Quella del documentario Capo e Croce non è la Sardegna dei paradisi vacanzieri, delle spiagge incontaminate, dei resort, dei canti e dei balli folk che suggestionano molti turisti che la visitano d’estate.
Questa è la Sardegna di tutto l’anno, quella che, in solitudine, i pastori vivono quotidianamente con l’asprezza del loro lavoro: nessun quadretto bucolico, nessuno slogan ecologico ma un’indagine dentro e dietro le “quinte” del mondo agropastorale.Il film racconta le vicende del Movimento di protesta dei Pastori Sardi che, allo scopo di ottenere condizioni più eque sul prezzo del latte, organizza manifestazioni, comizi, occupazioni e cortei per sensibilizzare le Istituzione al malessere di una categoria così rilevante nell’economia dell’isola.
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Quella del documentario Capo e Croce non è la Sardegna dei paradisi vacanzieri, delle spiagge incontaminate, dei resort, dei canti e dei balli folk che suggestionano molti turisti che la visitano d’estate.
Questa è la Sardegna di tutto l’anno, quella che, in solitudine, i pastori vivono quotidianamente con l’asprezza del loro lavoro: nessun quadretto bucolico, nessuno slogan ecologico ma un’indagine dentro e dietro le “quinte” del mondo agropastorale.Il film racconta le vicende del Movimento di protesta dei Pastori Sardi che, allo scopo di ottenere condizioni più eque sul prezzo del latte, organizza manifestazioni, comizi, occupazioni e cortei per sensibilizzare le Istituzione al malessere di una categoria così rilevante nell’economia dell’isola.
E se è vero che in Sardegna si trova circa metà del patrimonio ovino nazionale, non è forse a buon diritto che la pastorizia, con le sue migliaia di addetti, rappresenta la prima industria isolana? Certo, si tratta di un’industria fatta di piccole, piccolissime attività, quasi sempre singoli che, sparsi nel territorio, accudiscono il bestiame dall’alba al tramonto, curano il pascolo, producono latte e formaggio e, non ultimo, presidiano il territorio, cioè se ne prendono cura ripulendolo dalle erbacce, da piccoli degradi ambientali, segnalando rischi di incendi e, finanche, situazioni di illegalità.Immersi nelle più ruvida delle periferie conosciamo alcuni protagonisti di questa vicenda: li vediamo nella loro giornata lavorativa mentre producono formaggio (“Questo è frutto della terra, che si mangia, a differenza della plastica!”), mungono, tosano il bestiame, lo curano e si rifocillano nell’intimità delle loro case, davanti al camino con i propri familiari. Ma, soprattutto, li vediamo manifestare la profonda ingiustizia di veder svalutato il proprio lavoro da un prezzo del latte che è rimasto fermo a quello di 20 anni fa e li accompagnamo idealmente nelle loro trasferte nel capoluogo di Regione e nella capitale per manifestare i loro diritti.
Lo fanno pacificamente, con la tenacia e il buon senso di chi chiede il rispetto della legge umana prima che di quella dei cavilli legali che impone ad alcuni di lorodi pagare interessi da usura su dei prestiti in origine a tasso zero che qualche funzionario poco solerte ha scordato di notificare all'Unione Europea rendendoli illegittimi.
La particolarità di questo documentario risiede nello sguardo degli autori - Marco Antonio Pani e Paolo Carboni - osservatori distaccati e partecipi al tempo stesso delle vite di questi uomini che, ben adulti e affaticati da un lavoro che non concede molti passatempi e colpi di testa, decidono di andare nei Palazzi del Potere per far sentire più forte la loro voce di protesta. In una sequenza alternata di stagioni di pascoli che vanno in letargo e rinascono, di greggi che si rigenerano, di cicli produttivi che si rinnovano, i protagonisti cercano il confronto con l’ordine costituito che li accerchia, impedisce loro di parlare, li manganella nei porti, negli aeroporti, nelle strade delle città in cui arrivano per ottenere dignità e un giusto riconoscimento del lavoro.
Trattati da apolidi, bollati discriminatoriamente come pericolosi in quanto pastori, l’Italia delle “Istituzioni forti con i deboli” pone una barriere al loro accesso ai diritti di cittadinanza, li tratta da esuli in patria con l’angheria tipica di chi si ritiene antropologicamente superiore.Le loro sono storie semplici e tragiche: un’azienda agricola sfrattata perché non riesce a pagare un prestito (mentre la banca continua ad intascare i contributi pubblici per loro conto); una famiglia che deve far fronte alla disabilità del figlio; un pastore che dopo aver partecipato ad alcune manifestazioni si ritrova con una cimice nell’auto che ne intercetta ogni spostamento; alcuni di loro inquisiti; un altro che si chiede come fare a cambiare lavoro dopo una vita da pastore…In uno dei tanti blocchi della polizia all'arrivo in porto, la moglie di un pastore racconta della difficoltà di sbarcare il lunario, del reddito di sopravvivenza che non è più garantito neppure da un lavoro che dura 12 ore al giorno e, tra le lacrime, dice: - Non siamo delinquenti, noi siamo gente onesta lavorando dalla mattina alla sera... -.
Ma l’Italia delle città, dei grandi centri commerciali dove i desideri si son trasformati in bisogni, non sente la sua voce.
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