anteguerra. In questo docufilm Scola narra l’imprese di Fellini e i loro ripetuti incontri attraverso uno scorrere di eventi che quando non sono docu sono film, cioè un veloce treno di immagini che scorre su i binari di un set che lo è nel senso più archetipico. Gli incontri affascinanti che per i fellinomani sono topici e nostalgici, approdano sospinti dall’inarrestabile magia degli eventi, alla scena finale del funerale di Fellini che fatto salvo l’assenza della storica straziante scena della Masina che si protende disperata verso la bara del marito invocandolo, è puro documento tanto da fare pensare che quella bara custodita da i due carabinieroni sia la scena finale. Ma questa volta il tifo positivo ha, per fortuna la meglio, perché Scola sceglie di liberare il Pinocchio- Federico che corre libero via dagli studi di Cinecittà trasformandosi in un esplosivo caleidoscopio di immagini dei suoi celebri capolavori. Un Big Bang che cambia il passato in sempiterno futuro e che va a ben pascere l’inconscio collettivo. E’ questo insperato, o forse no, tipo di finale che rende questa bella opera di Scola consolatoria e quindi a suo modo curativa perché al mito di Fellini la morte non può nulla anzi ne determina con forza le prerogative precipue quindi nel sopravvenire anche fallisce!
ANTONELLA SENSI
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filippo catani
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martedì 24 settembre 2013
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storia di un sodalizio tra due grandi registi
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Ettore Scola ripercorre le tappe più significative del rapporto che lo ha legato nel tempo a Federico Fellini.
Scola realizza un film-documentario che appassiona lo spettatore che ovviamente deve già un po' conoscere la storia dei due registi. Grazie al bravissimo Vittorio Viviani lo spettatore viene traghettato in un lungo viaggio che parte dal Marco Aurelio per poi arrivare alla conclusione della vita terrena di Fellini. In mezzo c'è un po' di tutto in un alternarsi di scene ora a colori ora in bianco e nero: l'avanspettacolo, il sodalizio con Age e Scarpelli, il rapporto con Mastroianni, le scorribande notturne in giro per Roma ma soprattutto c'è una vera e propria gemma rappresentata dai provini di Sordi, Tognazzi e Gassman per la parte di Casanova.
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Ettore Scola ripercorre le tappe più significative del rapporto che lo ha legato nel tempo a Federico Fellini.
Scola realizza un film-documentario che appassiona lo spettatore che ovviamente deve già un po' conoscere la storia dei due registi. Grazie al bravissimo Vittorio Viviani lo spettatore viene traghettato in un lungo viaggio che parte dal Marco Aurelio per poi arrivare alla conclusione della vita terrena di Fellini. In mezzo c'è un po' di tutto in un alternarsi di scene ora a colori ora in bianco e nero: l'avanspettacolo, il sodalizio con Age e Scarpelli, il rapporto con Mastroianni, le scorribande notturne in giro per Roma ma soprattutto c'è una vera e propria gemma rappresentata dai provini di Sordi, Tognazzi e Gassman per la parte di Casanova. Davvero gradevole anche l'artificio di inquadrare l'attore che interpreta Fellini di spalle e farlo parlare tramite brani di sue interviste. Insomma un viaggio in un'Italia che c'era una volta e che ora pare lontana da noi anni luce. Davvero bella anche la scena finale. Insomma un film gradevole che nel finale ci regala pezzi delle opere immortali del grande maestro e che si può vedere come un grande regalo che un amico ha fatto ad un altro amico.
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gabrinski
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domenica 22 settembre 2013
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il film di scola: che strano chiamarlo film
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Non voglio addentrarmi in una specifica recensione ma solo sconsigliare la visione (e relativo sperpero economico)del film in oggetto. Né documentario, né fiction, una cosa autocelebrativa di un autore che ha definitivamente perso lo smalto. Meglio, se proprio si voleva, fermarsi a raccontare il mitico Marc'Aurelio di cui in molti ignorano l'esistenza.
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pepito1948
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giovedì 19 settembre 2013
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fellini, dai disegni alle maschere
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“Quando a Rimini il giovane Fellini si immaginava a Roma, il miraggio non era affatto Cinecittà, ma il Marc’Aurelio”, puntualizza lo scrittore, critico cinematografico ed amico Tullio Kezich nel suo splendido “Federico – Fellini, la vita e i film”. Già, perché per capire colui che diventerà per antonomasia il Maestro del cinema italiano, non si può prescindere da quella fucina di geniali umoristi –come Steno, Metz, Age e Scarpelli, Marchesi ed altri, compreso lo stesso Scola- che costituì il trampolino di lancio per molti grandi cineasti italiani del dopoguerra. Fatte le debite differenze, il Marc’Aurelio fu ciò che per la fisica rappresentò il gruppo di ragazzi di Via Panisperna.
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“Quando a Rimini il giovane Fellini si immaginava a Roma, il miraggio non era affatto Cinecittà, ma il Marc’Aurelio”, puntualizza lo scrittore, critico cinematografico ed amico Tullio Kezich nel suo splendido “Federico – Fellini, la vita e i film”. Già, perché per capire colui che diventerà per antonomasia il Maestro del cinema italiano, non si può prescindere da quella fucina di geniali umoristi –come Steno, Metz, Age e Scarpelli, Marchesi ed altri, compreso lo stesso Scola- che costituì il trampolino di lancio per molti grandi cineasti italiani del dopoguerra. Fatte le debite differenze, il Marc’Aurelio fu ciò che per la fisica rappresentò il gruppo di ragazzi di Via Panisperna. E’ lì che Scola inizia il suo personale racconto, dall’arrivo del 19enne e smilzo Federico che con i suoi disegni e vignette si inserì facilmente nel clima ironico e ridanciano della redazione del giornale, pungente ma sempre attenta a non provocare più di tanto la censura fascista ed i clericali del tempo. Poco dopo si incuneò nella combriccola lo stesso Scola, che nel film si descrive con gli occhialetti da secchione (diremmo oggi da nerd) e l’aria ingannevole del timido liceale innocuo e acqua e sapone, pronto a tirare fuori le unghie della satira come tutti gli altri.
Poi Scola non segue la carriera dell’amico e sodale, ma piuttosto si sofferma sulle vicende strambe ma produttive sul piano artistico dei due, come le lunghe peregrinazioni notturne (dovute anche alla notoria insonnia di Fellini) nella Roma del boom, in cui erano soliti imbarcare personaggi atipici come la prostituta loquace e tante altre figure popolari, che avrebbero ispirato le famose maschere del cinema felliniano. Scola si mette a fianco del Maestro, lo asseconda affettuosamente, mettendone in rilievo l’innata curiosità, l’interesse per i diversi, la trasgressività pacata e bonaria, e soprattutto l’estro e la creatività, che daranno forma ad una serie di capolavori, di cui mostra in sequenze spezzoni, immagini, documenti di repertorio. Il mosaico che ne risulta è un mix originale di fiction e realtà, di scene recitate e brani di film e di vita di Federico, alternando i ritmi del racconto in diretta con i flash sul lavoro o le opere del regista, che alla fine vorticano sempre più velocemente fino ad esplodere in un grande, pirotecnico orgasmo (dello spettatore, innanzitutto).
Una narrazione personalissima che svela la vicinanza e l’omaggio verso un ineguagliabile artista ed amico cui fu vicino fino alla fine, dove la vena di sottile nostalgia verso tempi, atmosfere e persone che furono è compensata da un clima da simpatica rimpatriata, non priva di ironia, allegria e forse di affettuosa invidia.
Un Fellini visto con gli occhi di un grande regista e compagno di lungo viaggio, mai banale e sempre attento a non scivolare sul piano inclinato degli stereotipi, di una anonima biografia o, peggio, di una accorata agiografia.
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[+] totalmente d'accordo con la sua recensione.
(di antonio montefalcone)
[ - ] totalmente d'accordo con la sua recensione.
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