Il monaco

Spagna. XVII secolo. Un bambino viene lasciato dinanzi al portone di un monastero.. Gli sarà dato il nome di Ambrogio e diventerà a sua volta un monaco. Ambrogio viene considerato un vero uomo di Dio per il rigore della sua vita e dei suoi principi che applica inesorabilmente anche agli altri. Un giorno arriva al monastero un giovane, Valerio, dal volto coperto da una maschera inseguito a un incidente che lo ha deturpato e viene accolto dalla comunità. Si reca spesso a pregare dinanzi a la luogo sacro anche una fanciulla di nome Antonia. Valerio e Antonia costituiranno per Ambrogio delle tentazioni a cui gli sarà arduo resistere.
Il testo a cui Dominik Moll si ispira è stato scritto da un diciannovenne Matthew Gregory Lewis e pubblicato in Inghilterra nel 1796 con grande scandalo. Coleridge, ad esempio, lo considerava un'opera pericolosa per i giovani onesti. Nel 1972 Luis Buñuel e Jean-Claude Carrière ne scrivono un adattamento che Ado Kyrou, legato al surrealismo, porterà sullo schermo con Franco Nero come protagonista.
Moll vi ha sicuramente trovato quel fil rouge legato all'ambiguità che ne aveva distinto sia Harry, un amico vero che Due volte lei - Lemmingi e lo ha avvolto in una cupa atmosfera che ha rimandi artistici che vanno dalla pittura fiamminga a Goya. Deve averlo anche stimolato l'idea di avere come protagonista un Vincent Cassel che si misura con l'introversione di un personaggio che gli impone di comprimere la fisicità che spesso connota le sue interpretazioni.
Moll però non è Buñuel e quindi gli manca quella forza simbolica che sarebbe necessaria per connotare un'opera che vuole andare a leggere il rapporto tra l'anima e la carne. L'uso delle iridi per suggerire il cinema di un tempo o l'incursione nell'onirico non bastano per evitare un finale che ha tutti gli elementi del feuilleton. Ciò non toglie però interesse a un percorso cinematografico che si evolve in una direzione tematica precisa, convinta e, in parte almeno in questa occasione, convincente. 