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Uno, nessuno, centomila Pooh

Le innumerevoli sfumature dell'orso più popolare della storia della letteratura.
di Ilaria Ravarino

L'orsetto Winnie The Pooh in una scena del nuovo film che lo vede indiscusso protagonista.

mercoledì 20 aprile 2011 - Approfondimenti

Oh c-c-c-cielo...» direbbe Winnie the Pooh se, colto da comprensibili impulsi narcisistici, provasse a googolare il suo nome su Internet. La rete gli riserverebbe almeno due sorprese. La prima: il suo conto in banca è lievitato. In 85 anni di vita la popolarità dell’orso arancione è cresciuta a dismisura, consacrandolo come uno dei personaggi più redditizi della storia della letteratura: libri, video, pupazzi e merchandising firmati Pooh rendono alla Walt Disney oltre un miliardo di dollari all’anno, tanto quanto Topolino, Minnie, Paperino, Pippo e Pluto messi insieme. Roba da far ingigantire anche un ego di pezza, a dar retta alla rete.
La seconda notizia, però, rischia di mandargli il miele di traverso. Che lo si chiami Winnie Puh, Winnie Pooh o Winnie-the-Pooh con trattini, nella versione Disney, l’orso arancione è uno dei personaggi più violentemente odiati da blogger e commentatori telematici. “Uccidiamo tutti insieme appassionatamente Winnie the Pooh”, “A morte Winnie the Pooh e in fiamme la Foresta dei Cento Acri”, “Io odio Winnie the Pooh” sono solo alcune delle più minacciose pagine di social network dedicate all’orso, protagonista indiscusso anche di numerosi filmati su Youtube tra cui l’allarmante “Esecuzione di Winnie the Pooh a scuola”.
Eroe della letteratura per ragazzi fin dal 1926, tradotto in qualsiasi lingua (latino incluso) e protagonista di una decina di film, quattro serie animate, un radiodramma e due adattamenti teatrali, Winnie The Pooh è il mercenario più controverso della scuderia Disney: dell’orso arancione non esiste solo la versione per bambini ma anche quella (suo malgrado) per adulti, il Pooh taoista e quello musulmano, il comunista e il sadomaso, e centinaia di spassose parodie seminate nei più oscuri recessi dell’universo telematico. La sua rassicurante, irresistibile mediocrità l’ha portato oggi al vertice del successo, con un nuovo film in arrivo dal 20 aprile, Winnie the Pooh – Nuove avventure nel Bosco dei 100 Acri di Stephen J. Anderson e Don Hall: grazioso come un cucciolo e poco più intelligente di un Teletubbies, sopravvissuto a due guerre mondiali e all’arrivo del digitale, il piccolo orso di pezza ha ancora molta strada davanti.
Che ci piaccia o no, è uno dei simboli più duraturi del nostro tempo.

Classic Pooh
A differenza di Topolino, Paperino e soci, Winnie the Pooh non è americano e di cognome non fa Disney. Il suo creatore fu Alan Alexander Milne, un autore teatrale londinese, figlio di insegnanti, divenuto un attivo pacifista dopo aver servito come ufficiale durante la prima guerra mondiale. Prima che nascesse suo figlio Christopher, nel 1920, Milne non si era mai occupato di letteratura per ragazzi: amava scrivere mistery e storie gialle, spesso venate di humor, collaborava con qualche rivista e aveva tentato con discreto successo anche la via del cinema, sceneggiando The Bump con Aubrey Smith.
La fama, e il conseguente esaurimento nervoso, arrivò dopo il 14 ottobre 1926, fatidico giorno della pubblicazione di "Winnie the Pooh", raccolta di racconti in forma di romanzo tratti dalle storie realizzate da Milne per il London Evening News e per alcune radio locali. La semplicità della storia (il primo racconto narrava il volo di un orsetto di pezza attaccato a un palloncino) e la linearità del protagonista, un orso che trascorre le sue giornate mangiando miele e componendo poesie, decretarono l’immediata fortuna del soggetto. L’idea di Winnie era venuta a Milne per pura necessità, ovvero intrattenere il figlio Christopher con una storia della buonanotte: il nome del personaggio deriva proprio da quello dell’orsacchiotto del figlio (oggi religiosamente conservato nello Schwarzman Building di New York) battezzato prima Edward e poi Winnie, in onore dell’orsetto Winnipeg, sorta di predecessore di Knut ospite dello zoo di Londra e oggetto di folle adorazione collettiva. Altri pupazzi del piccolo Christopher stimolarono la fantasia di Milne, che animò il mondo di Winnie di nuovi personaggi come Ih-Oh l’asinello, Pimpi il maialino, Tigro la tigre saltellante o la mamma-canguro Kanga, protagonisti delle successive pubblicazioni "Now We Are Six" (1927) e "The House at Pooh Corner" (1928), tutte illustrate da Ernest H. Shepard.
Il successo del personaggio, tuttavia, cominciò presto ad annoiare il suo autore: «Con Winnie ho detto addio a qualsiasi cosa superi le 70.000 parole - disse Milne due anni dopo "The House at Pooh Corner", annunciando la decisione di non pubblicare altre storie dell’orsetto – e la mia principale ispirazione si è andata esaurendo man mano che mio figlio Christopher cresceva». Il 6 gennaio 1930 Milne cedette così per 1000 dollari e il 66% dei ricavi tutti i diritti di Pooh a Stephen Slesinger, primo a gettare le basi della florida industria dell’orso arancione: nel novembre del 1931 Pooh era già un personaggio da 50 milioni di dollari all’anno e dopo 30 anni nelle abili mani di Slesinger si era moltiplicato in bambole, pupazzi, giochi da tavolo, cartoon e film.
Quanto a Milne, l’orso ebbe tristemente la meglio su di lui. Colpito da una grave malattia al cervello, continuò a scrivere per il teatro ma senza mai raggiungere gli stessi livelli di popolarità: «L’eroe della sua ultima piéce – scrisse un critico a proposito del suo "God help it" – non è altro che Christopher cresciuto. Quest’uomo è decisamente ossessionato da suo figlio».

Disney Pooh
Dopo la morte di Slesinger nel 1953, la moglie Shirley Slesinger Lasswell continuò a sviluppare indipendentemente il personaggio di Winnie. Almeno fino all’inizio degli anni ’60, quando l’impero Disney, al massimo della sua estensione e ancora guidato dal fondatore Walter, mise per la prima volta gli occhi sull’orsetto.
Primo produttore mondiale di intrattenimenti per la famiglia, da poco possessore di un parco giochi, dei diritti dei Muppets e di quelli del futuro blockbuster Mary Poppins, già nel 1961 la Disney riuscì ad accaparrarsi tutti i diritti di Pooh: quelli per il merchandising dalla vedova Slesinger e quelli per il cinema dalla vedova Milne. Semplificato nei tratti, dotato di una striminzita maglietta rossa e di un nuovo amico, una civetta, a partire dal 1966 Winnie-the-Pooh divenne il protagonista di numerosi cartoni animati targati Disney, serie tv e lungometraggi come T come Tigro… e tutti gli amici di Winnie the Pooh, Pimpi piccolo grande eroe e Winnie the Pooh e gli efelanti. Accolto anche nei parchi a tema di Disneyland e Disneyworld e dotato di sue proprie attrazioni, Pooh è dal dicembre 2005 una nuova serie animata, I miei amici Tigro e Pooh, è videogame nella saga "Kingdom Hearts", è merchandising Disney o classic, è diari, lampade, pupazzi, tazze, borracce, cappellini, pantofole, cellulari e computer.
Del suo passato pre-Disney resta ormai ben poco, e le briciole lasciate da Topolino non hanno quasi prezzo. L’unica illustrazione di Pooh mai realizzata ad olio, dipinta da Ernest H. Shepard, se n’è andata qualche anno fa ad un’asta: 250.000 dollari per il disegno di un personaggio che anche secondo la vedova Shepard non ha portato fortuna a nessuno dei suoi autori. Tantomeno al marito, che all’orso attribuì la messa in ombra di tutta una serissima carriera da illustratore.

Alternative Pooh
Tra le più gustose incarnazioni di Pooh, tutte rigorosamente al di fuori dell’universo Disney, la versione sovietica "Vinni Pukh" è quella che gode di maggior successo in rete: tre cortometraggi prodotti dalla moscovita Soyuzmultfilm e diretti da Fyodor Khitruk dal 1969 al 1972, in cui l’orsetto cambia colore di pelle (da arancione a marrone) e perde un briciolo di innocenza, finendo per somigliare più al Pooh di Milne che a quello disneyano.
Tra le pubblicazioni a carico di Pooh meritano una segnalazione i romanzi didattici di Benjamin Hoff "Il Tao di Puh" e "The Te of Piglet", sorta di iniziazione alla filosofia/religione taoista mediata dall’orso, la filosofia satirica di Frederick Crews "Postmodern Pooh" e "The Pooh Perplex" e la storia della filosofia secondo Pooh "Pooh and the Philosophers" di John T. Williams. Meno rassicurante il saggio "Pathology in the Hundred Acre Wood: a neurodevelopmental perspective on A.A. Milne" (S.E. Shea, K.Gordon, A.Hawkins, J.Kawchuk e D. Smith), seria analisi psicanalitica di Pooh e i suoi amichetti: «Esiste un lato oscuro nel mondo creato da Milne» scrivono gli studiosi, attribuendo all’orsetto «disordini di personalità, iperattività, ossessione compulsiva per il miele e conseguente obesità nervosa». Sullo stesso piano anche lo scritto "Le 11 cose che non vorresti sapere di Winnie-The-Pooh", che analizza il mondo di Milne come metafora delle deviazioni della moderna sessualità maschile.
Immancabile, e gettonatissima, anche la versione "Winnie-the-Porno": attenzione: anche si scrive con il trattino, e non brilla per intelligenza, questo particolare Pooh non ha niente a che fare con il mondo Disney.

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