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Il giovane Holden dopo l'11 settembre

Un giorno questo dolore ti sarà utile tra romanzo e film.
di Roy Menarini

In foto Roberto Faenza con Tony Regbo e Lucy Liu.
Roberto Faenza (81 anni) 21 febbraio 1943, Torino (Italia) - Pesci. Regista del film Un giorno questo dolore ti sarà utile.

domenica 26 febbraio 2012 - Approfondimenti

Nella trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Peter Cameron, Roberto Faenza ha compiuto alcune scelte abbastanza curiose. Per esempio, ha dinamizzato il rapporto tra la psicologa interpretata da Lucy Liu e il protagonista, spostando la terapia dal salotto di casa all’arte del footing. Inoltre – sebbene l'omosessualità di James appaia evidente anche su grande schermo – viene espunta dal lungometraggio l'ammissione del ragazzo.

Ancor più interessante è però un'altra omissione. Nel romanzo, la life coach di James insiste nel domandargli come ha vissuto l’11 settembre, visto che la sua scuola si trovava proprio di fronte alle Torri Gemelle. James rifiuta di rispondere, e anche l’io narrante, improvvisamente, si dimostra reticente. Ecco, quando Faenza, nelle interviste di queste settimane, ha ribadito che anche al cinema la voce fuori campo del protagonista è utile, e nulla toglie alla quintessenza cinematografica della pellicola, forse si è dimenticato che su grande schermo molto più difficile è esercitare la reticenza. Al cinema si vede tutto, e i personaggi, se esitano o mentono, devono in ogni caso essere guardati.

Perché Faenza ha eliminato l’allusione alla tragedia del World Trade Center? Nel romanzo, Cameron la fa cadere un po' di sbieco, in modo che sia il lettore a decidere se raccoglierla o meno. Chi scrive, per esempio, ha deciso di tenere quel dialogo in grande considerazione, e valutare che anzi rappresenti il cuore del libro, laddove troviamo una nascosta origine del malessere e della unicità di James. Il film, però, non sembra del tutto inconsapevole di questo aspetto. Anzi, più ancora che nel volume – forse grazie alla capacità vivificatrice del racconto per immagini – sembra farsi strada una radiografia della società fragile e ferita della Grande Mela anni Duemila, dove agli attentati terroristici ha fatto seguito una devastante crisi economica. Gli adulti che James osserva sono, è vero, tipici di certa letteratura statunitense (una madre immatura, un padre narciso, un patrigno sventato, una sorella svampita, una nonna alternativa, una terapista atipica, e così via), tuttavia assumono le sembianze di una galleria dell’incertezza e della provvisorietà. Non è un caso che James reagisca istericamente e si lasci prendere dal panico proprio durante il viaggio a Washington, quello che viene imposto alle scuole superiori americane per celebrare il patriottismo a stelle e strisce, i valori della nazione, e così via. La sequenza al Korean War Memorial, da questo punto di vista, con i soldati di pietra bianchi come fantasmi, segna uno scarto visionario rispetto allo stile trasparente del film, mostrando così di sottolineare l’aspetto dell’identità collettiva e della gioventù che si affaccia a questa America ferita. Evidentemente, Faenza – che ha cercato per anni di portare al cinema Il giovane Holden – ha enfatizzato, pur senza nominarlo, il rapporto di filiazione tra James e il protagonista di Salinger, proiettandolo nella luce incerta dell’America obamiana, pur senza nominare l’11 settembre, come invece ha fatto Cameron. Segno che il lavoro della trasposizione, oggi come ieri, continua a riservare sorprese a chi lo analizza.

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