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Lo Hobbit: tra il 3D e la grande arte

Un perfetto film natalizio.
di Rossella Farinotti

In foto una scena del film Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato di Peter Jackson.
Martin Freeman (52 anni) 8 settembre 1971, Aldershot (Gran Bretagna) - Vergine. Interpreta Bilbo Baggins nel film di Peter Jackson Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato.

giovedì 27 dicembre 2012 - News

Lo Hobbit, un viaggio inaspettato è un perfetto film natalizio. Nella presentazione organizzata dalla Warner Bros a Milano gli appassionati tolkieniani, che attendevano impazienti il nuovo film che anticipa la Trilogia, non sono stati delusi.
Lo Hobbit infatti è quasi perfetto a livello di immagini, narrazione e personaggi. Il regista, Peter Jackson, ha mescolato la prima parte dell'omonimo romanzo con altre opere minori di Tolkien, tra cui elementi e personaggi (come Frodo Baggins, Saruman e Galadriel) presenti nelle appendici del "Signore degli anelli", in uno stile di immagini importanti e fragorose, che lasciano poco respiro - in questo caso giustamente - tra un'avventura e l'altra. Le avventure e gli ostacoli che deve affrontare il povero hobbit Bilbo Baggins (interpretato Ian Holm da anziano, e Martin Freeman da giovane) insieme ai suoi compagni, vivono nell'eccesso dei supereffetti e del 3D, un'incidenza che supera quella tradizionale della trilogia. Ma tant'è, è il loro momento -degli effetti e del 3D- e alla fine lo spettacolo giustifica la mediazione coi contenuti. Per questa ragione sopra ho scritto "quasi perfetto", perché il 3D, eclatante e invasivo, oltre a togliere l'idea della pellicola cinematografica e del racconto antico, svela ogni singolo dettaglio, un iperrealismo ancora più "iper". Ma a compensare questa iperbole di immagine ecco che Jackson ricorre a un'altra categoria di immagini, la grande arte. E si rifà a dipinti storici e rigorose architetture pittoriche.

Partendo dalla contemporaneità, un artista dal quale non si può prescindere guardando Lo Hobbit è lo svizzero Hans Ruedi Giger. Giger, tornato in auge nel panorama degli ultimi anni e molto amato negli Stati Uniti, realizza opere di evidente timbro surrealista e simbolico, molto aderente al mondo della fantascienza. Non a caso fu lui a creare, nel 1980, la creatura di Alien insieme all'italiano Carlo Rambaldi, con cui vinsero l'Oscar per gli effetti speciali. Ne Lo Hobbit le lotte armate, il villaggio delle Montagne Nebbiose con i suoi sudditi e i mille teschi che lo affollano, i paesaggi sotterranei dove Bilbo incontra Gollum, o ancora la ricostruzione dei Troll, rimandano alle raffigurazioni di mondi e personaggi di Giger: radici, esseri spaventosi e inquietanti che svelano dettagli quasi ossessivi delle loro fattezze, mondi scuri, dove il grigio è l'unico tono a prevalere, denti, teschi, viscere, tubi, legami. Elementi che si ritrovano in un grande autore, titolare di stile e soggetti esclusivi e anticipatori nella storia delle arti figurative: Bruegel (Pieter, Il vecchio). Lo Hobbit è la sede opportuna delle ricostruzioni pittoriche di Bruegel, con quelle descrizioni del mondo truce e violento in cui viveva e che osservava dall'alto. E poi quel tocco di colori e tecnica che non è improprio avvicinare all'estetica del regista Jackson. Ed è verosimile dire che l'autore neozelandese, il titolare, in cinema, di Tolkien, abbia guardato con molta attenzione il film interamente dedicato al maestro, I colori della Passione, diretto da Lech Majewski, dove Bruegel (Rutger Hauer) dipinge davanti agli occhi dello spettatore uno dei suoi lavori più noti, "La salita al Calvario", che nasce come tableau vivant di attori e vicende che realmente stanno accadendo.
Ne Lo Hobbit Bruegel c'è: nei paesaggi, quelli colorati, a differenza dei grigi e dello scuro alla Giger, ma comunque pericolosi, perché brulicanti di sorprese, dalle vedute d'insieme di colline, alberi, foreste, grotte, foglie, animali, nani in cammino, come il magico panorama del villaggio degli Elfi, Lothlorien, l'unico luogo positivo dove i nani approdano e dove appare una delle figure chiave, la regina degli elfi, Galadriel (Cate Blanchet). Qui avviene un contrappasso, quando Galadriel parla con il mago Gandalf sulla cima del villaggio. La regina appare altissima, bella, di un bianco quasi sacrale, e dietro di lei si staglia un paesaggio magico, alla Bruegel, appunto, che le conferisce l'aspetto di una Madonna, semplice ed essenziale. Osservandone bene il volto, i capelli biondi e l'iride azzurra, pura, sembra un'ispirazione da Piero della Francesca e, perché no, da Botticelli. Ecco che da parte di Tolkien e Jackson, si tocca quell'arte figurativa che si alterna fra contemporaneo e passato, con tocchi di Medioevo fino al nostro Cinquecento.

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