luca scialo
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lunedì 28 dicembre 2020
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la legge del contrappasso
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Kang-do è un giovane solitario che come lavoro fa l'estorsore per conto di uno strozzino. Utilizza però dei metodi eccessivamente violenti, spingendo i debitori ad auto-infliggersi delle menomazioni per incassare i premi delle assicurazioni contro gli infortuni e così poter ripagare i debiti. Si tratta principalmente di operai, persone che vivono già una vita modesta. E diventare invalidi non fa che complicargli l'esistenza. Un giorno come tanti, di ordinaria e fredda violenza, si presenta al suo cospetto una donna. Che dice di essere sua madre. Dopo la diffidenza iniziale e vari respingimenti, comincia a crederci davvero. Ma la verità è ben altra. Il cinema sudcoreano è in grande ascesa e sempre molto interessante per la prospettiva diversa con la quale esamina la realtà.
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Kang-do è un giovane solitario che come lavoro fa l'estorsore per conto di uno strozzino. Utilizza però dei metodi eccessivamente violenti, spingendo i debitori ad auto-infliggersi delle menomazioni per incassare i premi delle assicurazioni contro gli infortuni e così poter ripagare i debiti. Si tratta principalmente di operai, persone che vivono già una vita modesta. E diventare invalidi non fa che complicargli l'esistenza. Un giorno come tanti, di ordinaria e fredda violenza, si presenta al suo cospetto una donna. Che dice di essere sua madre. Dopo la diffidenza iniziale e vari respingimenti, comincia a crederci davvero. Ma la verità è ben altra. Il cinema sudcoreano è in grande ascesa e sempre molto interessante per la prospettiva diversa con la quale esamina la realtà. Kim Ki-Duk, che il maledetto Covid-19 ci ha portato via troppo in fretta, ne è stato tra i massimi esponenti. Sebbene anche lui caschi sovente nella pecca, tipica del cinema di quella fetta divisa di mondo, di cascare spesso e volentieri in scene di sesso o violenza gratuite e fuorviante. Quasi come se fossero un dazio da pagare ad ogni occasione. La storia è molto intensa e significativa (del resto, il riconoscimento ottenuto al Festival di Venezia non può essere un cas). Ma qualche sbavatura non manca. Così come la forzatura di insistere su certi punti. Probabilmente, i vicini asiatici cinesi e giapponesi, riescono a mantenere un certo grado di poesia maggiore a cui i sudcoreani devono ancora arrivare. Con qualche eccezione, ovviamente.
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candido89
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martedì 28 aprile 2020
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violenza e pietà come forze di pari valore
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La trama di Pietà è indubbiamente affascinante, con il protagonista tetro e violentissimo nel suo lavoro di 'riscossione crediti'. Il film in sé racchiude anche alcuni colpi di scena non indifferenti, che rendono come piacevole la visione. Un piccolo appunto però occorre farlo: alcune scene sono francamente poco comprensibili anche alla luce dell'intenzione dell'autore. Il protagonista, che durante il giorno rompe gambe e mani dei poveri cristi indebitati, ad un certo punto indossa un paio d'occhiali e con la 'madre' va a vedere un clown fare dei palloncini. Ora, passare dall'essere un assassino spietato a la versione buffa di Forrest Gump è eccessivo.
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La trama di Pietà è indubbiamente affascinante, con il protagonista tetro e violentissimo nel suo lavoro di 'riscossione crediti'. Il film in sé racchiude anche alcuni colpi di scena non indifferenti, che rendono come piacevole la visione. Un piccolo appunto però occorre farlo: alcune scene sono francamente poco comprensibili anche alla luce dell'intenzione dell'autore. Il protagonista, che durante il giorno rompe gambe e mani dei poveri cristi indebitati, ad un certo punto indossa un paio d'occhiali e con la 'madre' va a vedere un clown fare dei palloncini. Ora, passare dall'essere un assassino spietato a la versione buffa di Forrest Gump è eccessivo. Come eccessiva è la scena di erotismo in cui la madre pratica la masturbazione al figlio. Alla luce del finale, risulta quanto meno dubbiosa.
Tolti questi dubbi, il film è valido e lo consiglierei per l'ottima storia.
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pietro viola
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sabato 3 settembre 2016
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il diavolo, probabilmente
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Forse non è il miglior film di kim ki duk. Forse non era da leone d'oro. Manierismo e autocompiacimento a volte stupiscono lo spettatore che ha visto la disarmante crudele purezza di "primavera, estate.." o "ferro 3".
Tuttavia: la storia di questa redenzione sacrificale (il figlio) attraverso la rigida attuazione di un piano di vendetta (la madre) è una delle denunce più forti del cinema contemporaneo contro il potere corruttore del denaro e della conseguente riduzione di ogni cosa a merce, emblema globale dei nostri tempi.
C'è bisogno di recuperare la misericordia, sembra quasi urlare il regista alla fine, perché riemerga il coraggio di muoversi verso il pudore, la semplicità, la gratuità delle cose e dei sentimenti.
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Forse non è il miglior film di kim ki duk. Forse non era da leone d'oro. Manierismo e autocompiacimento a volte stupiscono lo spettatore che ha visto la disarmante crudele purezza di "primavera, estate.." o "ferro 3".
Tuttavia: la storia di questa redenzione sacrificale (il figlio) attraverso la rigida attuazione di un piano di vendetta (la madre) è una delle denunce più forti del cinema contemporaneo contro il potere corruttore del denaro e della conseguente riduzione di ogni cosa a merce, emblema globale dei nostri tempi.
C'è bisogno di recuperare la misericordia, sembra quasi urlare il regista alla fine, perché riemerga il coraggio di muoversi verso il pudore, la semplicità, la gratuità delle cose e dei sentimenti. In una parola, verso la vita
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stefano capasso
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lunedì 9 febbraio 2015
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la pietà è dolorosa
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Kang-do è un uomo di 30 anni che lavora per uno strozzino. Il suo compito è di ottenere il pagamento dei debiti contratti da poveri artigiani in crisi. Lo fa con metodi da macellaio, attirando su di sé il desiderio di vendetta delle vittime e dei loro parenti. E’ un uomo profondamente solo, incapace di provare emozioni.
Un giorno bussa alla sua porta una donna che dice di essere quella madre che lo aveva abbandonato appena nato, e che cercando di essere accolta e perdonata si addossa tutta la responsabilità per quella vita drammatica che il figlio vive. Kang-do, dopo averla rifiutata e sottoposta a sevizie, la accetta e finalmente comincia a sentire emozioni e sentimenti.
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Kang-do è un uomo di 30 anni che lavora per uno strozzino. Il suo compito è di ottenere il pagamento dei debiti contratti da poveri artigiani in crisi. Lo fa con metodi da macellaio, attirando su di sé il desiderio di vendetta delle vittime e dei loro parenti. E’ un uomo profondamente solo, incapace di provare emozioni.
Un giorno bussa alla sua porta una donna che dice di essere quella madre che lo aveva abbandonato appena nato, e che cercando di essere accolta e perdonata si addossa tutta la responsabilità per quella vita drammatica che il figlio vive. Kang-do, dopo averla rifiutata e sottoposta a sevizie, la accetta e finalmente comincia a sentire emozioni e sentimenti. L’amore ritrovato per la madre, lo rende estremamente vulnerabile: la necessità di proteggerla e averla sempre con se, gli fa perdere la ferocia con cui trattava i debitori e ben presto la sua “efficacia” lavorativa. Ma l’intreccio che si scoprirà sarà diverso da quello che appare e porterà ad un ad un finale tragico.
Kim Ki Duk in questo film rende espliciti come mai prima, i suoi temi ricorrenti. L’amore, la rabbia, il sesso, la violenza e il doloroso rapporto con la donna e in particolare con la figura della madre. La spirale rabbia vendetta può arrivare al sentimento della pietà quando si prova sulla propria pelle il dolore dell’altro. La pietà è ciò che emerge in termini positivi in un intreccio che poggia su una tensione da togliere il fiato data dall’interminabile serie di episodi di violenza che Kim Ki Duk riesce a far vivere senza mostrare quasi mai in modo esplicito. E il rapporto col potere, nel caso specifico il denaro, e le sproporzioni che questo crea “dove tutto inizia e dove tutto finisce” che è motivo di innesco di tutti gli intrecci perversi. Un film molto bello in cui il regista sud coreano riesce a mettere al servizio della fruibilità dello spettatore tutte le sue capacità espressive, rinunciando, in parte, al suo tradizionale linguaggio interiore ricco di emotività ed intrecci imprevedibili.
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gummo
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sabato 18 gennaio 2014
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nessuna pietà per nessuno
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Ha bisogno di una seconda visione il diciottesimo film di Kim Ki-duk per essere apprezzato fino in fondo.
"Pietà" ha il grigiore delle lacrime della vendetta che si sviluppa nella sua forma più estrema e gioca crudelmente con il legame madre / figlio. L'affetto indissolubile viene manipolato per gridare la rabbia del torto estremo subito.
E' un film che ti violenta l'animo. Jo Min-Su è da premio Oscar.
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rita branca
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sabato 14 settembre 2013
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amor omnia vincit
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Pietà, film (2012 Leone d’Oro a Venezia) del coreano Kim Ki-Duk con Lee Jung-jin e Jo Min-soo
Potente film drammatico ambientato in una brutta e degradata metropoli orientale che presenta la spietata vita degli schiavi contemporanei, vittime dei ricatti di usurai che estorcono il danaro prestato con interessi del 1000%, impossibile da pagare con gli introiti scarsi di lavori svolti in misere officine, ed incassati comunque attraverso i premi assicurativi ottenuti con le storpiature provocate apposta dagli estorsori che cercano di impedirne la morte solo perché inutile economicamente.
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Pietà, film (2012 Leone d’Oro a Venezia) del coreano Kim Ki-Duk con Lee Jung-jin e Jo Min-soo
Potente film drammatico ambientato in una brutta e degradata metropoli orientale che presenta la spietata vita degli schiavi contemporanei, vittime dei ricatti di usurai che estorcono il danaro prestato con interessi del 1000%, impossibile da pagare con gli introiti scarsi di lavori svolti in misere officine, ed incassati comunque attraverso i premi assicurativi ottenuti con le storpiature provocate apposta dagli estorsori che cercano di impedirne la morte solo perché inutile economicamente.
E’ in questo contesto dai colori fortemente contrastanti, soprattutto nero e rosso, metafore di sporco / paura/ vendetta / amore/ sangue / morte, che si muove la vita violenta del bellissimo, crudele e infelicissimo esattore Lee Gang-do.
La sua giornata, alle dipendenze di un altrettanto spietato boss, che è rivelato solo verso la fine, comincia, si svolge e si conclude in solitario. Impressiona il contrasto dei suoi bellissimi lineamenti che ingannevolmente promettono solo dolcezza, e che invece, senza la minima contrazione, accompagnano le sue disumane azioni criminali ai danni di poveri derelitti. Quando infierisce sulle vittime rassegnate sembra corazzato di impenetrabile amianto che nulla sembra avere di umano, è refrattario alla pietà: niente lo scalfigge, né la vista del dolore fisico, né le implorazioni, né le umiliazioni dei disperati che subiscono le sue angherie.
Normalmente chi si comporta così deve aver subìto un colpo mortale che gli ha lacerato l’anima facendo scivolar via il cuore. E’ così anche nel suo caso. Lo spettatore lo scopre quando gli si presenta una bellissima donna, che dice di essere la madre che lo ha abbandonato 30 anni prima, alla nascita e gli chiede ripetutamente perdono senza raccontare altro. Anche a lei, a cui inizialmente non crede, Lee Gang-do riserva trattamenti terribili, ma poi la dolcezza di lei, le attenzioni che gli mostra, lo fanno capitolare e si affeziona a tal punto da essere tormentato dalla paura che possa venirgli di nuovo a mancare.
La rinascita del protagonista è evidenziata gradualmente, e balza agli occhi quando è folgorato dal racconto di un operaio pronto a farsi rompere le ossa di entrambe le mani, per poter pagare il debito e assicurarsi un premio che gli permetta di far crescere dignitosamente il bambino che sta per nascere. Ma la sorpresa maggiore deve ancora arrivare.
Intensissimo film, giustamente premiato, in cui oltre l’ottima recitazione spiccano la fotografia e la colonna sonora altrettanto ammirevoli.
Rita Branca
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antonio canzoniere
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mercoledì 11 settembre 2013
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il leone violato
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La Pietà, non riguarda tanto il film, quanto il regista. Kim Ki Duk, negli anni passati, aveva costruito il suo cinema su un trittico magico: Sesso-Violenza-Crudeltà. In questo film li ritroviamo tutti...ma cos è cambiato? La storia prometteva bene sulla carta: un sicario sanguinario che scopre il Bene attraverso una donna misteriosa, la Madre, il cui arrivo sovverte i principi e l'insano equilibrio della sua esistenza. Nel descrivere il microcosmo della baraccopoli coreana dove il protagonista svolge il ruolo di "Angelo Tentatore", assillando i clienti per la riscossione dei debiti -sottotrama chiaramente presa da L'argent di Bresson-, il regista inietta di sua volontà risvolti parossistici, ridondanti -fin troppo compiaciuti-, cercando di (far) riflettere sui risvolti sociopolitici che si mischiano tragicamente all'intimità del focolare.
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La Pietà, non riguarda tanto il film, quanto il regista. Kim Ki Duk, negli anni passati, aveva costruito il suo cinema su un trittico magico: Sesso-Violenza-Crudeltà. In questo film li ritroviamo tutti...ma cos è cambiato? La storia prometteva bene sulla carta: un sicario sanguinario che scopre il Bene attraverso una donna misteriosa, la Madre, il cui arrivo sovverte i principi e l'insano equilibrio della sua esistenza. Nel descrivere il microcosmo della baraccopoli coreana dove il protagonista svolge il ruolo di "Angelo Tentatore", assillando i clienti per la riscossione dei debiti -sottotrama chiaramente presa da L'argent di Bresson-, il regista inietta di sua volontà risvolti parossistici, ridondanti -fin troppo compiaciuti-, cercando di (far) riflettere sui risvolti sociopolitici che si mischiano tragicamente all'intimità del focolare. Non che gli riesca...
Un esempio: Hitchcock stesso disse che Psycho era un capolavoro perchè non frutto di trovate eccessivamente virtuosistiche: il tutto stava nel saper utilizzare bene il materiale quanto la storia. Questa divenne la Regola Massima del cinema, ma, per ironia, Kim Ki Duk ha perso, con questo film, sia la sua versatilità quanto il buon senso, quindi il "Genio". Come riuscire a raccontare una storia così torbida, funerea, allucinante, senza il savoir faire? Forse inquadrando i protagonisti con delle riprese così scadenti che un ragazzo di 15 anni sarebbe capace di rifare nel migliore dei modi solo col suo iPhone? Costringendo la sua attrice ad entrare anima e corpo in un personaggio umiliante, manco stessimo vedendo un porno o un film di Von Trier? Usando un'ironia sporca quanto ridicola in alcune parti? Non saprei. Ma questo non è certo il modo. Chissà che avrà mai visto Michael Mann -presidente della giuria a Venezia- dietro queste immagini...
P.S: Spero che la povera Jo-Min Su sia andata da uno strizza cervelli per tutto quello che le ha fatto passare il regista, anche se l'hanno ricoperta di premi in Asia.
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barone2000
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martedì 10 settembre 2013
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poteva essere tutto ma è stato di tutto un po'
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Un giovane sudcoreano violento, satiriasico e ridicolo. Cresciuto senza la madre, cioè senza amore, e per questo violento e satiriasico. E' uno strozzino che invalida i debitori per riscuotere i soldi dell'assicurazione e così appianare i debiti (contratti stupidamente) con un interesse pari al mille per mille. La madre di un giovane debitore suicida si fa passare per la madre dello strozzino dando il via alla scia di ripensamento e piantando il seme della citata pietà per poi distruggere la sua opera con la premeditata vandetta. Alla fine si suicidano tutti. Non riesco davvero ad unirmi alla schiera degli incensatori di questa assurdità. Davvero ho provato ad apprezzare qualcosa, e alla fine ce l'ho fatta, ma la non curanza con cui Kim Ki-Duk scivola nella banalità fa davvero perdere peso a questo esercizio di stile.
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Un giovane sudcoreano violento, satiriasico e ridicolo. Cresciuto senza la madre, cioè senza amore, e per questo violento e satiriasico. E' uno strozzino che invalida i debitori per riscuotere i soldi dell'assicurazione e così appianare i debiti (contratti stupidamente) con un interesse pari al mille per mille. La madre di un giovane debitore suicida si fa passare per la madre dello strozzino dando il via alla scia di ripensamento e piantando il seme della citata pietà per poi distruggere la sua opera con la premeditata vandetta. Alla fine si suicidano tutti. Non riesco davvero ad unirmi alla schiera degli incensatori di questa assurdità. Davvero ho provato ad apprezzare qualcosa, e alla fine ce l'ho fatta, ma la non curanza con cui Kim Ki-Duk scivola nella banalità fa davvero perdere peso a questo esercizio di stile. Non nego l'espressività delle immagini e talvolta la poeticità della sceneggiatura, che ho apprezzato molto, ma nel complesso credo che sia un'opera steriotipata. Kim Ki-Duk voleva una critica al capitalismo selvaggio, ma il risultato è un grande miscuglio di idee, cioè l'incompresibilità. Su questo minestrone stravince la vendetta portata a termine da una madre disperata che non teme di togliersi la vita pur di ottenerla. La madre, interpretata dalla perla più grande di questo film, Jo Min-Su, è lo scorcio della pietà che poi lei stessa rinnega. Allora questa non è pietà. Come dicevo sono i troppi alti e bassi a non convincere: si passa da scene di una ossessione sessuale agghiacciante a momenti davvero poetici quale la medre piangente sul proprio figlio, per non citarne altri. Insomma, un finale lirico, potente e struggente, il canto dell'eterno Kyrie Eleison, Christe Eleison sulla nostra decadente umanità, non sufficit a risollevare le sorti di questo film che poteva essere tutto ed è stato, invece, di tutto un po'.
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[+] sono assolutamente daccordo, un opera manicheista
(di miaobao)
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andre89lost
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giovedì 15 agosto 2013
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angosciante..
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Pietà è un film con trama lineare che tiene col fiato sospeso fino alla fine. La crudezza del film tocca in alcuni punti apici insopportabili che rendono la storia angosciante ma tremendamente reale. Gli attori sono molto bravi e intensi e la fotografia molto suggestiva.
Un film denso, cupo e impegnativo, ma consiglio di vederlo.
Ps. Ma l'ironia tanto decantata dai critici dov'è?!
voto: 8 , film per adulti.
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arnaco
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sabato 3 agosto 2013
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ironia
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Marianna Cappi afferma che il film si salva grazie a “una massiccia dose di ironia”. Per Gynt parla di “immagini iperrealiste e dotate di graffiante ironia”. La definizione di ironia secondo il dizionario della lingua italiana è “modo di dissimulare il proprio pensiero o di esprimerlo più efficacemente per mezzo di parole che hanno significato opposto a quello reale”.
Chiederei allora ai due recensori - o a chiunque altro abbia voglia di farlo - di spiegarmi quali sono i pensieri che nel film vengono espressi con significato opposto a quello reale.
Se invece ci si riferisce al secondo significato di ironia che, sempre secondo il dizionario, è “sorta di umorismo che ha dello scherno; sarcasmo” allora proprio non capisco.
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Marianna Cappi afferma che il film si salva grazie a “una massiccia dose di ironia”. Per Gynt parla di “immagini iperrealiste e dotate di graffiante ironia”. La definizione di ironia secondo il dizionario della lingua italiana è “modo di dissimulare il proprio pensiero o di esprimerlo più efficacemente per mezzo di parole che hanno significato opposto a quello reale”.
Chiederei allora ai due recensori - o a chiunque altro abbia voglia di farlo - di spiegarmi quali sono i pensieri che nel film vengono espressi con significato opposto a quello reale.
Se invece ci si riferisce al secondo significato di ironia che, sempre secondo il dizionario, è “sorta di umorismo che ha dello scherno; sarcasmo” allora proprio non capisco. Ho rivisto il film una seconda volta nel tentativo di trovarvi tracce di umorismo, scherno o sarcasmo, ma non le ho trovate; anzi penso che sia come cercare dell’ironia in una tragedia greca. Ma può darsi che mi sia sfuggito qualcosa; illuminatemi prego!
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