Le belve

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Un film di Oliver Stone. Con Blake Lively, Taylor Kitsch, Benicio Del Toro, Emile Hirsch, Salma Hayek.
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Titolo originale Savages. Thriller, Ratings: Kids+16, durata 131 min. - USA 2012. - Universal Pictures uscita giovedì 25 ottobre 2012. - VM 14 - MYMONETRO Le belve * * 1/2 - - valutazione media: 2,80 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Histoire d’O Valutazione 1 stelle su cinque

di Moulinsky


Feedback: 1077 | altri commenti e recensioni di Moulinsky
martedì 12 febbraio 2013

Belve, più corretto sarebbe stato tradurre l’inglese “savages” col bignabaricchiano barbari – tanto lo spunto antropologico si riduce al farsi le canne e a scannare e lo Stato di Natura, sul dizionario Winslow-Stone, è l’elementare livello primordiale dove giocare ai crudeli e ai brutali vivendo come bellissimi vanziniani selvaggi pieni di dané – visto che “Le belve” è l’omonimo pecoreccio film del ’71 con Ira Fürstenberg, Buzzanca e la Borboni e  primitivi, più letterale, suonava male agli  espertoni nazionali di marketing cinematografaro per  le memorie, forse postume forse no, comunque omodiegetiche, della bionda Blake Lively, qui ragazza del clan, sirenetta di Laguna Blubeach, ma sempre assai gossip girl per vezzi, traumi infantili irrisolti, schizzinerie, sessualmente condivisa dal duo dei gelatai di fascia alta Ben&Chon, come li targetizza il sicario messicano Lado (un Benicio del Toro che sembra Brad Pitt col parruccone  e i baffi da Pancho Villa), abili produttori di maria dop(e) e non di dozzinale gangia da Wall Mart, ribattezzandoli “caviale” e “niente di personale”, uno reduce killer dall’Aghanistan l’altro freak dal Congo, metallo freddo e legno caldo, terra e spirito, uno scopa l’altro fa l’amore (ahahah), probabilmente anche portatori di fatale attrazione gay oriented come sagacemente intuisce la narcos Elena e al dunque rivelano gli stessi deuteragonisti citando gli immortali Blues Brothers (“Te l’ho mai detto che ti voglio bene?”). Blake Lively, si diceva, nei panni radical chicspiriani di Ofelia, tra teste splatter alla Enrico Ottavo, qui brevemente detta (histoire d’) O narra la vicenda avvertendo dall’inizio per non togliere tensione che al dunque lei anche parlante sarebbe potuta essere morta o da qualche parte sul fondo dell’Oceano. Difficile da credersi a meno che non trattasi, e non è, di vampiri twilight o walking deads e ancor più da sceneggiare anche accettando il punto di vista di Chon quando nel finale si fa più buddista di Ben (“Entra in quest’ottica: tu sei già morto. Eri morto nel momento in cui sei nato”) e infatti l’epilogo tarantinano alla “tana morti tutti” diviene la pessimistica previsione di O e si travolge subito dopo nel suo doppio più hollywoodiano con l’intervento di Dennis (Travolta che ormai fa bene solo l’autoironica citazione spennacchiata del suo storico ironico Vincent) e se non è proprio felice per tutti ristabilisce almeno un presunto ordine sociale laddove la Dea dei buoni anche se corrotti la vince sempre e la narcos Elena finisce ammanettata in attesa di un nuovo cartello che sproni al Ciak, si ricomincia! Gli ingredienti base, s’è capito, sono i medesimi frullati della serie Breaking Bad, ma il racconto del conte Oliver funziona solo laddove, nell’incipit e nell’happy end con voce fuori campo della presunta salma rediviva (perché non mescolare e agitare il tutto visto che la Hayek, nomen omen, pure nel suo standard di miniatura, togliendosi a metà film la parrucca, suggerirebbe un punto di vista più originale su classico piatto d’argento?), offre alla sgrammaticata macchina da presa di Oliver Stone l’occasione di fare al meglio il suo lavoro, narrando i topoi della sua epica caciarona bipolare e fuori controllo di outsider perfettamente integrato, tra onde palme bikini cilum tavole da surf paradisi veri o artificiali guergasmi e cattisti, mix bianconero colore e virato seppia, e montando sincopato da par suo  laddove finisce invece per impastoiarsi, dilungarsi, ripetersi appena l’azione vira al presente e il discorso si fa da indiretto diretto, traduce in regia e dialogo la sua risposta razionale alla follia. “Solo perché vi racconto questa storia non vuol dire che io sia vivo”, cito dal film, potrebbe essere ormai la sua definitiva autodescrizione.

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