Anno | 2012 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del Nord |
Durata | 83 minuti |
Regia di | Nicholas Bonner, Anja Daelemans, Kim Gwang Hun |
Attori | Pak Jang-Phil, Han Jong-sim, Ri Yong Ho, Kim Son Nam, An Chang Sun, Ri Ik Sung Kim Un Yong. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 10 aprile 2013
Il film racconta la storia di Yong-mi, minatrice con il sogno delle acrobazie.
CONSIGLIATO SÌ
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La minatrice Yong-mi ha sempre coltivato il sogno nel cassetto di esibirsi al trapezio, sentendo di avere un talento innato per l'acrobazia. Il padre la dissuade e l'impatto con il mondo circense è drammatico, ma Yong-mi non si dà per vinta e, con l'aiuto dei colleghi della miniera di Pyongyang, lavora alacremente per realizzare le sue aspirazioni.
Un film che è di per sé un evento, per ragioni che esulano dallo specifico filmico. Comrade Kim Goes Flying è uno dei rarissimi casi di opere provenienti dalla famigerata Corea del Nord che si affaccia verso il resto del mondo, suscitando interesse e destando curiosità. Anziché il consueto pamphlet di regime, il film di Bonner, Daelemans e Kim sceglie la via della commedia e del melò, riuscendo nell'intento di veicolare una morale tutt'altro che prona alle ragioni di stato all'interno di una confezione che paga il dovuto dazio alle esigenze del governo centrale. Yong-mi è una ragazza quasi miyazakiana, che si conquista il sogno con il sudore della fronte, orgogliosa di essere una minatrice ma attirata in maniera ineluttabile dal miraggio del circo. Difficile nascondere la componente individualista insita nel suo percorso di emancipazione, che riguarda il raggiungimento di un obiettivo e il libero arbitrio su cosa poter scegliere di fare della propria vita. Per evitare ciò, l'astuzia dei registi porta a una confezione che grida un finto messaggio, una sorta di macguffin, sull'orgoglio della classe operaia nordocoreana e su come l'unione - paritaria e comunista - faccia la forza, avvalendosi di sequenze ed episodi totalmente anti-narrativi, atti al solo scopo di aggiustare la direzione politica della morale. Anime apparentemente contrapposte che si trovano a convivere in un'opera sconclusionata e colma di ingenuità - immagini di documentario usate come raccordo, attimi di cinema degni del peggior Jess Franco per come sono girati (a colpi di zoom improvvisi) e recitati - che si lascia ricordare, e forse amare, per la passione genuina che ne traspare. Il piacere di un apologo che si rivolge a tutti, abbattendo sostanzialmente quelle barriere che in apparenza sembrerebbe rispettare in maniera ossequiosa. Anche la storia del film è singolare: l'inglese Nicholas Bonner si è guadagnato la fiducia di Pyongyang grazie a The Game of Their Lives, un documentario su Pak Doo-ik e sugli eroici undici che eliminarono l'Italia nei mondiali del '66, dando vita a una delle più clamorose sorprese della storia del calcio. Viatico per un impensabile esperimento di coproduzione tra l'Occidente e uno dei paesi più arretrati, isolati e illiberali del mondo. Difficile dire se rimarrà un unicum, ma la partecipazione del film al festival di Busan, nella "nemica" Corea del Sud è un segnale di importanza storica.