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Vincenzo Salemme, il mercenario della commedia

Il comico napoletano presenta Senza arte né parte.
di Ilaria Ravarino

Vincenzo Salemme e Giuseppe Battiston in una scena del film Senza arte né parte.
Giuseppe Battiston (55 anni) 22 luglio 1968, Udine (Italia) - Cancro. Interpreta Carmine Bandiera nel film di Giovanni Albanese Senza arte né parte.

martedì 3 maggio 2011 - Incontri

Ha esordito con Sogni d’Oro di Nanni Moretti, ormai 25 film fa, e nonostante le recidive visite in Casa Sacher non si è mai sentito un radical chic. Attore, regista e drammaturgo amatissimo a teatro, in trent’anni di carriera Vincenzo Salemme da Bacoli ha collezionato felici collaborazioni con il cinema di Moretti e con quello dei Vanzina, ha flirtato con massimo Boldi in Olè e lavorato con Mario Martone e Giuseppe Tornatore, limitando le sue apparizioni televisive a sporadici e fortunati interventi. Eclettico e paziente quando sono gli altri a dirigerlo («Ubbidiente», si definisce lui), dietro alla macchina da presa tornerà solo nel 2013, dopo aver smaltito un lungo elenco di impegni più o meno mercenari. Al cinema dal 6 maggio in 130 copie con la commedia Senza arte né parte, Salemme è il motore comico del primo lungometraggio di Giovanni Albanese, pittore alle prese con una materia che più ostica non si può: l’arte contemporanea vista dagli occhi delle persone comuni. A Salemme, che qui interpreta un operaio improvvisatosi falsificatore, il compito di convincere il pubblico che la cultura, anche quella più chic e radicale, può essere persino divertente.

Salemme, cosa c’entra lei con un film sul mondo dell’arte contemporanea?
Salemme: Non ho alcuna manualità, in casa mia l’unica che si intende di arte è la sorella di mia moglie, ma in qualche modo c’entro. C’entro perché il cardine del film non è il mondo chic dell’arte contemporanea, ma un mondo socialmente basso, quello degli operai addetti allo stoccaggio, la cui creatività artigianale finisce per incrociare la strada dell’arte cosiddetta alta. E poi c’entro perché è una storia di bellissimi personaggi, una specie di banda degli onesti, anche se ogni riferimento esplicito a Totò è impraticabile.

Perché?
De La banda degli onesti questo film ha solo l’innocenza dei personaggi, ma il linguaggio è diverso: quella era una farsa, la nostra è una commedia all’inglese. Non c’è quel tipo di risata, non c’è esasperazione, il nostro film è più realistico. Sarebbe stato sbagliato ispirarsi a Totò, anche se come regista, forse, la tentazione l’avrei avuta. Per fortuna qui sono solo un attore.

Come si fa a rendere amichevole un mondo elitario come quello dell’arte?
Basta trattare l’argomento nel modo giusto: se fossimo scesi nel particolare, parlando solo agli appassionati, riempiendo i dialoghi di termini tecnici, avremmo allontanato il pubblico.

Però, in tempo di crisi, chi spende due milioni per un’opera non attira grandi simpatie...
Io non credo a questa ossessione per la crisi: sono talmente tanti anni ormai che se ne parla. I ricchi diventano più ricchi, i poveri più poveri e chi sta in mezzo non si accorge di niente. La crisi non ha cambiato un bel nulla in questo paese.

Con la crisi è anche arrivata la grande stagione delle commedie italiane. Che ne pensa?
Che mi fa piacere, non credo sia un cattivo segnale: basta che i produttori non si fissino con l’idea che bisogna far ridere per forza. Se le commedie in questo periodo hanno avuto successo, è solo perché erano fatte bene. Forse sarebbe il caso di rendersi conto che noi italiani sappiamo fare bene soprattutto quelle.

Tra i suoi progetti ci sono altre commedie?
Sì, il 30 settembre uscirà Baciato dalla fortuna, che ho scritto e interpretato, e nel 2013 il mio prossimo film da regista. Fra un mese sarò sul set con i Vanzina per un film corale che uscirà in autunno. Interpreterò la parte di un politico corrotto, ma redento.

La politica le interessa?
Mi piace, peccato che l’abbiamo ridotta così. È anche colpa nostra. Poi dipende: se intendiamo quella dei partiti la politica è una cosa, se intendiamo quella costruita dalle persone attraverso il dialogo è un’altra, e più nobile.

Oggi taglia il traguardo del suo 25º film: qual è la ragione del suo successo?
La fortuna e il gioco di squadra. Trovarsi accanto partner convincenti è indispensabile. La gente tende a pensare che i comici siano tutti scemi, e gli attori drammatici siano musoni e intellettuali: io invece sono molto fiero del mio lavoro, e di tutte le persone con cui l’ho condiviso. Poi certo, la considerazione è un’altra cosa.

Vuole levarsi un sassolino dalla scarpa?
Sono vent’anni che faccio teatro e non mi hanno mai invitato a dirigere un festival, né tantomeno a ritirare un premio. Con "L’astice al veleno", il mio ultimo spettacolo, ho fatto 5 mesi e mezzo di repliche e due milioni e 700.000 euro, una cifra da film. Mi pare una mancanza di rispetto non tanto nei miei confronti, quanto in quelli del pubblico.

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