L'alba del pianeta delle scimmie

 Trionfo della performance capture, tecnica già ampiamente utilizzata in Avatar, questo prequel moderno del classico di science-fiction anni ’60 “Il Pianeta Delle Scimmie” (non il remake di Burton) aderisce in pieno alla vecchia saga. Sia il personaggio di Cesare che le azioni (e le relative conseguenze) che lo porteranno a regnare sulla Terra sono abbastanza coerenti con la materia prima.
La grande sorpresa della pellicola è il talento recitativo di Andy Serkis, il “mimo” più celebre di Hollywood. Dopo aver prestato le movenze ai personaggi di Gollum e King Kong, qui compie il più strabiliante dei suoi lavori conferendo alla scimmia Cesare un’espressività invidiabile che il resto del cast non possiede.
È un peccato che un professionista come lui non venga neanche considerato agli Oscar (sempre più specchietti per allodole).
James Franco non è un granché, Freida Pinto è bella ma inutile, Tom “DracoMalfoy” Felton volutamente odioso.
Dal punto di vista tematico, lo sviluppo è migliore delle premesse: l’idea della manipolazione genetica che sfugge al controllo dell’uomo è ormai diventata banale e, insieme al timore con cui gli uomini vedono Cesare, non si può fare a meno di pensare al mito di Frankenstein. La prigionia del primate, invece, rimanda ai vari adattamenti di King Kong.
Per quanto concerne l’ascesa al potere di Cesare, le dinamiche sono piuttosto realistiche: una specie evoluta cerca disperatamente il suo posto nel mondo. Se ostacolata, la rivoluzione è l’unica via d’uscita (vedi il sottotitolo del film “evolution becomes revolution”). Il modo in cui Cesare ottiene il rispetto degli altri primati arrivando ad essere il loro leader, come raduna un esercito e lo sprona alla vittoria: escludendo il fatto che si tratta di scimmie, le ascese dei grandi imperi della storia non sono molto distanti.
La seconda parte è più dinamica e spettacolare della prima. Fantastico l’attacco al Golden Gate, unico tramite tra la foresta e la città: per i primati, superare il ponte significa ottenere la libertà.
Bella la colonna sonora, retorico il finale.
Interessante la dimensione etica propria dei primati: non lasciano indietro nessuno, lavorano come un unico organo. La loro forza è nella loro unità.
La scena post crediti spalanca le porte all’atteso sequel.