Pina 3D

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Un film di Wim Wenders. Con Pina Bausch, Regina Advento, Malou Airaudo, Ruth Amarante, Rainer Behr.
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Titolo originale Pina. Documentario, durata 100 min. - Germania 2011. - Bim Distribuzione uscita venerdì 4 novembre 2011. MYMONETRO Pina 3D * * * * - valutazione media: 4,02 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

L'epidermide digitale e l'origine della danza Valutazione 4 stelle su cinque

di Riccardo Tavani


Feedback: 33555 | altri commenti e recensioni di Riccardo Tavani
venerdì 25 novembre 2011

Il neologismo “rimediazione” sta a indicare il passaggio, la traslazione di un'immagine, di una rappresentazione da un medium all'altro. In questo film di Wim Wenders sulla coreografa tedesca Pina Baush abbiamo addirittura un intreccio, una tessitura vera e propria di rimediazioni. Il primo medium della rappresentazione è la danza, la quale trasla in quello del teatro, che a sua volta passa a quello del cinema, e a questo viene applicata la “rimediazione” della tecnologia digitale in 3 D. Abbiamo detto tessitura, perché non c'è un passaggio lineare dall'uno all'altro medium in modo ascendente, ma un intreccio dell'uno nell'altro, un essere di volta in volta l'uno rimediazione dell'altro. Ci sarebbe da considerare, però, anche altri intrecci mediatici. Ad esempio, quello del racconto orale, fatto dai ballerini della loro maestra non solo di danza, quanto anche di psicologia e vita. E quelli alla base della stessa danza della Baush. Pina parte dai gesti semplici della vita quotidiana e li mostra nella loro successione, ripetizione, finché non diventano danza, scena, teatro. O parte da immagini statiche che si fanno via via emozioni vive, passi, gesti, azioni pulsanti, attraversamenti e tagli dello spazio scenico, ritmo incalzante di situazioni emozionali modernamente ancestrali. E c'è una scena di “rimediazione” davvero geniale. Viene inquadrata la scatola di un teatro di marionette, la macchina da presa vi entra dentro e ci troviamo nel bel mezzo di un allestimento scenico in via di attuazione. Ma il film di Wenders porta il teatro-danza anche all'aperto, nelle strade, sotto i cavalcavia, su un vagone del metrò sospeso, e poi nei prati, nei boschi. Lo trasla, cioè, nella forma mediatica dello spettacolo di strada, la cui tradizione affonda nelle origini. L'origine non è dunque un punto storico X sepolto nel passato, ma una condizione sempre incombente sotto la pelle del presente e che può essere riattivata in determinate circostanze. E sono proprio quei ponti, quei cavalcavia, quelle monorotaie sospese a rappresentare visibilmente il passaggio, la traslazione da un medium all'altro. Il film si può vedere anche in 2 D, ovvero attraverso una proiezione tradizionale della pellicola, ma Wenders lo ha ideato e realizzato propriamente per il 3 D. Ma il 3 D, che sembra essere allora il medium finale attraverso il quale, dallo schermo e per mezzo degli appositi occhiali, noi riceviamo la rappresentazione, subisce a sua volata una “rimediazione”? Sembrerebbe di sì e proprio da parte della danza. Tecnicamente il 3 D reca ancora degli evidenti difetti, percepiti immediatamente dalla nostra vista. Ad esempio, l'effetto “pupazzetto insostanziale” che i corpi umani fanno, sopratutto se ripresi in campo lungo. Ora è proprio questa insostanzialità provocata dall'attuale epidermide digitale del 3 D che sembra singolarmente cogliere e restituire il vero aspetto della danza, ovvero quello della lievità eterea, quasi astratta dei concreti corpi umani in movimento. Non c'è dubbio che i tre spettacoli di Pina Baush qui rappresentati hanno una loro forza e originalità teatrale che conquista immediatamente e non ti lascia più. Altrettanto certo è che la rimediazione wendersiana le fa assumere una potenzialità ancora maggiore, proiettandola su uno spazio, quello del cinema, e in una dimensione, quella del 3 D, che ne esaltano le qualità narrative. Tanto che alla fine di quel paio di ore vorresti ci fosse qualche ultimo folgorante brandello da vedere ancora.

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