Love, Marilyn - I diari segreti

Un film di Liz Garbus. Con Glenn Close, Viola Davis, Ben Foster, Jeremy Piven, Jack Lemmon.
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Titolo originale Love, Marilyn. Documentario, durata 107 min. - USA, Francia 2012. - Feltrinelli Real Cinema uscita lunedì 30 settembre 2013.
   
   
   

"Love, Marilyn", l'intimità dell'attrice nel racconto dei divi di Hollywood

di Flavio Brighenti La Repubblica

LOVE, Marilyn. Con amore, Marilyn. Quando gli appunti che Norma Jean scriveva freneticamente per sé prendevano infine la forma di lettere vere, di volta in volta indirizzate a mariti, amanti, amici, colleghi, ammiratori, c'era sempre una nota di dolcezza, un segno di affetto, a sigillarle. La donna schiacciata dalla diva provava a farsi ascoltare. Niente vezzi di primadonna, solo la tenerezza di una magnifica creatura che reclamava un po' di attenzione, ma lo faceva in maniera fin troppo discreta. Liz Garbus, regista e documentarista di successo (Coma, Bobby Fischer against the world), ha trasformato la storia riverberata da quelle due parole, Love, Marilyn, in un appassionante lungometraggio rivelatorio. C'è riuscita arruolando per il documentario - che dal 30 settembre al 2 ottobre sarà proiettato in esclusiva nelle sale del circuito The Space Cinema - un cast stellare. A innescare il corpus impressionante di rivelazioni di Love, Marilyn è stato l'anno scorso una clamorosa scoperta nella casa di Lee Strasberg, il maestro di recitazione della Monroe: due scatoloni pieni di appunti, schizzi, lettere della sua allieva prediletta. Un'autentica miniera di aneddoti riemersa dall'oblio a cinquant'anni dalla morte dell'attrice, avvenuta il 5 agosto 1962 e attribuita ufficialmente a un'overdose di barbiturici, che ha già alimentato un libro voluminoso, Fragments: poesie, appunti, lettere, a cura di Bernard Comment e Stanley Buchthal, pubblicato in Italia da Feltrinelli. In Love, Marilyn la diva finisce di lato, finalmente libera di cedere il passo a Norma Jean. "Vorrei tanto diventare una brava attrice e vorrei essere felice, ma cercare di essere felice è forse più difficile di cercare di essere una brava attrice", confessa in una delle lettere più antiche della collezione. Come in un refrain, da quegli scritti riemerge con ostinazione una persona tenera, romantica, fragile, appassionata, frustrata dalla solitudine. Diametralmente opposta all'immagine pubblica, disinvolta, persino sfrontata di sex symbol che l'implacabile trascorrere del tempo, peraltro, non ha mai scalfito. Grazie a quella corrispondenza personale - lettere, poesie, memorie, pensieri annotati in maniera disordinata, scampoli caotici di vita quotidiana, riflessioni crude, spesso dolenti - la vita privata della diva più iconica della storia di Hollywood finisce una volta di più sotto la luce dei riflettori, non solo per cinefili e fan ossessivi, stavolta. In Love, Marilyn la divina creatura, al di là della bellezza, ci offre soprattutto la sua straordinaria, genuina umanità. Il documentario di Liz Garbus, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival nel 2012 - e andato poi in onda sul network televisivo HBO - si avvale di artisti famosi che interpretano con trasporto alcuni estratti degli scritti e si calano nei personaggi più vicini a Marilyn: dai tre mariti Arthur Miller, Joe DiMaggio, James Dougherty fino ai tanti innamorati, più o meno famosi, dagli amici più intimi ai semplici fan. Ben Foster interpreta Norman Mailer, Jeremy Piven dà il volto a Elia Kazan, Hope Davis è Gloria Steinem mentre Adrien Brody ha il ruolo di Truman Capote di cui recita alcuni passaggi, tratti da "A Beautiful Child". Fra i tanti volti famosi del documentario svettano anche Uma Thurman, Lindsay Lohan, Glenn Close, Evan Rachel Wood, Ellen Burstyn, Marisa Tomei, Rupert Allen, Paul Giamatti, Jack Lemmon, Norman Mailer, Jane Russell, Billy Wilder. E le voci di attori, critici, giornalisti e registi della nostra epoca intrecciano la propria opinione, la propria lettura, alle immagini d'archivio di Hollywood e alle tante registrazioni inedite di Marilyn. La dicotomia tra l'euforia del personaggio pubblico - 32 film girati in 15 anni in un crescendo impressionante di successi - e la frustrazione della sfera privata si rivela qui più secco e dirompente che mai. Dice Susan Strasberg: "Il personaggio Marilyn Monroe lo aveva creato lei stessa, era il suo sogno. Era solita dirmi: È una sorta di mostro, di Frankenstein. L'ho creato e ora sono costretta a interpretarlo ed è strano essere vittima della propria creazione. Quando volle liberarsene, Hollywood voleva che continuasse a interpretare il ruolo della bionda perché li faceva arricchire!". "Io sono M.M. e non mi è permesso avere problemi, essere nervosa, provare sentimenti", confessa lei, desolata, in un passaggio di Love, Marilyn. Perché per i cuori più teneri il peso del divismo diventa insopportabile. Una trappola che giorno dopo giorno annichilisce. Come ebbe a confessare molti anni più tardi il cantante dei Queen: "Certe volte mi sveglio la mattina e penso, mio Dio, non vorrei essere Freddie Mercury oggi".
da La Repubblica, 20 agosto 2013

di Flavio Brighenti, 20 agosto 2013

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