scrignomagico
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venerdì 24 agosto 2018
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delusione
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Adoro i road movie, ma questa trasposizione cinematografica mi ha deluso su tutta la linea, protagonisti che non "sfondano", non affascinano, non coinvolgono.
La vicenda e i dialoghi appaiono fini a se stessi, la regia zoppica, il senso di confusione e la noia purtroppo giungono assai presto, implacabili.
Peccato, occasione persa.
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elgatoloco
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venerdì 27 febbraio 2015
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un'idea, almeno...
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"ON the Road"di Jack Kerouac è un libro poliverso-dalla struttura complessa, molto più di quanto si possa pensare a prima vista, come sa chi(chi scrive l'aveva fatto più di trent'anni)si appresta alla lettura e continua a leggere, cercando di"ricavarne qualcosa", come si suol dire, ma poi anche(eventualmente)di analizzarne la struttura, di esaminare l'opera in modo più approfondito; il testo kerouaciano implica il rapporto con il contesto(beat generation, nelle sue diverse sfaccettature, tenendo conto delle singole personalità degli autori), ma lo stesso vale, tenendo conto della totale differenza a livello espressivo, per il film, sempre tenendo conto del décalage tra cinema e letteratura, specie trattandosi di un testo come, appunto(cfr.
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"ON the Road"di Jack Kerouac è un libro poliverso-dalla struttura complessa, molto più di quanto si possa pensare a prima vista, come sa chi(chi scrive l'aveva fatto più di trent'anni)si appresta alla lettura e continua a leggere, cercando di"ricavarne qualcosa", come si suol dire, ma poi anche(eventualmente)di analizzarne la struttura, di esaminare l'opera in modo più approfondito; il testo kerouaciano implica il rapporto con il contesto(beat generation, nelle sue diverse sfaccettature, tenendo conto delle singole personalità degli autori), ma lo stesso vale, tenendo conto della totale differenza a livello espressivo, per il film, sempre tenendo conto del décalage tra cinema e letteratura, specie trattandosi di un testo come, appunto(cfr.anche sopra)"On the Road":identificare i singoli coprotagonisti dell'"avventura"può essere un utile esercizio, ma il tema vero è altrove, nella tessitura narrativa(quella filmica, nella fattispecie)e nell'individuazione di motivi-trainanti(Leitmotive-Leitmotivs)che, per chi non conosca il libro, possono essere un buon inizio-trampolino di lancio per"gettarsi"(dato che di questo si tratta)nello stesso... Il film dà almeno un'idea di Keraouac, del suo "rovello creativo", della costruzione della sua opera. Apprezzabile, quindi, non solo nelle intenzioni, ma anche proprio a livello di realizzazione. Un altro regista e altri(e)interpreti avrebbero certamente fatto molto peggio, credo. El Gato
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gianleo67
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domenica 22 febbraio 2015
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edulcorazione conformistica del mito
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Sal Paradise (pseudonimo di Jack Kerouac) racconta le vicende che, dopo la morte del padre, lo videro vagabondare dapprima in solitaria e poi insieme all'amico disadattato Dean Moriarty (pseudonimo di Neal Cassady), per tutti gli Stati uniti d'America dalla East alla West Coast e da qui fino in Messico, fino al ritorno a Ozone Park, nei sobborghi del Queens, New York, dove riversò di getto ed in un unico rotolo di carta da parati lungo 36 metri le sue memorie nel libro autobiografico 'On the road' che divenne simbolo e manifesto insieme della contro-cultura americana e della cosidetta 'Beat generation'.
Se lo stesso Kerouac aveva intuito le potenzialità cinematografiche del suo soggetto più importante con un progetto che non vide mai la luce, doveva essere il segno di un crudele e ironico contrappasso il fatto che questo venisse messo in scena, nella forma di un biopic-letterario patinato e conformista, da un autore aduso all'edulcorazione consumistica del mito ('I diari della motocicletta') come Walter Salles.
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Sal Paradise (pseudonimo di Jack Kerouac) racconta le vicende che, dopo la morte del padre, lo videro vagabondare dapprima in solitaria e poi insieme all'amico disadattato Dean Moriarty (pseudonimo di Neal Cassady), per tutti gli Stati uniti d'America dalla East alla West Coast e da qui fino in Messico, fino al ritorno a Ozone Park, nei sobborghi del Queens, New York, dove riversò di getto ed in un unico rotolo di carta da parati lungo 36 metri le sue memorie nel libro autobiografico 'On the road' che divenne simbolo e manifesto insieme della contro-cultura americana e della cosidetta 'Beat generation'.
Se lo stesso Kerouac aveva intuito le potenzialità cinematografiche del suo soggetto più importante con un progetto che non vide mai la luce, doveva essere il segno di un crudele e ironico contrappasso il fatto che questo venisse messo in scena, nella forma di un biopic-letterario patinato e conformista, da un autore aduso all'edulcorazione consumistica del mito ('I diari della motocicletta') come Walter Salles. Resoconto autobiografico di un romanzo autobiografico, il film di Salles utilizza le vicende di una genesi letteraria che si forma già come esperienza umana e professionale (se la vita secondo Kerouac può essere intesa come imprescindibile fonte di ispirazione) che si presta con naturale semplicità ad un adattamento cinematografico che abdica alle funzioni precipue ed alle potenzialità del mezzo stesso per ridurlo alla narrazione consolatoria di un raccontino per immagini fatto di bei ragazzotti che cercano nella dimensione di nuove esperienze lisergiche la risposta ad una frammentazione esistenziale e ad uno sradicamneto cultuale che l'autore sudamenricano non sfiora nemmeno lontanamente. Ammesso che l'importanza e l'influenza di Kerouac (più di quella di altri autori decisamente radicali come Burroughs) nella cultura del Novecento sia commisurabile al mito pop che da essa sembra essere scaturito, già dalle modalità di un'esperienza letteraria così innovativa e vitale emergono prepotenti i germi di un disadattamento sociale che oscilla continuamente tra le rassicurazioni dei (falsi) valori borghesi (la famiglia, il lavoro, il consumismo) nell'America del dopoguerra e l'inquietudine di una generazione che sente l'irrefrenabile e selvaggio bisogno di rimettersi continuamente in discussione attraverso l'approdo ad una dimensione del quotidiano apparentemente priva di progettualità e votata consapevolmente all'autodistruzione (l'alcol, le droghe, il sesso, la precarietà economica, il vagabondaggio). Del radicalismo hippie di un'esperienza così devastante e fondativa, Salles ne estrapola solo gli aspetti più banalmente riconducibili ad un cinema di intrattenimento in cui la piaggeria degli argomenti, l'appeal dei personaggi e la ridondanza di un simbolismo posticcio concorrono tutti insieme a riconfermare quei codici della retorica di genere che mortifica tanto il valore storico e filologico dell'opera letteraria quanto l'originalità di un approccio autoriale che ne sappia reinterpretare (non è questa in ultima istanza la funzione principale del cinema impegnato?) i sentimenti ed i significati più profondi. Abbandonata l'idea di dare spessore ai personaggi o di ricreare i fermenti più autentici di un'epoca di radicali mutamenti della società americana, si passa dalle banalità dei luoghi comuni (letterari) più scontati all'esaltazione en-passant della musica jazz, dai locali fumosi dell'East Long Island agli spazi sconfinati dei paesaggi americani (ben fotografati da Eric Gautier), dalle folli auto in corsa lanciate lungo la Route 66 alla ginnastica spensierata a gaudente dell'amore libero, tutto al solo scopo di poter concludere la narrazione con il messaggio consolatorio che l'esperienza sia servita almeno a raccontarla come si deve. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2012 è un film che sembra lasciare il tempo che trova, giustificando nella misura ipertrofica del metraggio (140 min), nella buona resa del montaggio e nella bella colonna sonora, il prezzo di un biglietto che avremmo potuto senz'altro spendere meglio.
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ultimoboyscout
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venerdì 7 febbraio 2014
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il romanzo di una vita.
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Il vagabondare, il sesso, la musica, la droga e la vita sulla strada dell scrittore Sal Paradise, ovvero l'alter ego di Jack Kerouac e del suo amico Dean Moriarty, in realtà Neal Cassady, rispettivamente interpretati da Sam Riley e Garrett Hedlund con Kristen Stewart che è invece Marylou, ovvero LuAnne Henderson, vertice ideale del triangolo amoroso. Prodotto, tra gli altri, dalla Zoetrope di Francis Ford Coppola, è un film lungo, lento, noioso e monotematico, nonostante sia tratto da uno dei romanzi autobiografici più leggendari (un pò sopravvalutato forse) della vita on the road e della beat generation. Hedlund e Riley, i due protagonisti, non hanno fascino ne carisma, appaiono piatti e poco adatti, il solo che in una decina di minuti scarsi di apparizione riesce a dare una piccola scossa di energia è Viggo Mortensen che interpreta incredibilmente bene William Borroughs, padre indiscusso del movimento.
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Il vagabondare, il sesso, la musica, la droga e la vita sulla strada dell scrittore Sal Paradise, ovvero l'alter ego di Jack Kerouac e del suo amico Dean Moriarty, in realtà Neal Cassady, rispettivamente interpretati da Sam Riley e Garrett Hedlund con Kristen Stewart che è invece Marylou, ovvero LuAnne Henderson, vertice ideale del triangolo amoroso. Prodotto, tra gli altri, dalla Zoetrope di Francis Ford Coppola, è un film lungo, lento, noioso e monotematico, nonostante sia tratto da uno dei romanzi autobiografici più leggendari (un pò sopravvalutato forse) della vita on the road e della beat generation. Hedlund e Riley, i due protagonisti, non hanno fascino ne carisma, appaiono piatti e poco adatti, il solo che in una decina di minuti scarsi di apparizione riesce a dare una piccola scossa di energia è Viggo Mortensen che interpreta incredibilmente bene William Borroughs, padre indiscusso del movimento. Film ambiziosissimo se non impossibile, impossibile come il libro, prototipo del viaggio, della rivolta e di un certo tipo di formazione giovanile: proprio per questo ci sono voluti 55 anni perchè il romanzo trovasse approdo sul grande schermo. Ma Salles, a cui vanno comunque dati i giusti meriti per essere riuscito dove in molti avevano precedentemente fallito (vedi lo stesso Coppola e Godard), nella necessità di tradurre in immagini comprensibili anche se troppo didascaliche la ribellione di questi giovani alla ricerca dell'estremo, finisce per ricoprire la pellicola di una patina meramente commerciale e spudoratamente hollywoodiana, allontanandosi del tutto dallo stile di Kerouac, passando dalla sregolatezza e dalla ricerca di una via d'uscita al solito perbenismo della società americana. Scolastico e fuori tempo massimo.
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camiglia
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giovedì 18 luglio 2013
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pallido ricordo del romanzo di kerouac
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Un protagonista, e più protagonisti,in lotta con il mondo e con se stessi,alla ricerca di una identità e di uno scopo nella vita.
Tra rock,ubriacature,uso di droghe e sesso. In viaggio permanente nell'America,nei suoi Stati, dal nord al sud, dall'est all'ovest. Sulla strada come metafora della vita.
Ttratto dal libro di J. Kerouac, romanzo di culto, ma non capolavoro, il film mi è apparso del tutto deludente.
Una serie di bozzetti nei vari Stati Americani che non formano una vicenda coerente, da cui trarre i problemi e i drammi della beat generation.
Una buona fotografia, una buona musica, un buon montaggio, da soli, non fanno un buon film
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paride86
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giovedì 13 giugno 2013
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mediocre
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Ben fotografato e ben girato, "On the road" è un film che non mi ha convinto per niente proprio per la storia. Non mi piacque nemmeno il romanzo quando lo lessi, e questo film non mi ha fatto cambiare idea. Non la capisco proprio questa beat generation che esalta la strada, la droga e l'essere contro le leggi e poi sogna una famiglia con bambini. Storie come questa farebbero diventare moralista anche il più flessibile degli spettatori.
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jacopo b98
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giovedì 2 maggio 2013
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salles non riesce ad influenzare rivera e fallisce
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Alla fine degli anni ’40 la storia del viaggio, nel nome degli ideali della beat generation, di Sal Paradise (Riley), Dean Moriarty (Hedlund) e della sua seducente ex moglie Marylou (Stewart), tra sesso, droga e alcol. Dal romanzo culto di Jack Kerouac, quest’adattamento del manifesto della beat generation, pensato sin dal 2004, ma realizzato solo nel 2012, si regge sulla malfatta sceneggiatura di Jose Rivera. Il film ha parecchi difetti e spoglia la beat generation di tutto quel “fascino” che poteva avere, e tra un’orgia e l’altra lo spettatore ha solo il tempo di essere disgustato da una banda di ragazzi che per più di due ore non fa altro che drogarsi, organizzare orge e masturbarsi nudi in macchina.
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Alla fine degli anni ’40 la storia del viaggio, nel nome degli ideali della beat generation, di Sal Paradise (Riley), Dean Moriarty (Hedlund) e della sua seducente ex moglie Marylou (Stewart), tra sesso, droga e alcol. Dal romanzo culto di Jack Kerouac, quest’adattamento del manifesto della beat generation, pensato sin dal 2004, ma realizzato solo nel 2012, si regge sulla malfatta sceneggiatura di Jose Rivera. Il film ha parecchi difetti e spoglia la beat generation di tutto quel “fascino” che poteva avere, e tra un’orgia e l’altra lo spettatore ha solo il tempo di essere disgustato da una banda di ragazzi che per più di due ore non fa altro che drogarsi, organizzare orge e masturbarsi nudi in macchina. Anche gli ideali sul senso della vita, vivere tutto e subito, sono espressi solo in modo superficiale e alla fine lo spettatore non fa che chiedersi: “Ma nella beat generation erano tutti così?”. La sceneggiatura è monotona, talvolta sciocca e banale, ma soprattutto è troppo lunga: il film, realizzato così, avrebbe potuto tranquillamente durare la metà, dato che alcune scene sono così presenti che sembra che Rivera abbia voluto accumulare tutti i vizi dei giovani dell’epoca in un solo film. Troppe le scene di sesso, troppe le ubriacature e soprattutto troppo poco tempo è dedicato al viaggio che è il fulcro del romanzo di Kerouac: il viaggio in auto occupa si e no venti minuti mentre dovrebbe essere il tragitto esistenziale di Sal, Dean e Marylou. Salles mette in scena bene, ben fatta la ricostruzione d’epoca, d’impatto la scelta delle musiche (di Gustavo Santaoalla), ottima la fotografia sporca, ma con tutto il suo talento non riesce ad arginare i difetti di sceneggiatura. Tra i produttori figurano anche Francis Ford Coppola, Roman Coppola e il compositore John Williams. Tutti gli interpreti sono bravi e funzionali, specie Hedlund, spalleggiato dal cast all-star che comprende anche la Dunst, la Adams, Buscemi e Mortensen. Qualche riserva sulla Stewart, azzeccata, ma che comunque con le sue due o tre mosse caratteristiche non riesce a convincere del tutto, nonostante la sua sensualità sia innegabile. Francamente penso che a Kerouac sarebbe piaciuto di più Into the wild di Penn, che non l’adattamento del suo stesso romanzo. In concorso, e alla vigilia dato addirittura per favorito, a Cannes 2012.
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liuk!
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martedì 26 febbraio 2013
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come il libro
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Trasposizione piuttosto fedele del libro di kerouac, quindi le eventuali critiche possono essere mosse al testo che, per quanto mi riguarda, é assolutamente sopravvalutato e preso come cult generazionale piú che altro per mancanza di concorrenti. Uno spaccato storico interessante visto attraverso sesso, droga e jazz da un gruppo di amici eccessivi e destinati all'auto distruzione. Ottimo il cast, giovani e bravi. Film da vedere.
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benedetta spampinato
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mercoledì 26 dicembre 2012
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"on the road: sulle rombanti strade della vita"
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Giovani poeti ubriachi e brulicanti di vita, essenze nella mente, pensieri che superano il tempo, transizioni di vita e morte, eroina nelle vene, ragazzine bionde e melanconiche, consunte sigarette di hipsters fannulloni e girovaganti, macchine da scrivere, lacrimanti parole stralunate ed allucinate: è questa l’America di cui ci parla J. Kerouac nel suo romanzo manifesto della beat generation, On the road, da cui il regista W. Salles ha tratto l’omonima pellicola, presentata a Cannes ed uscita nelle nostre sale l’undici ottobre.
Centoquaranta minuti di intensi dialoghi e fotogrammi di fogli sui quali scrivere una storia, la più grande storia mai scritta da Sal; quest’ultimo, nel lontano inverno del 1947, decide di fare un viaggio con il muscoloso Dean Moriarty, coinvolgendo C.
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Giovani poeti ubriachi e brulicanti di vita, essenze nella mente, pensieri che superano il tempo, transizioni di vita e morte, eroina nelle vene, ragazzine bionde e melanconiche, consunte sigarette di hipsters fannulloni e girovaganti, macchine da scrivere, lacrimanti parole stralunate ed allucinate: è questa l’America di cui ci parla J. Kerouac nel suo romanzo manifesto della beat generation, On the road, da cui il regista W. Salles ha tratto l’omonima pellicola, presentata a Cannes ed uscita nelle nostre sale l’undici ottobre.
Centoquaranta minuti di intensi dialoghi e fotogrammi di fogli sui quali scrivere una storia, la più grande storia mai scritta da Sal; quest’ultimo, nel lontano inverno del 1947, decide di fare un viaggio con il muscoloso Dean Moriarty, coinvolgendo C. Marx, Old Bull Lee, la moglie di Dean, Marylou ed altri nomadi alla ricerca di sé stessi. Dietro questi nomi fittizi si celano le reali persone che fecero questo viaggio: J. Kerouac, Neal Cassady, Allen Ginsberg, W. Borroughs e LuAnne Henderson. Lo scrittore, infatti, non dichiara i veri nomi, perché non vuol cadere nell’autobiografismo: il suo è lo specchio di un’epoca e qualunque altro ragazzo poteva incarnare un Dean o un Sal. Questo è un giovane pieno di sogni, visioni, amante dei «pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbagliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio.» È uno scrittore, come dire, work in progress, ansioso di raccontare una narcotica esperienza senza intoppi grammaticali o pudori. E ci riesce benissimo: On the road venne scritto su un rotolo di carta in tre settimane, ma il film che vediamo è tratto da un’antecedente edizione da poco ritrovata. Sal era sicuro che da quel viaggio «avrebbe ricevuto la perla» poi, però, iniziano i dubbi, gli interrogativi esistenziali che tormentano i pellegrini. «Dissi a Dean che la cosa che ci legava tutti quanti insieme in questo mondo era invisibile» dice Sal.
Il verbo dovere diventa un paradigma di vita, al contrario della spinta ideale dell’omerico Odisseo, l’eccitante esaltazione sviene in una ridda in cui il dinoccolato Dean uccide il mistero di cui egli stesso è fatto. «La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza» annotava W. Blake, ma che ne vale quando gli occhi lacrimano (molto suggestiva l’immagine di Dean e Marylou che piangono), perché mancanti di un presente che vuol farsi riconoscere? In fondo, se non si parte con una domanda, che senso ha il viaggio? «Non c’è tempo: dobbiamo partire» ripete ossessivamente Dean, profetizzando la triste condizione del nostro secolo. È proprio il misticismo dell’opera che la rende grandiosa e commovente. Kerouac, come i suoi compagni di viaggio, fu un grande religioso. È questo che differenzia la beat generation dallalost generation.
«Quando attraversammo il confine tra il Colorado e lo Utah, vidi Dio nel cielo sotto forma di un enorme ammasso di nuvole dorate dal sole sopra il deserto: il nuvolone sembrava puntare un dito contro di me e dire: "Passa e vai, sei sulla strada del paradiso".»
«In una civiltà in cui si sta bene, ma no troppo»(F. Pivano) gli emarginati, amanti di C. Parker ed E. Fitzgerald, cercano un senso da dare alla miseria della vita, tra estasi alcoliche e archetipi americani (come quello dello spazio aperto e del self-made-man). Un’America triste, puttana, (ma anche) madre buona e spesso illusoria negli anni in cui Lou Reed «non sapeva dove andare»; B. Dylan urlava a squarciagola di sentirsi «come una pietra che rotola» e il presidente H. Truman provava a non usare le armi durante un’inquietante Guerra Fredda. Kerouac voleva raccontare proprio quest’ipocrisia, questo silenzio prima della tempesta tra marijuana, sesso, autostop, macchine d’epoca, donne che, come Marylou e Camille, sono condannate alla vecchia condizione: chi cerca di svincolarsi, vendendosi al mercificato dio-sesso, chi tenta la quiete di una detestabile famiglia. L’incantesimo si dissolve, poi: «Nessuno può arrivare a quella cosa. Viviamo nella speranza di riuscire ad afferrarla una volta per tutte» dice Sal, ribadendo quell’angoscia che attanaglia il giovane Moriarty. Sal Kerouac è solo un filtro nella narrazione. I veri protagonisti sono Dean, Marylou, Carlo e tutti gli altri. Lui è un umile viaggiatore, il menestrello di una generazione che non giudica, ma si muove. C’è da chiedersi se oggi sia possibile un viaggio come questo, nell’epoca del digitale e dei satellitari.
In fondo, noi dove stiamo andando? La nostra cultura si riferisce costantemente al periodo storico di On the road, quasi come non ne fosse uscita viva. Probabilmente, non c’è mai stato posto per gli angry young men, fuorché all’interno di stereotipi di “folli” ed “incompresi” (basti pensare alla tragica fine dell’attore James Dean). Kerouac morì di cirrosi epatica, quindi è rimasto chiuso all’interno dell’etichetta “poeta-maledetto”, non molto diverso da C. Baudelaire o E. Hemingway, ma questo non basta.
Strade impervie, tramonti rossastri su S. Francisco e stelle ammiccanti la strada, quella che indica sempre verso sud- ovest. Pollice alzato, una mano tra i capelli e occhi folgorati al cospetto di artemisie e campi di grano, un trabiccolo sgangherato e fogli consunti fatti per essere scarabocchiati: questo è On the road.
Il grande premio che va a W. Salles (già noto per I diari della motocicletta) è proprio la fedeltà al testo, coadiuvato dalla produzione di Francis Ford Coppola e dalla sublime fotografia di Eric Gautier. Ci sono, poi, giovani attori promesse del cinema venturo (Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart), attori già noti al pubblico (Viggo Mortensen, Kirsten Dunst, Steve Buscemi) e raffinate colonne sonore curate da G. Santaolalla.
La storia è sicuramente modernizzata e quindi attira il pubblico giovanile.
Dopo la proiezione, ci si rende conto di un cambiamento, un risveglio, un nuovo pensiero.
«E allora penso a Dean Moriarty,
penso perfino al vecchio Dean Moriarty,
padre che non abbiamo mai trovato,
penso a Dean Moriarty.»
da On the road
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raltok
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lunedì 24 dicembre 2012
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beat generation
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Forse l'inizio un po' lento e difficile da capire, ma dopo le prima mezz'ora incomincia a farsi sentire il romanzo di Kerouac. Consideriamo il film nell'insieme.. Attori adatti per questo tipo di film e soprattutto ottimi nella recitazione. Colonna sonora a dir poco epica. Jazz, jazz, jazz e ancora jazz. Proprio come avrebbe voluto Kerouac. Paesaggi mozzafiato e geniali le riprese del viaggio in strada. E alla fine del film resta un po' di amarezza.. Perchè in fondo tutti vorremmo che il viaggio continuasse.. All'infinito. Aspetto con ansia il dvd che uscirà a fine febbraio.
[+] rilancio, puntando sulla mediocrità espressiva..
(di hermes v. b. malavasi)
[ - ] rilancio, puntando sulla mediocrità espressiva..
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