Advertisement
Locarno 2013, Herzog e il rapporto con l'ignoto

Brillante masterclass del regista, al Festival per ricevere il Pardo d'oro.
di Andreina Sirena

Werner Herzog a Locarno 66, dove ha presentato Death Row e ricevuto il Pardo d'oro alla carriera.
Werner Herzog (Werner Stipetic) (81 anni) 5 settembre 1942, Monaco di Baviera (Germania) - Vergine. Regista del film Death Row.

venerdì 16 agosto 2013 - Incontri

Arriva a Locarno la sera del tredici Agosto, facendo irruzione in sala mentre il pubblico sta ultimando la visione dei primi due episodi di Death Row, il suo ultimo lavoro sulla pena di morte. Non sembra giungere nella cittadina svizzera per ricevere il Pardo d'onore alla carriera, ma per donarsi e fare luce sui paradossi della sua cinematografia che rimane uno dei più grandi enigmi artistici degli ultimi cinquant'anni. Spiega ai presenti di essere ospite degli Stati Uniti dove la pena di morte è attualmente in vigore in 33 Stati, in 16 dei quali vengono effettivamente svolte le esecuzioni, tramite iniezioni letali. Come tedesco, proveniente da un contesto storico differente e come ospite negli USA, afferma rispettosamente di dissentire con questa pratica veterotestamentaria della pena capitale. In ogni episodio il condannato si rivolge a Herzog raccontando la sua versione dei fatti, insieme a brevi interviste con altre persone coinvolte nei casi, inclusi avvocati d'accusa, di difesa, e membri della famiglia. Gli episodi iniziano tutti con l'immagine dello spazio angusto dell'esecuzione: un corridoio di linoleum, un tavolo con la Bibbia, una cella come un loculo e il letto a croce dell'iniezione letale con le pesanti cinghie di cuoio. Non si tratta di un altro Herzog. Gli episodi, in apparenza distanti dal cinema che lo ha contraddistinto in precedenza, rivelano una profonda dimensione di continuità con la sua arte. Come la sua visione del male, così distante dal manicheismo imperante.

Stavolta il regista non scruta nell'abisso visionario degli astronauti che fluttuano nello spazio come in The Wild Blue Yonder ma in quello dell'anima, della ferocia, del rancore; nell'abisso della legge del taglione, del dolore nel quale precipitano condannati e vittime. E il male continua a non avere né forma né volto. È qualcosa che aleggia, inspiegabile, come lo era in Kaspar Hauser, nell'immagine memorabile di una cicogna che divorava una rana, mentre Kaspar scopriva che qualcosa di inspiegabile aveva distrutto il suo nome, seminato precedentemente con le foglie di crescione. Adesso quel sentore diviene un volo di corvi filmato a rallentatore, come nell'episodio di Blaine Milam, il più giovane condannato a morte in Texas, accusato di aver ucciso una bambina di un anno, nel corso di un esorcismo. Così Werner Herzog trasforma il proprio rapporto con l'ignoto. Come in Nosferatu riconsegna un'anima, una dignità alle persone nel braccio della morte. Nel terzo episodio di questa serie, proposta in anteprima a Locarno, la condannata Darlie Routier appare vestita di bianco, scortata a forza dalla polizia in un'immagine che ricorda le esecuzioni medievali. In Death Row non troviamo Hias, il pastore profetico di Cuore di vetro, non ci sono i Biedermeier di Nosferatu, ma ancora una volta un clima allucinatorio con presagi, voci, rivelazioni e superstizioni collettive. Herzog cerca di filmare l'ultimo sguardo dei condannati, sospeso tra il peso del passato e l'iniezione mortale. Come sempre si spinge al di là del male. Negli abissi reconditi. Lì dove il male è indefinito. Come un aleggiare, un balenìo. E i condannati diventano l'elemento irrazionale nella nostra società: outsider, come gli eroi dei suoi film precedenti e nella loro solitudine arcana assurgono a entità senza tempo. Anch'essi possiedono qualcosa di millenario, archetipico, quasi mitico.

Un nuovo e decisivo confronto con il pubblico avviene nella masterclass di Ferragosto, in una magistrale lezione di cinema. La sala è gremita, si affollano i fotografi e le domande, pertinenti e non. Herzog inizia a parlare del suo modo di intendere il cinema e dell'introduzione del personaggio in un film. Propone uno spezzone di Viva Zapata dove l'ingresso di Marlon Brando in scena è eseguito in modo impeccabile, come in nessun altro film. Ma cominciano le alzate di mano. Il pubblico vuole sapere quanti feriti ci sono stati durante le riprese di Fitzcarraldo e cosa ne pensa dell'avvento di internet nel cinema, per cui la sua spiegazione sulla costruzione di una scena è continuamente interrotta. Herzog è paziente, brillante e pacato al contempo. Risponde a ogni quesito dei presenti ingordi. In questa conflagrazione di frastornanti interrogativi non perde il cuore pulsante del mosaico, continuando con estrema diplomazia a tratteggiare le tematiche fondanti del suo cinema. Quattro mesi a piedi per il mondo insegnano molto di più di qualsiasi scuola. Il cinema non è qualcosa che s'impara sui libri. È esperienza, scoperta, rischio, visione di un orizzonte nuovo. Fitzcarraldo è stato possibile, a dispetto delle immani difficoltà delle riprese, perché si voleva realizzare un sogno collettivo, una visione: far salire una nave su una montagna. La sua cinematografia è ricolma di visioni che fendono la narrazione. Come gli astronauti che fluttuano nello spazio in The Wild Blue Yonder, il Caucaso e la Valle dei Templi ne L'enigma di Kaspar Hauser. La visione è come una storia parallela che non ha collegamenti con la narrazione ma che risulta essenziale. Senza visioni non si sopravvive. Non si riescono a sopportare le porcherie della vita. Herzog riconferma così la propria idiosincrasia per il cosiddetto Cinéma Vérité, privo di verità perché manca di visione. Tutto è un continuo spingersi al di là. Oltre. I suoi eroi sfidano incessantemente se stessi, i propri limiti, la natura. E ciò avviene nei modi, negli ambiti più disparati: dalla disciplina sportiva del volo con gli sci ne La grande estasi dell'intagliatore Steiner(1974), al rifiuto di un abitante dell'isola Guadalupa di abbandonare la propria casa pur sotto l'imminente minaccia di un'eruzione vulcanica (La Soufrière, 1977), nella sfida lanciata alla natura da Reinhold Messner, raccontata ne La montagna lucente (1984), o negli undici giorni di lotta per la sopravvivenza nella giungla di Juliane Koepcke - unica superstite in seguito ad un terribile incidente aereo - in Ali di speranza (1999), o ancora la vicenda dell'eccentrico ingegnere Graham Dorrington, deciso a sorvolare la foresta pluviale in Guyana col suo dirigibile a elio (Il diamante bianco, 2004). Sognatori, visionari, folli, spesso reietti, ai margini della società, diversi - che siano vampiri, trovatelli, nani, sordomuti, megalomani, profeti, esploratori - gli eroi di Herzog sono spesso agiti da un impulso faustiano e prometeico. Sanno che quanto viene contrabbandato loro per "reale" non è altro che lo sguardo ottuso, pigro e dormiente sulle cose, la visione disanimata e irriflessa in cui vive l'umanità ordinaria - come gli abitanti del villaggio bavarese di Cuore di vetro, interpretati da attori in stato di ipnosi.

Il mistero per Werner Herzog rimane un sentore. Qualcosa da non svelare mentre il mondo vi rovista. Come i medici legali nell'obitorio di Kaspar Hauser che credono di aver trovato la soluzione all'enigma di quest'uomo così diverso. Continua a contrapporre l'analisi scientifica al mistero, la ragione alle tenebre. La psicanalisi per il regista tedesco è stata il più grosso errore del '900 così come i salassi in medicina e la caccia alle streghe nel medioevo. Spesso l'esito dell'enorme sfida degli eroi di Herzog è la sconfitta: basti pensare, alla tragica sorte di Timothy Treadwell (Grizzly Man, 2005) il quale, trascorsi lunghi anni tra gli orsi dell'Alaska per proteggerli dai bracconieri, finirà ucciso proprio da quegli stessi animali che voleva difendere. La lotta è titanica e spesso votata al fallimento ma, come dice Herzog, l'intraprenderla è una questione di dignità, al di là degli esiti. Ancora una volta, viene da pensare a Prometeo: la sua punizione è atroce, ma ciò per cui Zeus lo punisce - il furto del fuoco divino - è proprio ciò in cui consiste la sua grandezza. Nella tragedia classica, gli dei puniscono la tracotanza, l'hubrys dell'uomo, ma è proprio in questa indomita infrazione di limiti e confini che sta la sua dignità, la sua eccezionalità, la sua statura eroica. Lo stesso accade in Herzog, se solo sostituiamo gli dei con la natura ("Io credo che il denominatore comune dell'universo non sia l'armonia, ma caos, conflitto e morte"). La natura in Herzog però (autentico Sublime, nell'accezione romantica del termine), è sempre uno stato della mente, un paesaggio interiore, non è mai un "dato", un "fatto", "è l'animo umano ad essere presente nei paesaggi dei miei film", sfida alla natura e sfida a se stessi sono un tutt'uno, inscindibile. "Caos, conflitto e morte" sono nell'animo umano e la sfida è la cifra espressiva di un impossibile sogno di superamento e catarsi. "Ho proprio l'impressione che la mia apparizione qui, su questa terra, sia stata una caduta pesante... ", confessa Kaspar Hauser, e forse il cinema di Herzog racconta proprio questo, il sogno e l'impossibilità di un compiuto rialzarsi e - con esso - la velleitaria, "inutile" bellezza e dignità ancora concessa all'uomo, quella - appunto - di continuare a sfidare la vita. Herzog irride la distinzione tra documentario - con, appunto, la sua malintesa, equivoca pretesa di oggettività -e fiction: i suoi "documentari" - nei quali inserisce elementi di sua totale invenzione - non sono la riproposizione tautologica di una "realtà", bensì il tentativo di coglierne la verità intima e occulta, e allo stesso tempo lo stile narrativo dei suoi film - carico com'è di tutta la concretezza del vissuto - ha spesso un ritmo ed un incedere documentaristici. Non esiste un "cinema dei fatti" ed un "cinema delle interpretazioni": lo sguardo che interpreta e - interpretando - continuamente crea e ricrea innerva e permea di sé il "reale" in ogni momento. Per dirla con Nietzsche, "non esistono fatti, ma solo interpretazioni". "I fatti sono stupidi", scrive sempre Nietzsche, e il Cinéma Vérité, secondo Herzog, "confonde i fatti con la verità, quindi ara solo pietre".

Gallery


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati