fabal
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domenica 27 ottobre 2013
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tensione dialogica con qualche intoppo linguistico
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Il bisogno di contestualizzazione suggerito dal titolo italiano decide di trasformare Le prénom in Cena tra amici, sfruttando il plausibile richiamo al connazionale La cena dei cretini. Anche se banalotta, la resa del titolo è comunque determinante per ricordare il buon film di Francis Veber e sperare nella medesima falsariga umoristica. Ma Le prénom condivide forse più materiale con Carnage, al quale somiglia per la tensione dialogica ma senza l'immediatezza d'approccio, difetto di cui il cinema transalpino degli ultimi anni si è comunque avveduto. La fase di introduzione pecca di narrazione ricorrendo alla solita voce fuori campo, come se si stesse ancora parlando della buffa Amélie, quasi a voler liberare una regia apparentemente insicura dall'impaccio iniziale.
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Il bisogno di contestualizzazione suggerito dal titolo italiano decide di trasformare Le prénom in Cena tra amici, sfruttando il plausibile richiamo al connazionale La cena dei cretini. Anche se banalotta, la resa del titolo è comunque determinante per ricordare il buon film di Francis Veber e sperare nella medesima falsariga umoristica. Ma Le prénom condivide forse più materiale con Carnage, al quale somiglia per la tensione dialogica ma senza l'immediatezza d'approccio, difetto di cui il cinema transalpino degli ultimi anni si è comunque avveduto. La fase di introduzione pecca di narrazione ricorrendo alla solita voce fuori campo, come se si stesse ancora parlando della buffa Amélie, quasi a voler liberare una regia apparentemente insicura dall'impaccio iniziale. I personaggi avrebbero, invece, la verve sufficiente per presentarsi con le proprie forze, senza sintesi biografiche affidate a frames che per un quarto d'ora allontanano il film dalla sua paternità teatrale. Quando, poi, tutto si svolge nella stanza e l'attenzione dello spettatore viene in effetti convogliata sui dialoghi, Cena tra amici sembra finalmente sciogliersi e fidarsi dei suoi (bravi) interpreti, in cui l'istrione è certamente Bruel. L'armonia della conversazione, un po' pomposa, un po' (troppo) francesizzata per un umorismo internazionale, viene finalmente rotta dalla dichiarazione di Bruel in merito al nome che lui e la moglie hanno scelto per il figlio: Adolphe. Da questo momento tutto degenera, e dall'ilarità si passa alla lite, ai rancori, con il forte sospetto (solo quello) di una tragedia finale.
I differenti cambi di registro e di tematiche, dal politico al personale, dai (triviali) riferimenti sessuali a quelli letterari, fanno di Cena tra amici un'opera di buona ironia, che sotto l'apparenza della complessità va a mostrare come i rancori interpersonali nascano per difendere l'orgoglio ferito dalle bassezze, tanto più se l'ambiente è colto. La metafora è perfettamente incarnata nella lite tra Pierre, docente bacchettone, e Vincent, che vuole chiamare il figlio come Hitler. Quando poi Vincent ammette di aver solo scherzato, Pierre, anziché sentirsi sollevato, è ancora più risentito. Non per faccende storiche, ma perché è stato preso in giro.
Questo sarcasmo, spesso violento, rende colorite le conversazioni e fa di Cena tra amici un film tutto sommato piacevole, ingabbiato però da una longevità eccessiva e da un certa fatica con cui il pubblico internazionale entra in sintonia con le gag, troppo calate nella specificità linguistica del francese, a cui il doppiaggio italiano, per non incappare in evidenti problemi di traduzione, concede molta della terminologia originale.
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giorpost
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giovedì 14 gennaio 2016
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gioiello teatrale con un cast "formidable"
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A volte mi fermo a pensare cosa ha significato nella mia vita e cosa può ancora darmi, in futuro, il Cinema. Pochi dubbi, in verità: il Cinema mi ha dato tanto, il Cinema potrà nuovamente regalarmi piacevoli sensazioni nei giorni a venire, e dopo aver visto Le prènom (FRA-BEL, 2012), sono ancora più convinto di questo.
Siamo nell' appartamento di Pierre ed Elisabeth, al quinto piano del civico 15/bis di una delle innumerevoli stradine di Parigi che spesso hanno nomi di personaggi poco noti come, ad esempio, uno "scienziato morto durante il suo primo esperimento". I due coniugi sono entrambi professori, lei alle superiori, lui alla Sorbonne, hanno due figli dai nomi particolari e una casa grande e piena come un uovo di libri e oggetti; nella sera in cui si svolgono i fatti di questa storia, che nasce come piece teatratale, Pierre e "Babou" hanno invitato per cena Vincent, fratello di lei, con sua moglie e Claude, un amico comune a tutti che frequenta la famiglia Larchet sin da bambino.
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A volte mi fermo a pensare cosa ha significato nella mia vita e cosa può ancora darmi, in futuro, il Cinema. Pochi dubbi, in verità: il Cinema mi ha dato tanto, il Cinema potrà nuovamente regalarmi piacevoli sensazioni nei giorni a venire, e dopo aver visto Le prènom (FRA-BEL, 2012), sono ancora più convinto di questo.
Siamo nell' appartamento di Pierre ed Elisabeth, al quinto piano del civico 15/bis di una delle innumerevoli stradine di Parigi che spesso hanno nomi di personaggi poco noti come, ad esempio, uno "scienziato morto durante il suo primo esperimento". I due coniugi sono entrambi professori, lei alle superiori, lui alla Sorbonne, hanno due figli dai nomi particolari e una casa grande e piena come un uovo di libri e oggetti; nella sera in cui si svolgono i fatti di questa storia, che nasce come piece teatratale, Pierre e "Babou" hanno invitato per cena Vincent, fratello di lei, con sua moglie e Claude, un amico comune a tutti che frequenta la famiglia Larchet sin da bambino.
Tra un bicchiere d' un vino d' annata del valore di 500 euro e un assaggio si stuzzichini i tre uomini, nell' attesa che Elisabeth finisca di cucinare l' ennesimo menu marocchino e che arrivi Anna dal lavoro, cominciano una diatriba sul nome che quest' ultima e Vincent hanno deciso di dare al loro nascituro. In un' atmosfera parzialmente snob ed inizialmente rilassata (tra persone che si vogliono bene ma che, sotto sotto, si detestano un pochino) Vincent decide di mettere il pepe sul fondoschiena del topo, fingendo che la scelta del nome sia ricaduta su Adolphe, in onore di un personaggio letterario francese, con il conseguente disappunto di Pierre che la mette sul piano ideologico-politico, affermando che non si può chiamare un primogenito col nome del più efferato dittatore di tutti i tempi, pur essendoci qualche consonante diversa. Nonostante si tratti di una burla improvvisata, con l' entrata in scena di Anna e con Babou finalmente seduta a tavola assistiamo ad una piega inaspettata degli eventi che vedrà mettere sul piatto non tanto le pietanze magrebine ma tutti i rancori che ognuno dei protagonisti cova nei confronti dell' altro, compresi i due padroni di casa tra i quali scopriamo esserci una situazione nient' affatto idilliaca come sembrava. Si va dall' accusare Vincent di essere egoista e spocchioso perché va in giro con un suv, "proprio quello che serve nelle stradine parigine", passando a Pierre (Charles Berling) che involontariamente fa pesare, è il caso di dire, la parziale obesità della moglie verificatasi dopo l' ultimo parto, fino allo schernimento nei confronti di Claude, accusato ingiustamente di essere effemminato e, dunque, omosessuale in quanto "da 30 anni non è mai stato visto con una donna". La pressione aumenta, la tensione anche ma i toni farseschi messi in atto dai cinque bravissimi ed esperti attori di teatro rendono questa discussione attraente come un panorama mozzafiato di cui si può godere da un' altura... Ma sarebbe riduttivo, a mio avviso, definirla commedia degli equivoci in quanto l' unica vera incomprensione si verifica dopo la scottante rivelazione di Claude che determinerà una serie di efficaci gag da parte di Patrick Bruel e Valèrie Benguigui. Senza che vi anticipi la bomba nè tantomeno il finale posso dirvi che proprio quest' ultima bravissima interprete ha meritatamente vinto il César per il ruolo di Elizabeth, giustappunto l' anno prima di morire prematuramente causa malattia. E a vedere la sua prova in quest' opera, che è si una commedia che parte da un banale sotterfugio narrativo ma anche un dramma sull' amicizia e sui rancori matrimoniali, mi si stringe il cuore: suo è, infatti, il monologo più interessante e ghiotto del film allorquando decide di vuotare il sacco a tutti i commensali e alla madre Francoise, collegata telefonicamente, in uno sfogo della durata di qualche minuto che da solo vale l' ora e tre quarti di lunghezza della pellicola.
Lascio perdere la tecnica registica ed altre componenti che nella circostanza passano in secondo piano e non mi emoziona il dibattito sul fatto che sia o meno un film di destra, questo Cena tra amici (solita italianizzazione, caso unico in tutta europa) conquista per la curata semplicità e per le prove "teatrali" di attori che pur essendo poco conosciuti al di quà delle Alpi hanno suscitato in chi vi scrive un impatto emotivo di non poco conto. Tra l' altro mi sono ripromesso di rivedere questo piccolo gioiello in lingua originale, perché se è vero che l' italiano è bellissimo e romanzabile, è altrettanto vero che in tale genere di lavori la tonalità eccessiva dei francesi risalta ancor più i dialoghi e la proverbiale mimica facciale.
Consigliato per una serata disimpegnata ma non priva di contenuti.
Voto: 8
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andrea alesci
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venerdì 31 luglio 2015
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una stanza di corrosive parole
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Una voce fuoricampo ci scorta per 100 minuti dentro un amabile, spiritoso, tagliente vicolo cieco: l’Impasse Bertholon. Siamo nel 9° arrondissement di Parigi ed è un Jean-Jacques qualunque a portarci su al quinto piano del “famoso 15 bis”.
La stessa accogliente voce iniziale ci introduce al gioco della commedia, nell’appartamento di Pierre Garroud (Charles Berling), professore di letteratura alla Sorbona e marito dell’insegnante Élisabeth “Babu” Larchet (Valérie Benguigui), amici da una vita del musicista d’orchestra Claude Gatignol (Guillaume de Tonquedec) e da poco tempo di Anna (Judith El Zein), che ha sposato e aspetta un bimbo dall’agente immobiliare Vincent Larchet (Patrick Bruel), fratello di Babu e nostra voce narrante.
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Una voce fuoricampo ci scorta per 100 minuti dentro un amabile, spiritoso, tagliente vicolo cieco: l’Impasse Bertholon. Siamo nel 9° arrondissement di Parigi ed è un Jean-Jacques qualunque a portarci su al quinto piano del “famoso 15 bis”.
La stessa accogliente voce iniziale ci introduce al gioco della commedia, nell’appartamento di Pierre Garroud (Charles Berling), professore di letteratura alla Sorbona e marito dell’insegnante Élisabeth “Babu” Larchet (Valérie Benguigui), amici da una vita del musicista d’orchestra Claude Gatignol (Guillaume de Tonquedec) e da poco tempo di Anna (Judith El Zein), che ha sposato e aspetta un bimbo dall’agente immobiliare Vincent Larchet (Patrick Bruel), fratello di Babu e nostra voce narrante.
Una Cena tra amici come mille altre custodite nella culla delle sere parigine, ma che nel perimetro di casa Garraud – tornita di libri come foglie d’acanto sulle colonne corinzie – assume i contorni di una luccicante battaglia discorsiva tutta imperniata attorno a quel Prénom (titolo originale della pellicola) che fa da miccia esplosiva: Adolphe.
Il nome “scelto” da Vincent per il bambino in arrivo e divertente propulsore al precipitare d’ogni cosa: Pierre s’infervora per la terribile assonanza di un nome ormai privato d’ogni diritto ad esistere da Adolf Hitler; Claude cerca di far ragionare Vincent; Babu viene continuamente esclusa dal discorso per il suo andirivieni dalla cucina. La tensione cresce infarcita di battute che si materializzano con genialità e dialoghi che infilzano i vari personaggi con stoccate sopraffini. Fino all’arrivo di Anna e al climax nel quale il lato comico si schianta fragorosamente contro il muro dell’aggressività: è allora che il mattacchione Vincent rivelerà il suo calembour, la sua divertente presa in giro di tutti quanti e l’intenzione in realtà di chiamare il figlio Henry, come suo padre.
De La Patellère e Delaporte sanno ricavare dall’omonima pièce teatrale un copione che tiene bene il tempo del cinema e sa usare i momenti di scomodo silenzio come trampolino di lancio per nuove peripezie verbali, sempre sull’orlo dello scontro eppure stemperato da risate, smorfie e ghigni che ogni volta prendono di mira un personaggio differente. E scivoliamo così da una situazione all’altra come farebbe “Il nuotatore” di John Cheever passando attraverso tutte le piscine del vicinato prima di tornare nella sua villa.
Nuotiamo con piacere nelle vite dei cinque attori in scena, scoprendone le rispettive debolezze in un gioco di specchi che ad ogni riflesso scatena un vorticante scoppio emotivo, sino al violento Big Bang per la rivelazione di Claude d’essere l’amante della madre di Vincent e Babu; quindi il sarcastico sfogo finale di quest’ultima che porta dentro la stanza tutti i rancori sopiti, senza per ciò svuotarla dei comici frammenti sparsi qua e là.
Un clima greve di segreti svelati, battute fulminanti, espressioni sorprendenti che si condensano nell’appartamento del 15 bis dove il solitario Vincent rimane nottetempo come autoproclamatosi Don Chisciotte. Sarà il tempo a riparare i danni di una serata da punto-di-non-ritorno, grazie all’arrivo del pargolo Larchet. O meglio, di un’imprevista pargoletta, che nella sala d’aspetto dell’ospedale ricompone i disaccordi e le incomprensioni. E ci lascia piacevolmente ricordare una Cena tra amici nella quale la dirompente sincerità delle parole è diventata il più sferzante giudice delle diversità altrui. Ma anche il più divertente.
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elgatoloco
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lunedì 13 luglio 2020
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a suo modo grande film teatrale
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Seguendo i criteri dell'"ontologie du cinéma"di ANdré Bazin, questo"Le Prénom"di Alexandre de La Patellière e Matthieu de La Porte(2012), che i due autori hanno tratto(trasposizione, in realtà appunto)dalla loro pièce teatrale, non fanno nulla per nascondere(giustamente)l'origine teatrlae del film: tutto in intenri, pochi movimenti di macchina che"ingannino"; molti primi piani "fissi"sul personaggio che in quel momento parla ed è al centro dell'attenzione. Borghesi francesi sui 40-50, colti-inteliigenti(uno è un famoso docente di letteratura alla Sorbonne, l'altro musicista, l'altro ancora è un immobiliarista), anche imparentati tra loro, dove uno, la cui moglie è in dolce attesa, scherza sul nome(prénom)del nascituto, proclemando la volontà di chiaramarlo Adolphe, in omaggio a un grande classico del romanticismo francese, mentrte gli altri(compresa la moglie dello storico della letteratura)lo incalzano, rimproverandogli di essere quasi un"criptonazista"/Adolf, ovviamente, è Hitler, per antonomasia e tutti coloro che, in area germanfona ma anche altrove, recano questo nome sono sospetti.
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Seguendo i criteri dell'"ontologie du cinéma"di ANdré Bazin, questo"Le Prénom"di Alexandre de La Patellière e Matthieu de La Porte(2012), che i due autori hanno tratto(trasposizione, in realtà appunto)dalla loro pièce teatrale, non fanno nulla per nascondere(giustamente)l'origine teatrlae del film: tutto in intenri, pochi movimenti di macchina che"ingannino"; molti primi piani "fissi"sul personaggio che in quel momento parla ed è al centro dell'attenzione. Borghesi francesi sui 40-50, colti-inteliigenti(uno è un famoso docente di letteratura alla Sorbonne, l'altro musicista, l'altro ancora è un immobiliarista), anche imparentati tra loro, dove uno, la cui moglie è in dolce attesa, scherza sul nome(prénom)del nascituto, proclemando la volontà di chiaramarlo Adolphe, in omaggio a un grande classico del romanticismo francese, mentrte gli altri(compresa la moglie dello storico della letteratura)lo incalzano, rimproverandogli di essere quasi un"criptonazista"/Adolf, ovviamente, è Hitler, per antonomasia e tutti coloro che, in area germanfona ma anche altrove, recano questo nome sono sospetti...almeno i loro genitori), ma poi la polemica si scatena anche verso gli altri(ospiti e ospitati, pur se"ospite"dovrebbe invero includere entrambi i"contraenti"del patto, in italiano come calco della lingua latina...), senza risparmiare la privacy -.al trombonista si rimprovera di essere"una prugna", alias gay, ma non lo è, anzi ama una donna più anziana della famiglia..., all'intellettuale di essere egocentrico e così via criticando senza pietà . Classico tema francese e non solo: gli amici nascondono rivalitò inconfessate e inconfessabili, quando c'è l'occasione si scatenano, portando ad extra queste rivalità , queste aggressività represse e dunque... si salvi chi può, sempre che queste sedute di involontaria analisi/autoanalisi non si risultino postive per i singoli e non rafforzino il punto egoico, dove il sospetto è invece più che legittimo, tanto che queste riunioni "familiari-amicali"si ripetono con una certa frequenza... Intterpreti di gran classe, come si suol dire, forse anche troppe volte per il cinema made en France ma bisogna usare l'espressione, in quanto è vera. Patrick Bruel, Valérie Benguigui, Charles Berling, Guillaume De Torqueder, Judith el Zein sono interpreti veramente capaci, bravissimi(e)- E quando sentiamo critiche al "cinema teatrale" , stiamo molto attenti/e a sottoscrivere passivamewente quanto viene detto... El Gato
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paolo salvaro
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venerdì 22 maggio 2015
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commedia molto vivace e divertente
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Interessante trasposizione cinematografica di una pièce teatrale, tutto made in france. Quella che inizialmente sembra dover essere una tranquilla cena tra amici, in compagnia, si carica sempre più di tensione per poi esplodere inevitabilmente. All'origine delle discussioni un conflitto ideologico tra due uomini, ciascuno dei quali difende strenuamente la propria posizione respingendo la tesi dell'avversario in modo tutt'altro che pacato e riflessivo. Lo stesso narratore entra ben presto nel vivo dell'azione, anzi, spesso è costretto a ravvivare personalmente le varie discussioni. Tra colpi di scena più o meno pronosticabili e situazioni tra il comico e il grottesco, ogni personaggio avrà modo di prendersi il suo momento di gloria cercando di prevalere sugli altri, ma solo ad uno spetterà l'ultima parola.
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Interessante trasposizione cinematografica di una pièce teatrale, tutto made in france. Quella che inizialmente sembra dover essere una tranquilla cena tra amici, in compagnia, si carica sempre più di tensione per poi esplodere inevitabilmente. All'origine delle discussioni un conflitto ideologico tra due uomini, ciascuno dei quali difende strenuamente la propria posizione respingendo la tesi dell'avversario in modo tutt'altro che pacato e riflessivo. Lo stesso narratore entra ben presto nel vivo dell'azione, anzi, spesso è costretto a ravvivare personalmente le varie discussioni. Tra colpi di scena più o meno pronosticabili e situazioni tra il comico e il grottesco, ogni personaggio avrà modo di prendersi il suo momento di gloria cercando di prevalere sugli altri, ma solo ad uno spetterà l'ultima parola.
Opera ben congegnata e diretta con un pizzico di personalità che mai non guasta da parte dei due registi, ha come unico difetto quella di trascinare la storia forse troppo a lungo, avvalendosi tuttavia di una miriade di elementi e situazioni senza dubbio ben scritte e bene incastrate nel contesto, senza mai annoiare e senza lasciare nulla al caso.
Quando teatro e cinema, le due arti storicamente rivali, collaborano tra loro, spesso e volentieri viene fuori qualcosa di buono ed anche stavolta è così. Un film da vedere e rivedere. Altro che cinepanettoni.
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sabato 7 luglio 2012
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sconclusionato, patetico e un che di divertente.
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Film francese moderno. Con questo non vorrei dire di aver detto tutto però è così. Sì perché lo stampo è quello di un umorismo poco umoristico; di personaggi con poca personalità; di una storia che dice ben poco. Amici che sembrano tutt'altro che amici, nel film si conoscono di fatto dall'infanzia ma mi appaiono dai dialoghi/comportamenti/espressioni/gesti dei semplici sconosciuti. Sullo stampo de Il favoloso mondo di Amelie (il quale ritengo un film veramente favoloso!) tra la voce del narratore nella prima parte e molti altri particolari ritengo che invece sia stata solamente una brutta copia venuta in maniera estremamente mediocre. Ok Cena tra amici fa qualvolta sorridere ma non ti lascia nulla di nulla, non ti rimane niente, bensì situazioni imbarazzanti affrontate con molta superficialità.
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Film francese moderno. Con questo non vorrei dire di aver detto tutto però è così. Sì perché lo stampo è quello di un umorismo poco umoristico; di personaggi con poca personalità; di una storia che dice ben poco. Amici che sembrano tutt'altro che amici, nel film si conoscono di fatto dall'infanzia ma mi appaiono dai dialoghi/comportamenti/espressioni/gesti dei semplici sconosciuti. Sullo stampo de Il favoloso mondo di Amelie (il quale ritengo un film veramente favoloso!) tra la voce del narratore nella prima parte e molti altri particolari ritengo che invece sia stata solamente una brutta copia venuta in maniera estremamente mediocre. Ok Cena tra amici fa qualvolta sorridere ma non ti lascia nulla di nulla, non ti rimane niente, bensì situazioni imbarazzanti affrontate con molta superficialità. Vorrebbe magari dare l'impressione di un un regista che se ne intende di cultura buttando là svariati filosofi, scrittori o personaggi storici come Kant, Dostoevskij, Hitler etc... ma che alla fine mi sanno solo che del tanto fumo e poco arrosto. Lasciando poi perdere imbarazzanti prove dell'attrice interpretante la moglie di Vincent la quale sembrava del tutto goffa nel recitare, e l'enorme irrequietezza della professoressa delle medie moglie del letterato universitario. Più che BRILLANTE mi è parso di assistere a un tentativo vano di riaffermare il cinema francese con film d'autore che d'autore hanno ben poco dal momento che danno spazio ad una fallace prova che tenta di mischiare originalità-amicizia-brillantezza-intelligenza-psicologia-cultura senza volgarità ma con molta confusione a partire dalla deludente prova della maggior parte dei cinque attori principali della commedia stessa. Un sorriso strappato ma tanta amarezza nel cuore per un ennesimo buco sull'acqua riguardante codesto cinema moderno che avrebbe bisogno di più Sorrentino, Fratelli Coen e pellicole come I love radio Rock, capaci almeno di sfornare sì dei film da cinema d'autore, brillanti e all'avanguardia.
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renato volpone
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lunedì 16 luglio 2012
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la cena delle beffe
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Sembra di vedere un pessimo talk show televisivo dove gli intervenuti, per rappresentare le proprie ragioni, urlano e basta. La storia si svolge a casa di un professore universitario e di sua moglie, insegnante anche lei, che invitano a cena degli amici, tra i quali una coppia che aspetta un figlio. Sulla scelta del nome da dare al bambino si scatena una ridicola carneficina di parole che, considerata la levatura dei personaggi, fa rabbrividire per la bassezza delle conversazioni e i riferimenti da cui traggono spunto. Purtroppo di "carnage" ha solo l'involucro, il contenuto ti invita ad abbandonare la sala prima della fine del film.
[+] ah renato , ma che film ha visto ?
(di giuseppep47)
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[+] cinefilo o cinofilo
(di barone di firenze)
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[+] può non piacere ci mancherebbe
(di cbsanto)
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[+] condivido
(di brian77)
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[+] una piacevole commedia... tra amici
(di tomtom)
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[+] giudizio frettoloso
(di alex molteni)
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[+] adolf e adolphe in francia pari è.
(di billy)
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[+] non hai capito niente ...
(di orson welles)
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