renato volpone
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domenica 23 ottobre 2011
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finalmente grande cinema
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Magnifico film, una coppia si separa, ma una serie di eventi li mette a confronto. I protagonisti, tutti, sono messi alla prova della verità, il bisogno di mentire per difendersi o per difendere qualcun'altro. Tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Solo la figlia dei separati, alla fine prende in mano il gioco e vince, con sofferenza, la partita. Il film è favoloso, i protagonisti ti avvincono, l'ansia cresce lentamente, i giochi delle parti si mescolano e modificano. Grande esempio di cinema. Meraviglioso anche lo sguardo su un Iran moderno, contemporaneo a noi, quando invece ne viviamo una visione distorta. Assolutamente da non perdere
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(di lucianodesimone)
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melandri
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domenica 23 ottobre 2011
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il bello dell'iran
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No,non stiamo parlando di qualche nuovo attore emergente particolarmente prestante.
Il bello dell'Iran è ,che pur costretti da una censura non certo di manica larga,riescano a produrre ed esportare pellicole che fanno percepire all'attento spettatore occidentale(quello disattento è meglio che vada a mangiare popcorn davanti a qualche blockbuster americano)delle realtà che vanno ben oltre la semplice storia raccontata.
"Una separazione" ci sbatte in faccia l'attuale realtà di un popolo ancora ben lontano dal sentirsi libero.
La condizione delle donne,il forte potere teocratico limitante e molto altro risaltano tra le righe di un ottima sceneggiatura,mai banale,pur nella semplicità della storia raccontata.
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No,non stiamo parlando di qualche nuovo attore emergente particolarmente prestante.
Il bello dell'Iran è ,che pur costretti da una censura non certo di manica larga,riescano a produrre ed esportare pellicole che fanno percepire all'attento spettatore occidentale(quello disattento è meglio che vada a mangiare popcorn davanti a qualche blockbuster americano)delle realtà che vanno ben oltre la semplice storia raccontata.
"Una separazione" ci sbatte in faccia l'attuale realtà di un popolo ancora ben lontano dal sentirsi libero.
La condizione delle donne,il forte potere teocratico limitante e molto altro risaltano tra le righe di un ottima sceneggiatura,mai banale,pur nella semplicità della storia raccontata.
Le due ore abbondanti di film passano velocemente grazie anche alla bravura dell'intero cast(non a caso tutti gli interpreti sia maschili che femminili furono premiati all'unisono all'ultimo festival di Berlino,cosa mai successa precedentemente in una kermesse).
Da vedere sicuramente quindi,sperando che il passaparola degli amanti del buon cinema lo faccia restare nelle sale italiane un po' di tempo in più rispetto alle briciole che solitamente sono destinate ai film di qualità nel nostro paese.
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filippo catani
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venerdì 28 ottobre 2011
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il dramma di una separazione
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Iran. Una giovane coppia dopo anni di vita insieme decide di separarsi. I nodi principali sono due: achi verrà affidata la figlia e le cure da prestare al babbo di lui gravemente provato dall'Alzhaimer. Per cercare di ovviare a quest'ultimo problema viene assunta una giovane donna che si dovrà occupare dell'anziano durante la giornata. La situazione degenera quando la governante viene accusata dall'uomo di avergli rubato dei soldi.
Orso d'oro a Berlino e Orso d'argento agli attori, questo film colpisce in quanto riesce a tenere lo spettatore in tensione per l'intera durata della pellicola. Non solo viene messo in scena quello che purtroppo è un dramma antico e sempre attuale e cioè la separazione di una coppia e la figlia che, ovviamente, risente di questa situazione.
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Iran. Una giovane coppia dopo anni di vita insieme decide di separarsi. I nodi principali sono due: achi verrà affidata la figlia e le cure da prestare al babbo di lui gravemente provato dall'Alzhaimer. Per cercare di ovviare a quest'ultimo problema viene assunta una giovane donna che si dovrà occupare dell'anziano durante la giornata. La situazione degenera quando la governante viene accusata dall'uomo di avergli rubato dei soldi.
Orso d'oro a Berlino e Orso d'argento agli attori, questo film colpisce in quanto riesce a tenere lo spettatore in tensione per l'intera durata della pellicola. Non solo viene messo in scena quello che purtroppo è un dramma antico e sempre attuale e cioè la separazione di una coppia e la figlia che, ovviamente, risente di questa situazione. Resta che oltre a ciò intanto c'è l'ambientazione in Iran con tutte le difficoltà del caso ma soprattutto a questa miscela già esplosiva si va ad aggiungere una sorta di giallo legato a quanto è successo alla governante. Storie disperate che purtroppo, quasi per un diabolico scherzo del destino, si vanno ad incrociare in tutta la loro disperazione. In tutto questo a pagare il conto più salato sono le figlie delle due coppie che finiscono per essere soffocate dalla situazione. Ritmo serrato, il susseguirsi di colpi di scena e un drammatico finale rendono speciale e assolutamente imperdibile questo film.
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sergio dal maso
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lunedì 22 giugno 2015
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una separazione
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Prima scena : il bancario Nader e l’insegnante Simin, coppia borghese e benestante di Teheran, sono in tribunale per chiedere il divorzio. Ripresi da una inquadratura frontale si rivolgono, a turno e argomentando le proprie ragioni, a un giudice che non si vede, quasi “chiamando” lo spettatore a farsi giudice.
Lo spettatore da questo momento sarà coinvolto sia emotivamente che psicologicamente nella dolorosa e complessa vicenda della separazione dei due coniugi iraniani. La moglie, Simin, avendo finalmente ottenuto un difficilissimo visto per un lavoro in Europa vorrebbe trasferirsi con tutta la famiglia, soprattutto per garantire un futuro migliore alla figlia undicenne, Termeh.
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Prima scena : il bancario Nader e l’insegnante Simin, coppia borghese e benestante di Teheran, sono in tribunale per chiedere il divorzio. Ripresi da una inquadratura frontale si rivolgono, a turno e argomentando le proprie ragioni, a un giudice che non si vede, quasi “chiamando” lo spettatore a farsi giudice.
Lo spettatore da questo momento sarà coinvolto sia emotivamente che psicologicamente nella dolorosa e complessa vicenda della separazione dei due coniugi iraniani. La moglie, Simin, avendo finalmente ottenuto un difficilissimo visto per un lavoro in Europa vorrebbe trasferirsi con tutta la famiglia, soprattutto per garantire un futuro migliore alla figlia undicenne, Termeh. Il marito, Nader, non se la sente di separarsi dall’anziano padre, malato di Alzheimer e preferisce invece restare a Teheran.
In attesa della sentenza Simin ritorna dai genitori e Nader è costretto ad assumere una badante per il padre; trova una donna molto religiosa, proveniente da una famiglia povera e tradizionalista. Razieh, che ha già una
bambina da accudire ed è incinta, accetta il lavoro, contrario alle norme religiose islamiche, solo per necessità, senza informare il marito disoccupato, un uomo collerico e manesco.
Un evento imprevisto complica ulteriormente la vicenda, innescando una spirale di situazioni conflittuali che sfuggono dal controllo di ciascuno dei personaggi, in un groviglio di bugie e di mezze verità in cui tutti sono
innocenti e colpevoli nello stesso tempo. L’evolversi della storia mette progressivamente a fuoco non solo la separazione di Nader e Simin ma anche altre separazioni, meno evidenti. Come quella data dalla classe sociale e dalla diversa condizione economica delle due famiglie, o quella di tipo religioso, in cui alla coppia protagonista, laica e occidentalizzata, viene opposto il tradizionalismo della famiglia di Razieh. Diverso è anche lo sguardo silenzioso dei bambini, ancora innocente e puro, rispetto a quello degli adulti, opportunisti e inclini a pensare solo ai propri interessi. Le vicende individuali si mescolano e si rincorrono, sollecitando continuamente lo spettatore a immedesimarsi nelle scelte dei vari personaggi, ma senza imporre o forzare giudizi morali o ragioni che, alla fine, nessuno ha fino in fondo.
Si condividono e si giustificano le motivazioni di ognuno, salvo riconoscerne poi l’ipocrisia e la doppiezza delle intenzioni. L’aspetto più rilevante del film capolavoro di Asghar Farhadi è proprio questo, che pur narrando una vicenda completamente immersa nella società iraniana e nella cultura islamica racconta al tempo stesso una storia universale, piena di dolorosa umanità e di sentimenti contrastati, assolutamente attuali anche nella vita quotidiana di un cittadino europeo. La macchina da presa di Farhadi segue febbrilmente i personaggi, non li abbandona mai, li riprende con primi piani intensi che penetrano nella loro sofferenza e nei loro segreti. Lo spettatore può osservarli da vicino ma con discrezione : spesso le immagini sono nascoste o ostacolate da vetri e porte socchiuse, gli episodi fondamentali non sono quasi mai ripresi direttamente. Il montaggio incalzante esalta la struttura polifonica della sceneggiatura, tutti i personaggi sono ugualmente importanti e vitali, con un crescendo che a tratti assume la tensione del “giallo”.
Gli attori sono semplicemente straordinari, il regista ha lavorato molto nel teatro e cura in modo maniacale la recitazione. Al 61 Festival di Berlino, non sapendo scegliere chi premiare come miglior attore e miglior attrice la giuria ha deciso di dare i due premi al cast completo maschile e femminile, evento praticamente impossibile in un festival internazionale. Una separazione è stato uno dei film più premiati degli ultimi anni; le autorità iraniane e la severissima censura di Stato, che all’inizio lo avevano ostacolato o quanto meno non lo avevano gradito, hanno dovuto “far di necessità virtù”, finendo con esultare per il premio Oscar come miglior film straniero.
A mio parere pur essendo apparentemente apolitico e intimista il cinema neo-realista di Farhadi riesce a far risaltare, forse meglio dei film dichiaratamente politici e perseguitati dalla censura, le contraddizioni e l’oppressione del regime teocratico di Khatami e del presidente Ahmadinejad. Il messaggio finale è un messaggio di speranza. La speranza per il futuro dell’Iran è rappresentata dalle donne, nella storia raccontata sono le uniche figure in grado di riscattarsi, in particolare le bambine.
Le figlie delle due coppie assistono al conflitto silenziose ma non passive, sarà Termeh a dover giudicare e decidere cosa fare, entrando così nel mondo degli adulti, per fortuna ancora guidata dall’innocenza del suo sguardo e della purezza dei suoi sentimenti.
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kondor17
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mercoledì 14 marzo 2012
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oscar meritato
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Bellissimo film, interpretato da tutti in maniera magistrale. Grandiose (ed anche spassose) le scene dal giudice e in tribunale (Funzionasse anche da noi così la giustizia, così velocemente e con budget del genere, non saremmo dove siamo - un passettino indietro, no?)
Eh già, i figli ci guardano, ci aiutano. Noi a volte non li consideriamo, non li ascoltiamo e invece loro ci osservano, ci amano e spesso ci gettano quel salvagente che non di rado neanche vediamo. Chissà quando impareremo....
La scena finale è qualcosa di unico ed i brividi che ti corrono giù per la schiena, sapendo, sperando che finisca così, sospeso nel vuoto, nella consapevolezza del dubbio, ti confermano, se ancor ne avevi bisogno, di aver assistito ad un grande film.
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Bellissimo film, interpretato da tutti in maniera magistrale. Grandiose (ed anche spassose) le scene dal giudice e in tribunale (Funzionasse anche da noi così la giustizia, così velocemente e con budget del genere, non saremmo dove siamo - un passettino indietro, no?)
Eh già, i figli ci guardano, ci aiutano. Noi a volte non li consideriamo, non li ascoltiamo e invece loro ci osservano, ci amano e spesso ci gettano quel salvagente che non di rado neanche vediamo. Chissà quando impareremo....
La scena finale è qualcosa di unico ed i brividi che ti corrono giù per la schiena, sapendo, sperando che finisca così, sospeso nel vuoto, nella consapevolezza del dubbio, ti confermano, se ancor ne avevi bisogno, di aver assistito ad un grande film.
Se ripenso, invece, a quanti oscar ha vinto Avatar, mi vengono altri brividi... cinema, registi, attori, quanta brava gente, quanti artisti bistrattati che sbarcano il lunario e quante tavanate che affollano le nostre sale, le nostre menti becere, i nostri monitor supertecnologici....
Viva quindi Diritti, viva Labaki, viva Farhadi & co! Viva il Cinema, la storia vera, le immagini, i bravi attori!
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pepito1948
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giovedì 17 novembre 2011
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il neorealismo cifrato di farhadi
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Tutto ha inizio in una città dell’Iran odierno, intasata di macchine, rumorosa e pulsante di vita come qualsiasi altra affollata città del mondo, con la richiesta di separazione giudiziale di due coniugi sposati da 14 anni con una figlia adolescente a carico: lei vuole approfittare di un permesso di espatrio che impone una scelta rapida, lui non intende lasciare il padre malato di Alzheimer né consente che la moglie porti con sé la figlia. Il giudice propende per la tesi del marito, e quindi la separazione avviene di fatto perché la donna si trasferisce da sola dalla madre, forse per convinzione forse per mettere alla prova il consorte recalcitrante.
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Tutto ha inizio in una città dell’Iran odierno, intasata di macchine, rumorosa e pulsante di vita come qualsiasi altra affollata città del mondo, con la richiesta di separazione giudiziale di due coniugi sposati da 14 anni con una figlia adolescente a carico: lei vuole approfittare di un permesso di espatrio che impone una scelta rapida, lui non intende lasciare il padre malato di Alzheimer né consente che la moglie porti con sé la figlia. Il giudice propende per la tesi del marito, e quindi la separazione avviene di fatto perché la donna si trasferisce da sola dalla madre, forse per convinzione forse per mettere alla prova il consorte recalcitrante. L’impellente esigenza di assicurare una sufficiente assistenza sanitaria al vecchio padre induce Nader a ricorrere alla collaborazione di una badante trentenne incinta, il cui stato non è facilmente riconoscibile sotto la lunga veste. Il rapporto si interrompe bruscamente e la badante viene cacciata da casa, ma perde il bambino. Da qui si innesca una dinamica che gradatamente coinvolge i componenti di due nuclei familiari che entrano in un conflitto sempre più vasto, complesso e tortuoso e apparentemente senza soluzione, in cui prevale il tutti contro tutti, ed attacco e difesa si alternano senza esclusione di colpi, mentre neanche l’autorità (giudiziaria) riesce ad conciliare le diverse posizioni emerse. Inevitabilmente l’incapacità di addivenire ad un accordo soddisfacente per tutti si scarica sulle giovani figlie delle coppie protagoniste, che sapranno dare una lezione di maturità ed un esempio di costruttiva solidarietà di fronte agli sterili comportamenti dei “grandi”.
Ashgar Farhadi , dopo la presa di posizione a favore di Panahi e di altri registi ed intellettuali dissidenti perseguitati da uno dei regimi più oscurantisti ed arroccati a difesa della propria verità, si è visto costretto ad aggirare i rischi della censura (e del carcere) raccontando nella forma più rassicurante della commedia, attraverso il filtro invisibile di simbolismi e metafore, una storia di vita privata apparentemente slegata da un particolare contesto per la sua valenza universale. Infatti prende spunto dalla crisi di un matrimonio, “che rappresenta un rapporto tra due esseri umani indipendente dall’epoca o dalla società in cui si vive”, e dalla relativa separazione, che, come avviene altrove, è il primo passo verso la rottura definitiva del rapporto. Già a questo punto, vista l’equivalenza delle ragioni esposte, è difficile per noi spettatori decidere da che parte stare. Ma il complicarsi della vicenda ci costringe, nel susseguirsi delle rispettive argomentazioni, a prendere posizione ed a mutarla continuamente; le responsabilità circolano, nessuno ha pienamente ragione, tutti mentono, a sé ed altri, ciascuno palesa limiti e debolezze, tranne chi non ha più l’uso della ragione (il povero vecchio padre) e chi è ancora fuori da logiche distruttive per motivi di età. La tensione e lo sconcerto salgono quanto più s’infittisce il gioco di accuse e controaccuse in un clima sempre più claustrofobico e dilaniante, fino al finale aperto che tuttavia offre un messaggio univoco: davanti all’inquinamento della ragione solo l’innocenza, l’immediatezza e la purezza dei sentimenti di chi non è ancora schiavo dei condizionamenti degli adulti può salvarci (l’occhiata di complicità che si scambiano le due bambine è una delle chicche del film). E’ la filosofia recentemente proposta da Polanski con Carnage. I conflitti individuali e di classe (qui tra media borghesia e precariato infraborghese) si verticalizzano, assumendo una dimensione generazionale.
Ma dov’è in tutto ciò il riferimento critico alla società iraniana ed al suo pervasivo sistema di potere? Innanzitutto già il tema della separazione sembra velatamente alludere allo scollamento tra il regime oppressivo e teocratico vigente ed una delle popolazioni e culture più vivaci, vitali e ricche di tradizioni del mondo asiatico. Inoltre non sfugge il protagonismo ossessivo ed onnipresente del chador, fuori e dentro casa, che richiama la soggezione della condizione femminile alle ferree leggi islamiche secondo le interpretazioni restrittive degli ayatollah, a simboleggiare l’intrusività dei modelli imposti dal regime finanche nella vita privata. Inoltre la consultazione telefonica della badante con una qualche autorità teocratica (si fa peccato a svestire un uomo malato per lavarlo?) dà un’idea di quanto sia dominante e condizionante la religione di Stato nei comportamenti umani nell’Iran di oggi (ma è poi così diverso da quanto succedeva da noi fino a qualche tempo fa -e da qualche parte forse ancora oggi- quando il confessionale era l’arbitro incontestabile delle nostre azioni?). Insomma un film diverso dalla cinematografia impegnata e drammatica iraniana cui siamo abituati, dai toni gravi e solenni; mancano il pathos e la solennità tragica del “Cerchio” o di “Donne senza uomini”, la poetica della sofferenza, i silenzi gravidi di inquietudini. Forse i dialoghi sono troppo serrati ed “esplicativi” lasciando troppo poco spazio all’intuitività; ma l’importante è andare oltre la comunicazione cifrata; ciò che non passa dalla porta passa dalla finestra, e, attraverso la rappresentazione di episodi di realismo della quotidianità, Farhadi ci inocula (magari obbligandoci ad una lenta elaborazione digestiva) un senso di disagio che è la risultante di tutto ciò che in qualche modo il regista ha voluto comunicarci. Senza scontentare, a quanto se ne sa, gli organi di censura del suo Paese.
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riccardo tavani
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sabato 19 novembre 2011
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crescere nella doppia verità
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Il dramma è subito posto, già nella prima inquadratura e nel primo brandello di dialogo. Simin e Nader, moglie e marito, sono in tribunale davanti a un giudice civile: la donna chiede di divorziare perché l'uomo non vuole lasciare con lei l'Iran. Hanno ottenuto entrambi il permesso di espatriare con la loro figlia undicenne Termeh, ma Nader non solo non vuole seguirla ma le nega il permesso di andare via con la ragazza. Ma Simin non vuole assolutamente che sua figlia cresca in Iran, e così se Nader non la seguirà all'estero e non lascerà che la figlia vada con la madre, sarà Simin ad abbandonare lui.
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Il dramma è subito posto, già nella prima inquadratura e nel primo brandello di dialogo. Simin e Nader, moglie e marito, sono in tribunale davanti a un giudice civile: la donna chiede di divorziare perché l'uomo non vuole lasciare con lei l'Iran. Hanno ottenuto entrambi il permesso di espatriare con la loro figlia undicenne Termeh, ma Nader non solo non vuole seguirla ma le nega il permesso di andare via con la ragazza. Ma Simin non vuole assolutamente che sua figlia cresca in Iran, e così se Nader non la seguirà all'estero e non lascerà che la figlia vada con la madre, sarà Simin ad abbandonare lui. “Perché – le chiede il giudice – non vuole che sua figlia cresca in Iran, signora? Si rende conto della gravità di ciò che dice?”. La domanda rimane in sospeso, e anche l'udienza è aggiornata. Appena a casa la donna abbandona immediatamente la casa del marito, che rimarrà solo con la figlia adolescente e il vecchio padre malato di Alzheimer, il quale neanche lo riconosce più. La malattia del padre è la ragione che Nader oppone davanti al giudice per non abbandonare il paese. Senza più Simin in casa, l'uomo deve subito trovare una badante che accudisca e sorvegli il padre mentre lui è al lavoro in banca e Termeh a scuola. Come già nel precedente film di Asghar Farhadi, About Ellly, il tema della “doppia verità” si innesca fin dall'inizio in modo prima lieve, quasi trascurabile, per aggrovigliarsi poi in maniera sempre più drammatica, inestricabile e con tragiche conseguenze. Razieh, la donna che faceva soltanto le pulizie, e che ora Nader convince a diventare la badante del padre, deve adottare una sua verità di fronte al marito e all'intera società. Perché lei non può stare da sola in casa di un uomo in cui non c'è più la moglie, e non potrebbe neanche lavare le parti intime di un altro uomo che se l'è fatta addosso, sebbene ultrasettantenne e colpito dall'Alzheimer. Così questo conduce anche Nader ad adottare una verità ufficiale davanti al marito della donna, in una catena di successive complicazioni che mettono a nudo il vero volto di una società fondata interamente sulla doppia verità. È una questione che ha radici profonde nell'Islam, dai tempi di Averroè, il grande filosofo e traduttore di Aristotele, nato a Cordova nel 1126 e morto 70 anni dopo in esilio a Marrakesh, per l'intolleranza religiosa che si opponeva al suo pensiero. Non che Averroè avesse mai teorizzato una doppia verità, una buona per la fede, l'altra per la ragione, però, di fatto dovette fare i conti con essa per attenuare l'impatto della sua opera filosofica e scientifica, in quanto considerata come negazione della verità coranica. Lo stesso giudice civile, laico, della prima scena si trova ora a dipanare la matassa molto più intricata e amara di una semplice causa di divorzio, nella quale la badante ha intanto perso il bambino che aspettava, cadendo giù dalle scale. A pagare, sopratutto, il regime della doppia verità sono le donne e le bambine, le adolescenti come Termeh, in particolare. La ragazza assiste prima allibita alla esibizione della doppia verità da parte del padre, poi ne rimane direttamente coinvolta, dovendo testimoniare. La scena finale, con i corridoi del tribunale percorsi avanti e indietro da ragazzi di ogni età, mentre Termeh, davanti al giudice, piange perché non sa cosa rispondere è invece la risposta alla scena iniziale: quella del perché la madre non voleva che sua figlia crescesse in quel paese.
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riccardo76
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domenica 27 novembre 2011
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una vicenda famigliare narrata come un thriller
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Meritatamente vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, sia come miglior film che per i migliori attori maschili e femminili, Una Separazione si rivela uno dei film più belli dell’anno.
La grandezza del regista Farhadi è quella di essere riuscito a raccontare l’Iran, con i suoi problemi e le sue contraddizioni, attraverso una vicenda famigliare perlopiù ordinaria, ma narrata alla stregua di un avvincente thriller, in modo da tenere costantemente accesa la curiosità e la tensione del pubblico.
Sin dalle prime battute lo spettatore si ritrova, così, coinvolto in questa vicenda domestica senza riuscire veramente a schierarsi dalla parte di uno dei quattro protagonisti: Nader, sua moglie Simin, la badante Razieh ed il marito.
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Meritatamente vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, sia come miglior film che per i migliori attori maschili e femminili, Una Separazione si rivela uno dei film più belli dell’anno.
La grandezza del regista Farhadi è quella di essere riuscito a raccontare l’Iran, con i suoi problemi e le sue contraddizioni, attraverso una vicenda famigliare perlopiù ordinaria, ma narrata alla stregua di un avvincente thriller, in modo da tenere costantemente accesa la curiosità e la tensione del pubblico.
Sin dalle prime battute lo spettatore si ritrova, così, coinvolto in questa vicenda domestica senza riuscire veramente a schierarsi dalla parte di uno dei quattro protagonisti: Nader, sua moglie Simin, la badante Razieh ed il marito. Ognuno di essi infatti espone in modo chiaro il proprio punto di vista, presentando le motivazioni delle loro scelte e del loro agire, tutte egualmente palesi e comprensibili, cosicché il pubblico non riesce a stabilire se, per esempio, sia più giusto per la figlia della coppia lasciare il paese o restare in Iran col padre, dal momento che Nader è obbligato a restare per curare il vecchio padre malato d’Halzeimer, mentre Simin non vede un futuro per sé e sua figlia in un paese governato da un regime e non può lasciare scadere i visti ottenuti per l’espatrio.
La stessa incertezza si ripresenta allo spettatore a seguito dell’incidente, dove viene compiuto uno sbaglio da ognuna delle parti - lasciare l’anziano malato legato al letto, da parte di Razieh, spingere la donna , da parte di Nader – e dove ognuno subisce un danno – l’aver rischiato di perdere il padre, per Nader, la perdita del figlio in grembo per la badante. Persino le reazioni isteriche del marito di Razieh finiscono per risultare comprensibili. L’unico aspetto che appare certo, è che le vere vittime di tutto ciò risultano le rispettive figlie delle coppie, le quali assimilano in silenzio la tragedia, esprimendo il loro dolore attraverso i loro intensi occhi innocenti.
Inoltre, la maestria del regista fa sì che il pubblico rimanga continuamente incuriosito sul modo in cui i fatti si siano realmente verificati, attraverso un gioco di intelligenti omissioni di particolari, che vengono pian piano svelati nel corso del film, in un alternarsi di verità e piccole menzogne, contrasti e conciliazioni, fino alla verità finale, scottante come le problematiche che il film solleva indirettamente, come l’oppressione del regime, dal quale Simin sente il bisogno di fuggire, la condizione della donna, il fanatismo religioso , talmente potente da mettere in difficoltà una badante nel pulire un anziano malato.
Capita raramente di venire coinvolti talmente tanto da un film, dall’inizio alla fine, senza abbassare mai la tensione; Farhadi ci riesce, trasformando una vicenda famigliare in un avvincente thriller, avvalendosi anche di ottimi attori, sia adulti - tutti premiati a Berlino - che bambine, le vere protagoniste, poiché simboleggianti il futuro.
Memorabile il finale, che lascia lo spettatore in un’attesa infinita, quasi a voler simboleggiare l’incertezza di questo paese in crisi.
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[+] orso d'oro 2011 e oscar: miglior film straniero!
(di riccardo76)
[ - ] orso d'oro 2011 e oscar: miglior film straniero!
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osteriacinematografo
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giovedì 29 dicembre 2011
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umane ipocrisie
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L’opera è un ritratto dell’Iran contemporaneo, in cui la vita scorre, attraverso le vicissitudini quotidiane dei protagonisti, in modo non così dissimile da quello in cui si sviluppa in Occidente, per quelle che sono le cognizioni di chi scrive, per lo meno.
C’è naturalmente una separazione alla base della storia, una separazione fra un uomo e una donna, concreta ma non definitiva, da cui poi s’ingenera l’elemento scatenante, un incidente domestico, una lite da cui scaturisce -o sembra scaturire- un delitto: una donna assiste l’anziano padre dell’ uomo; l’uomo torna a casa, trova il padre solo, legato al letto; perde il controllo e spinge la donna fuori dalla porta di casa; quest’ultima scivola per le scale, e perde così il bambino che portava in grembo.
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L’opera è un ritratto dell’Iran contemporaneo, in cui la vita scorre, attraverso le vicissitudini quotidiane dei protagonisti, in modo non così dissimile da quello in cui si sviluppa in Occidente, per quelle che sono le cognizioni di chi scrive, per lo meno.
C’è naturalmente una separazione alla base della storia, una separazione fra un uomo e una donna, concreta ma non definitiva, da cui poi s’ingenera l’elemento scatenante, un incidente domestico, una lite da cui scaturisce -o sembra scaturire- un delitto: una donna assiste l’anziano padre dell’ uomo; l’uomo torna a casa, trova il padre solo, legato al letto; perde il controllo e spinge la donna fuori dalla porta di casa; quest’ultima scivola per le scale, e perde così il bambino che portava in grembo.
Tali fatti rappresentano la superficie più o meno visibile della vicenda.
Ansia e tensione crescono in un contesto astioso che sembra banale in apparenza, ma che rivela gradualmente piccole ma determinanti sfumature dei protagonisti, lati nascosti del carattere e dei comportamenti posti in essere sul momento, particolari che stravolgono la realtà dei fatti, fino al punto d’insinuare dubbi su chiunque.
Tre fattori mi hanno colpito particolarmente.
Anzitutto, la camera par oscillare nevroticamente, come nel primo (e nell’ultimo) Von Trier, nelle fasi di maggior tensione, quasi a seguire il passo schizofrenico-crescente dei protagonisti e delle loro relazioni pericolose.
In secondo luogo, e questo è il dato di maggior interesse, gli avvenimenti che si susseguono non vengono mai mostrati del tutto e non sono mai immediatamente visibili; l’autore si prende il tempo necessario alla narrazione, lascia all’intuito di chi guarda la possibilità di interpretare, ipotizzare, condannare o redimere, lasciando molti indizi e nessuna certezza, alimentando un dubbio che diviene struttura portante del film.
Non può poi passare inosservato il dato storico, reale, del peso dell’Islam su una società intera; gli aspetti religiosi limitano ogni tipo di libertà, ogni comportamento, con un occhio di riguardo per le donne, che ne subiscono effetti devastanti: la libertà femminile è a tal punto limitata da riguardare persino la possibilità di accudire un anziano malato, in una delle scene più rappresentative della pellicola.
Nessun protagonista uscirà senza macchia dalla storia, molti dubbi rimarranno tali, come caramelle da scartare, sotto lo sguardo attento e deluso di due ragazzine, che -al cospetto della menzogna- vedranno forse – e irrimediabilmente- spezzarsi l’incantesimo dell’innocenza.
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linodigianni
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venerdì 30 marzo 2012
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uno sguardo che interroga
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Consiglio la visione di questo film alle persone
che sanno apprezzare il valore di un cinema
che non ama i grandi proclami, gli scontri
ideologici o di religione.
Questo film parla, in superficie,
di coniugi che si separano, con di
mezzo la figlia undicenne e il suo destino.
Parla non autosufficiente e malatoche
deve essere affidato a una badante.
E parla della violenza sulle donne
e del vero e del falso.
In una società con leggi
dettate dalla religione.
Sottotraccia, con abilità
e sottovoce, i protagonisti
ci raccontano ciò che considerano vero
e ci interrogano.
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Consiglio la visione di questo film alle persone
che sanno apprezzare il valore di un cinema
che non ama i grandi proclami, gli scontri
ideologici o di religione.
Questo film parla, in superficie,
di coniugi che si separano, con di
mezzo la figlia undicenne e il suo destino.
Parla non autosufficiente e malatoche
deve essere affidato a una badante.
E parla della violenza sulle donne
e del vero e del falso.
In una società con leggi
dettate dalla religione.
Sottotraccia, con abilità
e sottovoce, i protagonisti
ci raccontano ciò che considerano vero
e ci interrogano.
Voto 9
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