Paradise: Love

Sesso, razzismo, misoginia viaggio alla ricerca dell'eros

Quattro donne giocano con il membro di un uomo, una gara senza freni per indurre all’ erezione, una sequenza ardita forse mai vista sullo schermo. Ma forse mai si era visto un gioco sessuale che non ha nulla di erotico, anzi suggerisce l’orrore della volgarità, la solitudine, il razzismo. Perché sono le donne sono Teresa e tre compagne di vacanza in Kenya, cinquantenni e passa, i corpi sfatti, i rotoli di cellulite esposti, e l’uomo è un ragazzo nero, sottile, sinuoso, gentile ed è la sequenza più crudele di Paradise love di Ulrich Seidl, l’autore austriaco che con Canicola o Import Export ha già portato sullo schermo i lati oscuri della psicologia umana. Teresa lavora con i malati mentali, ha una figlia antipatica, la vacanza in Kenya è un promessa di libertà, sole, mare e, soprattutto, sesso, come le spiegano in esilaranti e sboccate conversazioni le habituée, che sanno tutto di cosa piace a “loro”, i beach boys, queiragazzi in fila davanti alle sdraio sotto le palme, pronti ad avvolgere con i sorrisi, le collanine e altro, le Sugar Mama, come chiamano le bianche europee. Teresa è una donna d’ordine, che disinfetta il bagno e la stanza d’albergo, all’inizio resiste, non vuole sesso, cede solo al ragazzo che non la aggredisce, le dice che è bella, le parla d’amore. Ma nel rapporto tra noi e loro, loro hanno imparato il tasto della solidarietà pietosa, hanno tutti un bambino malato, un padre in ospedale, un parente bisognoso. Il film — l’attrice Margarethe Tiesel è magnifica, meriterebbe un premio per essersi esposta contro i modelli femminili imperanti — è sconvolgente, eccessivo, lascia un sospetto di misoginia, ma è una storia forte e coraggiosa.
daLa Repubblica, 18 maggio 2012


di Maria Pia Fusco, 18 maggio 2012