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Fantasmi di guerra

L'immagine del nemico in Zero Dark Thirty.
di Roy Menarini

Jessica Chastain nei panni di Maya nel film Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow.
Jessica Chastain (Jessica N. Howard) (47 anni) 24 marzo 1977, Sacramento (Brasile) - Ariete. Interpreta Maya nel film di Kathryn Bigelow Zero Dark Thirty.

domenica 10 febbraio 2013 - Approfondimenti

Per una volta si può serenamente affermare che un film, in questo caso Zero Dark Thirty, è stato pienamente compreso. Ottimi critici di numerose testate hanno già indicato le letture più adatte per analizzare il film della Bigelow, capolavoro senza se e senza ma, diretto da una delle autrici più importanti del cinema contemporaneo. Si è detto che il film ruota intorno a un fantasma (Bin Laden) e dunque ci parla più di chi sta conducendo la caccia (gli americani) che dei bersagli dell'indagine, i terroristi. Si è anche scritto che alla Bigelow interessano prima di tutto le procedure e le tecniche attraverso le quali l'America si confronta con il nemico, lavorando all'interno di un sistema operativo che diventa il vero oggetto di indagine documentale del film. Si aggiunga anche la lettura di gender: quanto di virile c'è in Maya o quanto piuttosto di impercettibilmente femminile nel condurre e trasformare le indagini, mentre il gioco maschile della guerra e della tortura sembrano inadatti a raggiungere l'obiettivo (e poco forse si è compreso di questo messaggio della Bigelow, che spiega chiaramente come non si doveva gestire il post-11 settembre)? E, ancora, si sono sprecati paragoni con il western e con la fantascienza - a un certo punto si spalanca persino l'hangar della famosa Area 51.
Proprio quest'ultima suggestione ci aiuta nel nostro ragionamento, leggermente diverso. Quale nemico presuppone la guerra al terrore? Se già da subito - con formidabile efficacia - Zero Dark Thirty si dà come opera epocale e definitiva sul periodo 2001-2011, non di meno la pellicola sarà utile per gli storici nel ricostruire l'immagine del nemico ai tempi del fanatismo islamico. Se 24 presupponeva che la violenza del terrore non potesse che travolgere chi lo contrasta - e Jack Bauer "sacrificava" alla nazione la propria integrità, in questo senso salvandone l'innocenza e caricando su di sé il caos - attraverso Maya assistiamo a un percorso di conoscenza dell'altro da sé.
All'inizio c'è un obiettivo: Bin Laden. E tanti intermediari, una catena di nomi e di volti cupamente simili l'uno all'altro, impossibili da distinguere. Il buco nero dell'immagine è l'indefinibile: così come gli indiani o gli alieni, gli islamici di Al-Quaeda sembrano tutti uguali. Hanno nominativi simili, possiedono un nome di battaglia, sono mori con le barbe lunghe, mutano identità e parentele, e l'unico modo per chiarirne il ruolo - secondo la CIA - è ottenere informazioni con la forza. Maya impone invece uno sguardo analitico: lei conosce i nomi reali, si districa tra le identità, osserva i volti, insegue un contatto, l'ultimo anello verso Bin Laden, anche quando è scomparso dalle intercettazioni per anni e anni. In buona sostanza: prende sul serio il nemico. Esattamente come in Hurt Locker e Zero Dark Thirty la Bigelow prende sul serio il cinema di guerra - che, come suggeriva Kubrick, è in fondo l'unico cinema possibile - Maya attualizza le procedure necessarie per giungere a neutralizzare il nemico. Non a caso, l'ultimo sguardo è il suo, una riappropriazione di potere (biologico e politico) che rischia di diventare, se interpretata nel modo giusto, una nuova forma, filosofica e psicologica, del femminismo controverso di Kathryn Bigelow.

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