writer58
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domenica 14 ottobre 2012
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sessanta anni dopo...
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Tradurre in immagini il libro di Kerouac "on the road" è un'impresa straordinariamente complessa. Il libro di kerouac è un'opera di più di 300 pagine, scritta di getto, che narra l'andirivieni di un insieme di personaggi dall'Est all'Ovest degli Stati uniti con un linguaggio che pare la trasposizione letteraria del bebop. E' un libro-manifesto, percorso da un ansia vitale frenetica, che mescola dialoghi surreali, desideri di trasgressione, ricerca di esperienze "assolute" che possano eternizzare il tempo, scambi e performance (guidare per 48 ore consecutivamente , per esempio) ai limiti della sopportazione umana. Il regista Walter Salles (autore del bel film " I diari della motocicletta") ha provato a sintetizzare questa materia sterminata, focalizzando l'attenzione sui rapporti tra Dean e Sal (la trasposizione letteraria dello stesso Kerouac) e proponendo solo alcuni scorci degli spostamenti che collegano New Iork, la California, Denver, le praterie del Mid West, il Messico.
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Tradurre in immagini il libro di Kerouac "on the road" è un'impresa straordinariamente complessa. Il libro di kerouac è un'opera di più di 300 pagine, scritta di getto, che narra l'andirivieni di un insieme di personaggi dall'Est all'Ovest degli Stati uniti con un linguaggio che pare la trasposizione letteraria del bebop. E' un libro-manifesto, percorso da un ansia vitale frenetica, che mescola dialoghi surreali, desideri di trasgressione, ricerca di esperienze "assolute" che possano eternizzare il tempo, scambi e performance (guidare per 48 ore consecutivamente , per esempio) ai limiti della sopportazione umana. Il regista Walter Salles (autore del bel film " I diari della motocicletta") ha provato a sintetizzare questa materia sterminata, focalizzando l'attenzione sui rapporti tra Dean e Sal (la trasposizione letteraria dello stesso Kerouac) e proponendo solo alcuni scorci degli spostamenti che collegano New Iork, la California, Denver, le praterie del Mid West, il Messico. A mio giudizio, è stata una buona scelta, per non soccombere davanti al peso della materia originale, anche se il film risente di un approccio un po' frammentario e alcuni personaggi fondamentali (Ginsberg, tra altri) assumono un ruolo di comparse secondarie.
La ricostruzione dell'America dell'inizio degli anni '50 mi è apparsa convincente e gli attori sono credibili. MaryLou (interpretata da una bravissima Kristen Stewart) è perfetta nel ruolo della ragazza seducente e trasgressiva, che mescola ingenuità e provocazione. Dean viene rappresentato invece come un soggetto dipendente dall'adrenalina e completamente privo di scrupoli morali, forse forzando un po' il personaggio del romanzo. Ma l'evoluzione dei rapporti tra i due protagonisti, dal travolgente sodalizio iniziale fino al distacco, è narrato in modo sostanzialmente efficace e la psicologia dei personaggi appare sufficentemente approfondita.
In sintesi: una buona prova tenendo presente le difficoltà del compito.
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transatlanticism
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lunedì 15 ottobre 2012
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sesso,droga e on the road
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Ho letto il libro a 16-17 anni e da brava adolescente l'avevo amato moltissimo. Ero molto curiosa di questa versione cinematografica (finalmente)e devo dire che Walter Salles non mi ha delusa.
Il film inizia con qualche difficoltà, per i primi 15 minuti si ha la sensazione che non riesca a prendere il ritmo giusto per poter decollare, risulta lento e leggermente sconclusionato nella descrizione iniziale dei personaggi. Ma poi, dopo la noiosa e un po' fastidiosa introduzione, il ritmo comincia ad incalzare e le 2 ore e più successive, volano via velocissime.
Gli attori sono bravi e molto immedesimati nei personaggi. Garret Hedlund rappresenta alla perfezione un Dean bello e totalmente privo di senno ( forse un po' troppo Bello&Dannato rispetto al personaggio descritto nel libro) che fa innamorare chiunque senza neanche provarci.
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Ho letto il libro a 16-17 anni e da brava adolescente l'avevo amato moltissimo. Ero molto curiosa di questa versione cinematografica (finalmente)e devo dire che Walter Salles non mi ha delusa.
Il film inizia con qualche difficoltà, per i primi 15 minuti si ha la sensazione che non riesca a prendere il ritmo giusto per poter decollare, risulta lento e leggermente sconclusionato nella descrizione iniziale dei personaggi. Ma poi, dopo la noiosa e un po' fastidiosa introduzione, il ritmo comincia ad incalzare e le 2 ore e più successive, volano via velocissime.
Gli attori sono bravi e molto immedesimati nei personaggi. Garret Hedlund rappresenta alla perfezione un Dean bello e totalmente privo di senno ( forse un po' troppo Bello&Dannato rispetto al personaggio descritto nel libro) che fa innamorare chiunque senza neanche provarci. Sam Riley (che a prima vista non mi aveva convinta un gran che) è decisamente bravo! Con questi occhi tristi e visetto da eroe tragico è davvero un convicente Sal. Kristen Stewart che a mio parere è molto diversa da come Marylou viene descritta nel libro, fa però un ottimo lavoro. Crea questa ragazzina che è un misto di innocenza e peccato e che non conosce altro modo di affermare se stessa se non attraverso le varie pratiche sessuali (peccato però che le sue battute siano davvero poche. Rispetto al libro, questa Marylou è molto taciturna e basata tantissimo sulla gestualità).Sorprendente è anche la recitazione di Tom Sturridge! Il suo Carlo Marx è fantastico! A mio parere, il personaggio più ben riuscito e recitato di tutto il film. Si prova davvero tenerezza per questo povero poetucolo, triste e perdutamente innamorato (senza speranza) di Dean. Bravissimi anche Kirsten Dunst, Viggo Mortensen,e Amy Adams. Che però sono relegati a piccoli personaggi di contorno.
Il film è forse, in alcuni momenti, troppo esplicito. Ogni tanto, si ha la sensazione che ci siano citazioni e allusioni sessuali gratuite e senza utilità (solo per rendere più "trasgressiva" la scena).
Tutto sommato e tralasciando alcune sfumature,è un film lungo ( quasi 2 ore e 30) ma piacevole e davvero scorrevole. Quindi non fatevi scoraggiare dal piccolo intoppo iniziale, vedrete che il resto del film vi soddisferà.
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renato volpone
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sabato 13 ottobre 2012
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una strada senza polvere
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Una strada senza polvere quella di questo film. Il racconto parte con ragazzo, Sal, che dopo la morte del padre decide di girare l'America....incontrerà strani personaggi e su tutti Dean, bello e dannato, che tutti, uomini e donne, fa innamorare. Le avventure e gli incontri sono però sempre un po' troppo patinati e puliti per essere veri. Dean ci porta alla memoria il bel Dorian Gray, non sicuramente il ragazzo di strada: sicuro di se, ma profondamente fragile. Sal, invece, non partecipa, osserva e scrive su ogni pezzetto di carta immaginabile, ma questo l'abbiamo già visto altrove. Ogni personaggio ruba un po' l'anima degli altri senza lasciare spazio a sentimenti ed emozioni.
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Una strada senza polvere quella di questo film. Il racconto parte con ragazzo, Sal, che dopo la morte del padre decide di girare l'America....incontrerà strani personaggi e su tutti Dean, bello e dannato, che tutti, uomini e donne, fa innamorare. Le avventure e gli incontri sono però sempre un po' troppo patinati e puliti per essere veri. Dean ci porta alla memoria il bel Dorian Gray, non sicuramente il ragazzo di strada: sicuro di se, ma profondamente fragile. Sal, invece, non partecipa, osserva e scrive su ogni pezzetto di carta immaginabile, ma questo l'abbiamo già visto altrove. Ogni personaggio ruba un po' l'anima degli altri senza lasciare spazio a sentimenti ed emozioni. Personaggi belli, erotici, brillanti, ma il loro brillare si spegne in uno svolgersi del tempo troppo veloce, su macchine troppo potenti per gli anni cinquanta, per una vita spericolata senza nessun rischio. L'idea è buona, ma manca il bianco e nero, manca il giallognolo delle foto di James Dean, manca il profumo del dopoguerra, manca la poesia degli anni cinquanta.
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benedetta spampinato
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mercoledì 26 dicembre 2012
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"on the road: sulle rombanti strade della vita"
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Giovani poeti ubriachi e brulicanti di vita, essenze nella mente, pensieri che superano il tempo, transizioni di vita e morte, eroina nelle vene, ragazzine bionde e melanconiche, consunte sigarette di hipsters fannulloni e girovaganti, macchine da scrivere, lacrimanti parole stralunate ed allucinate: è questa l’America di cui ci parla J. Kerouac nel suo romanzo manifesto della beat generation, On the road, da cui il regista W. Salles ha tratto l’omonima pellicola, presentata a Cannes ed uscita nelle nostre sale l’undici ottobre.
Centoquaranta minuti di intensi dialoghi e fotogrammi di fogli sui quali scrivere una storia, la più grande storia mai scritta da Sal; quest’ultimo, nel lontano inverno del 1947, decide di fare un viaggio con il muscoloso Dean Moriarty, coinvolgendo C.
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Giovani poeti ubriachi e brulicanti di vita, essenze nella mente, pensieri che superano il tempo, transizioni di vita e morte, eroina nelle vene, ragazzine bionde e melanconiche, consunte sigarette di hipsters fannulloni e girovaganti, macchine da scrivere, lacrimanti parole stralunate ed allucinate: è questa l’America di cui ci parla J. Kerouac nel suo romanzo manifesto della beat generation, On the road, da cui il regista W. Salles ha tratto l’omonima pellicola, presentata a Cannes ed uscita nelle nostre sale l’undici ottobre.
Centoquaranta minuti di intensi dialoghi e fotogrammi di fogli sui quali scrivere una storia, la più grande storia mai scritta da Sal; quest’ultimo, nel lontano inverno del 1947, decide di fare un viaggio con il muscoloso Dean Moriarty, coinvolgendo C. Marx, Old Bull Lee, la moglie di Dean, Marylou ed altri nomadi alla ricerca di sé stessi. Dietro questi nomi fittizi si celano le reali persone che fecero questo viaggio: J. Kerouac, Neal Cassady, Allen Ginsberg, W. Borroughs e LuAnne Henderson. Lo scrittore, infatti, non dichiara i veri nomi, perché non vuol cadere nell’autobiografismo: il suo è lo specchio di un’epoca e qualunque altro ragazzo poteva incarnare un Dean o un Sal. Questo è un giovane pieno di sogni, visioni, amante dei «pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbagliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio.» È uno scrittore, come dire, work in progress, ansioso di raccontare una narcotica esperienza senza intoppi grammaticali o pudori. E ci riesce benissimo: On the road venne scritto su un rotolo di carta in tre settimane, ma il film che vediamo è tratto da un’antecedente edizione da poco ritrovata. Sal era sicuro che da quel viaggio «avrebbe ricevuto la perla» poi, però, iniziano i dubbi, gli interrogativi esistenziali che tormentano i pellegrini. «Dissi a Dean che la cosa che ci legava tutti quanti insieme in questo mondo era invisibile» dice Sal.
Il verbo dovere diventa un paradigma di vita, al contrario della spinta ideale dell’omerico Odisseo, l’eccitante esaltazione sviene in una ridda in cui il dinoccolato Dean uccide il mistero di cui egli stesso è fatto. «La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza» annotava W. Blake, ma che ne vale quando gli occhi lacrimano (molto suggestiva l’immagine di Dean e Marylou che piangono), perché mancanti di un presente che vuol farsi riconoscere? In fondo, se non si parte con una domanda, che senso ha il viaggio? «Non c’è tempo: dobbiamo partire» ripete ossessivamente Dean, profetizzando la triste condizione del nostro secolo. È proprio il misticismo dell’opera che la rende grandiosa e commovente. Kerouac, come i suoi compagni di viaggio, fu un grande religioso. È questo che differenzia la beat generation dallalost generation.
«Quando attraversammo il confine tra il Colorado e lo Utah, vidi Dio nel cielo sotto forma di un enorme ammasso di nuvole dorate dal sole sopra il deserto: il nuvolone sembrava puntare un dito contro di me e dire: "Passa e vai, sei sulla strada del paradiso".»
«In una civiltà in cui si sta bene, ma no troppo»(F. Pivano) gli emarginati, amanti di C. Parker ed E. Fitzgerald, cercano un senso da dare alla miseria della vita, tra estasi alcoliche e archetipi americani (come quello dello spazio aperto e del self-made-man). Un’America triste, puttana, (ma anche) madre buona e spesso illusoria negli anni in cui Lou Reed «non sapeva dove andare»; B. Dylan urlava a squarciagola di sentirsi «come una pietra che rotola» e il presidente H. Truman provava a non usare le armi durante un’inquietante Guerra Fredda. Kerouac voleva raccontare proprio quest’ipocrisia, questo silenzio prima della tempesta tra marijuana, sesso, autostop, macchine d’epoca, donne che, come Marylou e Camille, sono condannate alla vecchia condizione: chi cerca di svincolarsi, vendendosi al mercificato dio-sesso, chi tenta la quiete di una detestabile famiglia. L’incantesimo si dissolve, poi: «Nessuno può arrivare a quella cosa. Viviamo nella speranza di riuscire ad afferrarla una volta per tutte» dice Sal, ribadendo quell’angoscia che attanaglia il giovane Moriarty. Sal Kerouac è solo un filtro nella narrazione. I veri protagonisti sono Dean, Marylou, Carlo e tutti gli altri. Lui è un umile viaggiatore, il menestrello di una generazione che non giudica, ma si muove. C’è da chiedersi se oggi sia possibile un viaggio come questo, nell’epoca del digitale e dei satellitari.
In fondo, noi dove stiamo andando? La nostra cultura si riferisce costantemente al periodo storico di On the road, quasi come non ne fosse uscita viva. Probabilmente, non c’è mai stato posto per gli angry young men, fuorché all’interno di stereotipi di “folli” ed “incompresi” (basti pensare alla tragica fine dell’attore James Dean). Kerouac morì di cirrosi epatica, quindi è rimasto chiuso all’interno dell’etichetta “poeta-maledetto”, non molto diverso da C. Baudelaire o E. Hemingway, ma questo non basta.
Strade impervie, tramonti rossastri su S. Francisco e stelle ammiccanti la strada, quella che indica sempre verso sud- ovest. Pollice alzato, una mano tra i capelli e occhi folgorati al cospetto di artemisie e campi di grano, un trabiccolo sgangherato e fogli consunti fatti per essere scarabocchiati: questo è On the road.
Il grande premio che va a W. Salles (già noto per I diari della motocicletta) è proprio la fedeltà al testo, coadiuvato dalla produzione di Francis Ford Coppola e dalla sublime fotografia di Eric Gautier. Ci sono, poi, giovani attori promesse del cinema venturo (Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart), attori già noti al pubblico (Viggo Mortensen, Kirsten Dunst, Steve Buscemi) e raffinate colonne sonore curate da G. Santaolalla.
La storia è sicuramente modernizzata e quindi attira il pubblico giovanile.
Dopo la proiezione, ci si rende conto di un cambiamento, un risveglio, un nuovo pensiero.
«E allora penso a Dean Moriarty,
penso perfino al vecchio Dean Moriarty,
padre che non abbiamo mai trovato,
penso a Dean Moriarty.»
da On the road
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zoom e controzoom
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mercoledì 24 ottobre 2012
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il '68? roba da educandato
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Non avendo letto o non ricordando minimamente quel che è stato il libro di Kerouac che ha suscitato scalpore, si potrebbe pensare che il ’68, sia stato il periodo dei più recenti sconvolgimenti giovanili e di idee, ma si va incontro ad un forte shock quando ci si rende conto di cos’erano gli anni ’40, vedendo On the road: è come aver pensato per una vita, che un compleanno in un educandato possa essere il massimo dell’anticonformismo.
On the road, non ha una storia – le storie classicamente intese che s’intrecciano tra i personaggi -, racconta delle storie che hanno il senso compiuto ogni qualvolta questo è la traccia del percorso di una persona; concludere, non è questo il senso estetico, letterale o morale del film, nel film ogni stralcio che lo compone porta lontano dal punto di partenza, in un continuo srotolarsi di eventi, come poi è ogni vita normale, anche se sullo schermo generalmente il regista ad un certo punto, ci mette una fine.
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Non avendo letto o non ricordando minimamente quel che è stato il libro di Kerouac che ha suscitato scalpore, si potrebbe pensare che il ’68, sia stato il periodo dei più recenti sconvolgimenti giovanili e di idee, ma si va incontro ad un forte shock quando ci si rende conto di cos’erano gli anni ’40, vedendo On the road: è come aver pensato per una vita, che un compleanno in un educandato possa essere il massimo dell’anticonformismo.
On the road, non ha una storia – le storie classicamente intese che s’intrecciano tra i personaggi -, racconta delle storie che hanno il senso compiuto ogni qualvolta questo è la traccia del percorso di una persona; concludere, non è questo il senso estetico, letterale o morale del film, nel film ogni stralcio che lo compone porta lontano dal punto di partenza, in un continuo srotolarsi di eventi, come poi è ogni vita normale, anche se sullo schermo generalmente il regista ad un certo punto, ci mette una fine.
Molto intenso e travolgente, il film ci porta all’interno dei personaggi, lontani mille miglia dalla nostra contemporaneità piatta, mediocre, senza idee ed iniziative se non quelle indicate dalla non-cultura corrente, eppure ci si immedesima nella follia giovanile ricca di sogni e convinzioni.
“Schizzati” sarebbe il termine più consono a definire i personaggi, ma sono attori e come attori a loro va anche il merito della riuscita di questo film.
Il ritmo è alterno come la musica: incalzante quando è necessario sottolineare il momento, ma molto ben calibrato agli altri momenti, quelli del confronto e del dialogo.
Molto bella la fotografia che propone è vero i soliti paesaggi di ampio respiro, ma dosati senza compiacimenti; molto belle la scelte dei primi piani quasi mai troppo spinti pur essendo di quelli che ragionano per “esclusione” e quindi dando il peso necessario a ciò che stà intorno, alla composizione, alla ripresa di quinta, alla luce che crea chiaroscuri, per accentrare l’attenzione sul soggetto. Un film che lascia soddisfatti per la completezza anche se l’abitudine a ricercare in una storia un inizio ed una fine, qui, non trova soddisfazione, ma insegna ad accettare di essere anche osservatori passivi e ad uscirne senza una morale a tutti i costi. E così si fa, lasciando che lo sguardo di Dean, sguardo mai indossato fino a quel momento, uno sguardo finalmente doloroso, si allontani inghiottito dalla città su di una strada dove per l’ultima volta – forse – i destini suo e di Sal si sono incrociati: e non ci chiediamo che fine farà.
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bonnard
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sabato 20 ottobre 2012
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omaggio agli hipsters
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Nella pellicola On the road, tratta dall'omonima opera di Kerouac, i ricordi dello scrittore si sostanziano in una tranche de vie che testimonia una giovinezza sregolata ed errabonda. Il protagonista (lo stesso Kerouac che alla fine del film non troppo genialmente prende in mano la penna per mettere su carta le precedenti avventure "sulla strada") viene accompagnato da alcuni amici, giovani squattrinati con vizio di alcol e droghe di ogni genere, in un inconcludente viaggio senza inizio nè meta. Kerouac, come i propri compagni di viaggio, non sembra coinvolto in una crescita personale e psicologica, restando ancorato ad una superficie opaca, che ben poco fa trasparire il senso profondo di inadeguatezza e ribellione alla vita comune della Beat Generation.
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Nella pellicola On the road, tratta dall'omonima opera di Kerouac, i ricordi dello scrittore si sostanziano in una tranche de vie che testimonia una giovinezza sregolata ed errabonda. Il protagonista (lo stesso Kerouac che alla fine del film non troppo genialmente prende in mano la penna per mettere su carta le precedenti avventure "sulla strada") viene accompagnato da alcuni amici, giovani squattrinati con vizio di alcol e droghe di ogni genere, in un inconcludente viaggio senza inizio nè meta. Kerouac, come i propri compagni di viaggio, non sembra coinvolto in una crescita personale e psicologica, restando ancorato ad una superficie opaca, che ben poco fa trasparire il senso profondo di inadeguatezza e ribellione alla vita comune della Beat Generation. In particolare, il protagonista appare quasi un semplice spettatore/osservatore delle trasgressioni del gruppo di amici: furti, festini a base di droga, orge, viaggi interminabili attraverso l'apparentemente sconfinata America. A tal punto che, come già programmaticamente dichiara il titolo, il protagonista di questo film risulta essere piuttosto la strada. Sapiente l'utilizzo della colonna sonora, musica jazz che, oltre a riscoprire filologicamente l'atmosfera dell'epoca, riesce a sottolineare nella propria imprevedibilità e irregolarità, l'essenza del film. Nel complesso On the road riesce a farci assaporare l'atmosfera problematica e trasgressiva degli hipsters della Beat, limitandosi però a un'enumerazione poco concludente di scene di sesso, droga & jazz, non riuscendo a toccare le corde del cuore del pubblico e, di fatto, non emozionando.
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raltok
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lunedì 24 dicembre 2012
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beat generation
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Forse l'inizio un po' lento e difficile da capire, ma dopo le prima mezz'ora incomincia a farsi sentire il romanzo di Kerouac. Consideriamo il film nell'insieme.. Attori adatti per questo tipo di film e soprattutto ottimi nella recitazione. Colonna sonora a dir poco epica. Jazz, jazz, jazz e ancora jazz. Proprio come avrebbe voluto Kerouac. Paesaggi mozzafiato e geniali le riprese del viaggio in strada. E alla fine del film resta un po' di amarezza.. Perchè in fondo tutti vorremmo che il viaggio continuasse.. All'infinito. Aspetto con ansia il dvd che uscirà a fine febbraio.
[+] rilancio, puntando sulla mediocrità espressiva..
(di hermes v. b. malavasi)
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jacopo b98
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giovedì 2 maggio 2013
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salles non riesce ad influenzare rivera e fallisce
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Alla fine degli anni ’40 la storia del viaggio, nel nome degli ideali della beat generation, di Sal Paradise (Riley), Dean Moriarty (Hedlund) e della sua seducente ex moglie Marylou (Stewart), tra sesso, droga e alcol. Dal romanzo culto di Jack Kerouac, quest’adattamento del manifesto della beat generation, pensato sin dal 2004, ma realizzato solo nel 2012, si regge sulla malfatta sceneggiatura di Jose Rivera. Il film ha parecchi difetti e spoglia la beat generation di tutto quel “fascino” che poteva avere, e tra un’orgia e l’altra lo spettatore ha solo il tempo di essere disgustato da una banda di ragazzi che per più di due ore non fa altro che drogarsi, organizzare orge e masturbarsi nudi in macchina.
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Alla fine degli anni ’40 la storia del viaggio, nel nome degli ideali della beat generation, di Sal Paradise (Riley), Dean Moriarty (Hedlund) e della sua seducente ex moglie Marylou (Stewart), tra sesso, droga e alcol. Dal romanzo culto di Jack Kerouac, quest’adattamento del manifesto della beat generation, pensato sin dal 2004, ma realizzato solo nel 2012, si regge sulla malfatta sceneggiatura di Jose Rivera. Il film ha parecchi difetti e spoglia la beat generation di tutto quel “fascino” che poteva avere, e tra un’orgia e l’altra lo spettatore ha solo il tempo di essere disgustato da una banda di ragazzi che per più di due ore non fa altro che drogarsi, organizzare orge e masturbarsi nudi in macchina. Anche gli ideali sul senso della vita, vivere tutto e subito, sono espressi solo in modo superficiale e alla fine lo spettatore non fa che chiedersi: “Ma nella beat generation erano tutti così?”. La sceneggiatura è monotona, talvolta sciocca e banale, ma soprattutto è troppo lunga: il film, realizzato così, avrebbe potuto tranquillamente durare la metà, dato che alcune scene sono così presenti che sembra che Rivera abbia voluto accumulare tutti i vizi dei giovani dell’epoca in un solo film. Troppe le scene di sesso, troppe le ubriacature e soprattutto troppo poco tempo è dedicato al viaggio che è il fulcro del romanzo di Kerouac: il viaggio in auto occupa si e no venti minuti mentre dovrebbe essere il tragitto esistenziale di Sal, Dean e Marylou. Salles mette in scena bene, ben fatta la ricostruzione d’epoca, d’impatto la scelta delle musiche (di Gustavo Santaoalla), ottima la fotografia sporca, ma con tutto il suo talento non riesce ad arginare i difetti di sceneggiatura. Tra i produttori figurano anche Francis Ford Coppola, Roman Coppola e il compositore John Williams. Tutti gli interpreti sono bravi e funzionali, specie Hedlund, spalleggiato dal cast all-star che comprende anche la Dunst, la Adams, Buscemi e Mortensen. Qualche riserva sulla Stewart, azzeccata, ma che comunque con le sue due o tre mosse caratteristiche non riesce a convincere del tutto, nonostante la sua sensualità sia innegabile. Francamente penso che a Kerouac sarebbe piaciuto di più Into the wild di Penn, che non l’adattamento del suo stesso romanzo. In concorso, e alla vigilia dato addirittura per favorito, a Cannes 2012.
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giulio vivoli
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venerdì 26 ottobre 2012
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on the road again
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Come chi ha letto e ricorda il libro di Kerouac, cosi' chi ha visto il film di Salles non ha trovato grandi spunti filosofici ed ideologici, ma semplicemente una sequenza di avventure e un' agitazione vitalistica a volte ripetitiva ma sempre affascinante ed evocativa.
L'operazione di trasposizione cinematografica fedele all'opera originale riesce quasi perfettamente (considerata l'impossibilita' di farlo senza il quasi da qualsiasi libro a film), il regista si conferma a suo agio nel raccontare storie di viaggi dopo quelli della Motocicletta del giovane Guevara, come riuscita e' la ricostruzione e la fotografia dell'America a cavallo tra i '40 e i '50, con tutte le caratteristiche e le diversita' tra i diversi stati attraversati da questi ragazzi inquieti divisi tra la fuga dalla vita normale e la ricerca di sensazioni forti e sperimentazioni pure e istintive.
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Come chi ha letto e ricorda il libro di Kerouac, cosi' chi ha visto il film di Salles non ha trovato grandi spunti filosofici ed ideologici, ma semplicemente una sequenza di avventure e un' agitazione vitalistica a volte ripetitiva ma sempre affascinante ed evocativa.
L'operazione di trasposizione cinematografica fedele all'opera originale riesce quasi perfettamente (considerata l'impossibilita' di farlo senza il quasi da qualsiasi libro a film), il regista si conferma a suo agio nel raccontare storie di viaggi dopo quelli della Motocicletta del giovane Guevara, come riuscita e' la ricostruzione e la fotografia dell'America a cavallo tra i '40 e i '50, con tutte le caratteristiche e le diversita' tra i diversi stati attraversati da questi ragazzi inquieti divisi tra la fuga dalla vita normale e la ricerca di sensazioni forti e sperimentazioni pure e istintive.
Le personalita' e i profili psicologici dei protagonisti sono descritti con profondita', precisione e verita', tanto che lo spettatore ha la sensazione di partecipare direttamente alle loro peripezie e di stordirsi anche lui con alcol, droghe e sesso, magari con esagerazione ma mai con volgarita'.
Il personaggio di Dean Moriarty e' senz'altro il piu' forte con il suo narcisismo, egoismo e vitalismo materialistico folle distruttivo ed autodistruttivo; e' lui ad ispirare Sal Paradise, sotto cui si cela il vero Kerouac, che e' al contrario ingenuo,generoso, altruista, ma con la sana passione ossessiva per lo scrivere; Carlo Marx e' tenero e fragile, le donne perfette nel loro essere a turno drammatiche vittime delle follie esistenziali di Dean, mentre la mamma di Sal e' l'incarnazione della generazione che porta le cicatrici mai chiuse della guerra e di una vita modesta votata al sacrificio.
Il commuovente incontro finale tra i due vecchi amici ricorda quello nell'epilogo delle Avventure di Pinocchio: Dean come Lucignolo asinello morente e Sal-Pinocchio ormai maturo e pronto alla vita normale e boghese, ma con l'esperienza di una gioventu' forgiata sulla strada ma non bruciata come quella dell'amico.
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gianleo67
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domenica 22 febbraio 2015
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edulcorazione conformistica del mito
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Sal Paradise (pseudonimo di Jack Kerouac) racconta le vicende che, dopo la morte del padre, lo videro vagabondare dapprima in solitaria e poi insieme all'amico disadattato Dean Moriarty (pseudonimo di Neal Cassady), per tutti gli Stati uniti d'America dalla East alla West Coast e da qui fino in Messico, fino al ritorno a Ozone Park, nei sobborghi del Queens, New York, dove riversò di getto ed in un unico rotolo di carta da parati lungo 36 metri le sue memorie nel libro autobiografico 'On the road' che divenne simbolo e manifesto insieme della contro-cultura americana e della cosidetta 'Beat generation'.
Se lo stesso Kerouac aveva intuito le potenzialità cinematografiche del suo soggetto più importante con un progetto che non vide mai la luce, doveva essere il segno di un crudele e ironico contrappasso il fatto che questo venisse messo in scena, nella forma di un biopic-letterario patinato e conformista, da un autore aduso all'edulcorazione consumistica del mito ('I diari della motocicletta') come Walter Salles.
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Sal Paradise (pseudonimo di Jack Kerouac) racconta le vicende che, dopo la morte del padre, lo videro vagabondare dapprima in solitaria e poi insieme all'amico disadattato Dean Moriarty (pseudonimo di Neal Cassady), per tutti gli Stati uniti d'America dalla East alla West Coast e da qui fino in Messico, fino al ritorno a Ozone Park, nei sobborghi del Queens, New York, dove riversò di getto ed in un unico rotolo di carta da parati lungo 36 metri le sue memorie nel libro autobiografico 'On the road' che divenne simbolo e manifesto insieme della contro-cultura americana e della cosidetta 'Beat generation'.
Se lo stesso Kerouac aveva intuito le potenzialità cinematografiche del suo soggetto più importante con un progetto che non vide mai la luce, doveva essere il segno di un crudele e ironico contrappasso il fatto che questo venisse messo in scena, nella forma di un biopic-letterario patinato e conformista, da un autore aduso all'edulcorazione consumistica del mito ('I diari della motocicletta') come Walter Salles. Resoconto autobiografico di un romanzo autobiografico, il film di Salles utilizza le vicende di una genesi letteraria che si forma già come esperienza umana e professionale (se la vita secondo Kerouac può essere intesa come imprescindibile fonte di ispirazione) che si presta con naturale semplicità ad un adattamento cinematografico che abdica alle funzioni precipue ed alle potenzialità del mezzo stesso per ridurlo alla narrazione consolatoria di un raccontino per immagini fatto di bei ragazzotti che cercano nella dimensione di nuove esperienze lisergiche la risposta ad una frammentazione esistenziale e ad uno sradicamneto cultuale che l'autore sudamenricano non sfiora nemmeno lontanamente. Ammesso che l'importanza e l'influenza di Kerouac (più di quella di altri autori decisamente radicali come Burroughs) nella cultura del Novecento sia commisurabile al mito pop che da essa sembra essere scaturito, già dalle modalità di un'esperienza letteraria così innovativa e vitale emergono prepotenti i germi di un disadattamento sociale che oscilla continuamente tra le rassicurazioni dei (falsi) valori borghesi (la famiglia, il lavoro, il consumismo) nell'America del dopoguerra e l'inquietudine di una generazione che sente l'irrefrenabile e selvaggio bisogno di rimettersi continuamente in discussione attraverso l'approdo ad una dimensione del quotidiano apparentemente priva di progettualità e votata consapevolmente all'autodistruzione (l'alcol, le droghe, il sesso, la precarietà economica, il vagabondaggio). Del radicalismo hippie di un'esperienza così devastante e fondativa, Salles ne estrapola solo gli aspetti più banalmente riconducibili ad un cinema di intrattenimento in cui la piaggeria degli argomenti, l'appeal dei personaggi e la ridondanza di un simbolismo posticcio concorrono tutti insieme a riconfermare quei codici della retorica di genere che mortifica tanto il valore storico e filologico dell'opera letteraria quanto l'originalità di un approccio autoriale che ne sappia reinterpretare (non è questa in ultima istanza la funzione principale del cinema impegnato?) i sentimenti ed i significati più profondi. Abbandonata l'idea di dare spessore ai personaggi o di ricreare i fermenti più autentici di un'epoca di radicali mutamenti della società americana, si passa dalle banalità dei luoghi comuni (letterari) più scontati all'esaltazione en-passant della musica jazz, dai locali fumosi dell'East Long Island agli spazi sconfinati dei paesaggi americani (ben fotografati da Eric Gautier), dalle folli auto in corsa lanciate lungo la Route 66 alla ginnastica spensierata a gaudente dell'amore libero, tutto al solo scopo di poter concludere la narrazione con il messaggio consolatorio che l'esperienza sia servita almeno a raccontarla come si deve. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2012 è un film che sembra lasciare il tempo che trova, giustificando nella misura ipertrofica del metraggio (140 min), nella buona resa del montaggio e nella bella colonna sonora, il prezzo di un biglietto che avremmo potuto senz'altro spendere meglio.
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