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Il nuovo cinema del Bangladesh alla conquista del mondo

Cala il sipario su Busan con la presentazione di Television.

In foto una scena del film Television

venerdì 12 ottobre 2012 - Incontri

È tutto pronto per la cerimonia di chiusura del Busan International Film Festival. Dopo un'intensa settimana di proiezioni e incontri, domani sera la diciassettesima edizione della più importante rassegna cinematografica asiatica chiuderà i battenti. Il film selezionato per la conclusione del festival è Television, diretto da Mostofa Sarwar Farooki, trentanovenne originario del Bangladesh, al suo quarto lungometraggio. È la prima volta che un film proveniente da questo paese viene scelto per la serata di chiusura del Biff. A raccontare l'emozione di un simile evento, in conferenza stampa, sono il regista, sua moglie - nonché attrice del film - Nusrat Imrose Tisha e l'interprete protagonista Shahir Kazi Huda, un attore non professionista scelto da Farooki per il ruolo del religiosissimo patriarca di un villaggio del Bangladesh che mette al bando la televisione, ritenendola immorale e diseducativa.
Farooki, cosa prova in questo momento così importante per la sua carriera?
Sono molto felice di essere qui a Busan, a presentare il mio film nella serata conclusiva di una rassegna così prestigiosa. Quando ho saputo che la prima mondiale di Television avrebbe chiuso il festival cinematografico più importante in Asia, i miei occhi si sono riempiti di lacrime. E quando poi ho realizzato che sarebbe stato proiettato in uno spazio così capiente, come quello del Cinema Center di Busan, ho pensato: "È troppo grande!". Ma adesso ci siamo ed è un'emozione fortissima, oltre che un motivo di orgoglio per tutto il cinema del Bangladesh. Fino a qualche tempo fa, la nostra cinematografia non era pronta a calcare palcoscenici internazionali di tale rilievo, ma adesso, con l'arrivo di nuovi talenti, i tempi sono maturi. Credo che l'opportunità che mi è stata data, di occupare una ribalta così importante, costituisca un incentivo per i registi del mio paese, in particolare per i giovani filmmaker, a credere nella possibilità di ottenere una visibilità sempre maggiore e di calcare palcoscenici sempre più prestigiosi nel mondo. Perciò ringrazio di cuore chi ha selezionato il mio film per la serata conclusiva del festival.
Qual è stato il percorso intrapreso da Television prima di approdare a Busan?
La gente non guarda al Bangladesh come a un paese di filmmaker, non c'è una scuola di film, né una tradizione cinematografica forte. Così, quando hai un'idea nuova la prima cosa che pensi è come la prenderanno, come la potrai portare avanti. Television è stato selezionato dal Busan Film Festival nell'ambito dell'Asian Cinema Fund - una sezione della rassegna - e nella fase di post-produzione ha ricevuto il supporto del gigante televisivo coreano CJ Powercast. Questo mi ha dato la spinta e la sicurezza necessarie a credere nel progetto e ad andare avanti. In più, mi ha permesso di ottenere i soldi per realizzare il film, cosa certamente essenziale. La selezione mi ha assegnato anche una grande responsabilità nei confronti del pubblico del mio paese e del suo cinema.
In quali condizioni si trova la cinematografia del Bangladesh?
Adesso ci troviamo in una fase di transizione: stiamo vivendo una situazione di subbuglio, con la produzione cinematografica che si è più che dimezzata negli ultimi tempi, passando dagli ottanta ai circa trentacinque film prodotti all'anno. Nonostante ciò, sta avvenendo qualcosa di positivo: l'avvento delle televisioni satellitari, nei primi anni del Duemila, ha imposto all'attenzione del nostro paese un nuovo linguaggio filmico. Molti giovani registi hanno iniziato a lavorare per la televisione, a dirigere video, ed è nata una generazione di filmmaker innovatori. Questi film, trasmessi dalle nuove tv in prima serata, hanno raggiunto un vasto pubblico di giovani in tutto il paese, conquistando consensi. La tappa successiva sarà il passaggio dal piccolo al grande schermo. Penso che, grazie a questa nuova generazione di registi, che ha realizzato prodotti interessanti per la tv e ora inizia a farlo per il cinema, il nostro paese abbia un futuro brillante davanti a sé, anche sotto il profilo del pubblico, che mostra di appassionarsi a queste nuove storie che attingono alla sfera delle emozioni. Per il momento stiamo cercando di consolidare il nostro stile, la nostra sintassi, le nostre peculiarità espressive. Con il supporto di festival come quello di Busan e con un piccolo aiuto da parte del governo, tutta questa energia positiva potrà essere incanalata verso il grande schermo. Sono sicuro che, nei prossimi anni, un numero sempre più consistente di film realizzati in Bangladesh raggiungerà le platee internazionali. Spero, quindi, che all'estero si diffonda un modo nuovo di guardare al mio paese dal punto di vista cinematografico.
A quale genere si può ascrivere Television e quali sono i suoi riferimenti cinematografici?
Non saprei dire a quale genere specifico appartiene il mio film: ci sono elementi da commedia, da satira sociale, altri sentimentali e drammatici. È un po' come la vita, con situazioni più leggere e altre più difficili da affrontare. Television prende spunto dalla vita, con le sue emozioni, le sue gioie, i suoi dolori e i suoi conflitti. Sono molti i registi che amo: i coreani Kim Ki-duk e Lee Chang-dong, il taiwanese Hou Hsiao-Hsien, il cinese Wong Kar-wai, il polacco Kielowski, l'iraniano Farhadi, gli italiani Fellini, Bertolucci e Antonioni, il francese Robert Bresson, per citarne solo alcuni. Avendo così tante passioni cinematografiche, mi risulta impossibile dire se ce n'è qualcuna che mi ha influenzato più delle altre.
Quanto ha influito il contesto sociale attuale del Bangladesh sulla storia da lei raccontata?
Television è incentrato sul conflitto tra modernità e tradizione, sulle lacerazioni familiari che questo comporta, ed è una storia che potrebbe essere ambientata ovunque, perché le istanze di ribellione dei giovani ai diktat dei genitori e gli scontri generazionali caratterizzano ogni paese del mondo, non solo il mio. In più, al pari dei molti giovani filmmaker che si stanno affermando in Bangladesh, devo la mia formazione cinematografica anche alla pirateria, che ha permesso di vedere, nel nostro paese, film provenienti da ogni parte del mondo e di scoprire così nuovi stili e codici espressivi, oltre che nuove storie. La nuova generazione di registi trae spunto da queste storie e le fa proprie, ancorandole alla realtà vissuta in Bangladesh.
Quali sono le caratteristiche del personaggio principale del film?
Sono molto legato al personaggio interpretato da Shahir Kazi Huda, perché è molto simile a mio padre: una figura tradizionalista e conservatrice che si scontra con il figlio ribelle, animato da un desiderio di libertà e innovazione. Nonostante i conflitti provocati nel villaggio, alla fine si scopre che questo vecchio patriarca ha un cuore buono.
Come pensa che il suo film verrà accolto in patria?
Esiste la possibilità che il mio film venga criticato in Bangladesh per come dipinge la società, ma se un gran numero di persone lo apprezzerà, se andrà a vederlo e lo supporterà, le critiche preconcette, basate su concezioni conservatrici, verranno superate dal desiderio del pubblico di vedere questo genere di film e, in questo caso, ne gioverebbe non solo il mio lavoro ma anche quello degli altri giovani filmmaker del mio paese.
Shahir Kazi Huda, quanto è stato difficile per lei, che non svolge abitualmente la professione di attore, interpretare il personaggio del patriarca?
Quando Farooki mi ha proposto di interpretare il protagonista del suo film sono stato onorato e felice di accettare questa sfida. Ero molto spaventato perché si trattava di un personaggio insidioso, ma anche affascinante. Questo mi ha dato la spinta necessaria a impossessarmi del ruolo. Il film è stato girato nel dialetto locale e per me è stato difficile riprodurre l'accento giusto, ho dovuto studiare per mesi, ma alla fine è stata una grande soddisfazione. L'intero film ha a che fare con le emozioni e quindi ho lavorato tanto con il regista sull'interpretazione. Il mio è un personaggio molto religioso, una persona buona, ma eccessivamente superstiziosa, conservatrice, completamente diversa da come sono io nella vita privata. Quindi è stato arduo immedesimarmi nella parte, ci ho lavorato molto e alla fine ci sono riuscito, grazie ai suggerimenti del regista e allo studio del dialetto locale.
Nusrat Imrose Tisha, le donne in Bangladesh sono davvero così emancipate come appare nel film, o si tratta di pura finzione cinematografica?
Il ruolo delle donne nella società del Bangladesh sta cambiando ed è questo che il film mostra. Non posso dire che nel mio paese le donne controllino gli uomini, non vogliono farlo, ma stanno cercando di conquistare un loro spazio di libertà e di spingere gli uomini a lasciarsi andare di più alle emozioni.
Cosa pensa della questione del velo?
Sono cresciuta in un quartiere dove la religione conta molto, io stessa sono religiosa. Credo che coprire il proprio corpo, la propria pelle, non significhi coprire la propria anima. Qualsiasi cosa tu faccia o voglia fare, l'importante è prenderne il meglio per sé e per gli altri. Per il momento le donne non sono libere di decidere autonomamente sulla questione del velo: in Bangladesh non siamo liberi di fare qualsiasi cosa vogliamo, ma stiamo cercando di conquistare la libertà, di trovare il nostro posto nel mondo.

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