andrea1974
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martedì 3 gennaio 2017
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una piccola storia per descrivere la grande storia
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Film paradigmatico. La separazione è tra le emozioni e le scelte, gli sguardi e le tensioni del maschile e del femminile; la separazione è economica, tra una famiglia borghese e una famiglia ai limiti della povertà; la separazione è tra gli affetti familiari, tra un padre ridotto dall'Alzheimer e un desiderio di fuga all'estero; la separazione è tra un gesto inconsapevole e un gesto violento, tra verità e dichiarazione di falsità; la separazione è tra fede e risposta dell'uomo, l'incapacità a sentirsi sempre pienamente a posto davanti all'Assoluto; la separazione è tra buon senso e iter giudiziario; la separazione è in Iran, tra teocrazia e democrazia, in una metafora e in una breve storia che porta l'analogia di un'intero popolo.
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Film paradigmatico. La separazione è tra le emozioni e le scelte, gli sguardi e le tensioni del maschile e del femminile; la separazione è economica, tra una famiglia borghese e una famiglia ai limiti della povertà; la separazione è tra gli affetti familiari, tra un padre ridotto dall'Alzheimer e un desiderio di fuga all'estero; la separazione è tra un gesto inconsapevole e un gesto violento, tra verità e dichiarazione di falsità; la separazione è tra fede e risposta dell'uomo, l'incapacità a sentirsi sempre pienamente a posto davanti all'Assoluto; la separazione è tra buon senso e iter giudiziario; la separazione è in Iran, tra teocrazia e democrazia, in una metafora e in una breve storia che porta l'analogia di un'intero popolo. Film straordinario, senza sbavature, lucido nelle emozioni, che lascia entrare lo spettatore e lo lascia libero, come l'adolescente nella scena finale, davanti a queste separazioni: che cosa deciderà?
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wearenot
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sabato 12 marzo 2016
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delicato e vero
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Film delicato e vero, personaggi reali. Gli eventi si susseguono con umanità, nei torti, nelle ragioni, in fatti detti e fatti taciuti, nelle paure, nelle ansie, nella rabbia. Eventi che coinvolgono e soffiano furenti, sconvolgendo la vita dei figli. innocenti che pagano il prezzo delle contese dei grandi.
E alla fine, le lacrime e il dolore della piccola, un verdetto che non giunge.
Come due sconosciuti, separati da una porta a vetri in un muro di silenzio, i due genitori attendono.
Bravissimi attori.
Un gran bel film che mi ha colpito nel modo in cui coglie la cultura, le superstizioni, il pensiero comune iraniano.
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sergio dal maso
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lunedì 22 giugno 2015
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una separazione
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Prima scena : il bancario Nader e l’insegnante Simin, coppia borghese e benestante di Teheran, sono in tribunale per chiedere il divorzio. Ripresi da una inquadratura frontale si rivolgono, a turno e argomentando le proprie ragioni, a un giudice che non si vede, quasi “chiamando” lo spettatore a farsi giudice.
Lo spettatore da questo momento sarà coinvolto sia emotivamente che psicologicamente nella dolorosa e complessa vicenda della separazione dei due coniugi iraniani. La moglie, Simin, avendo finalmente ottenuto un difficilissimo visto per un lavoro in Europa vorrebbe trasferirsi con tutta la famiglia, soprattutto per garantire un futuro migliore alla figlia undicenne, Termeh.
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Prima scena : il bancario Nader e l’insegnante Simin, coppia borghese e benestante di Teheran, sono in tribunale per chiedere il divorzio. Ripresi da una inquadratura frontale si rivolgono, a turno e argomentando le proprie ragioni, a un giudice che non si vede, quasi “chiamando” lo spettatore a farsi giudice.
Lo spettatore da questo momento sarà coinvolto sia emotivamente che psicologicamente nella dolorosa e complessa vicenda della separazione dei due coniugi iraniani. La moglie, Simin, avendo finalmente ottenuto un difficilissimo visto per un lavoro in Europa vorrebbe trasferirsi con tutta la famiglia, soprattutto per garantire un futuro migliore alla figlia undicenne, Termeh. Il marito, Nader, non se la sente di separarsi dall’anziano padre, malato di Alzheimer e preferisce invece restare a Teheran.
In attesa della sentenza Simin ritorna dai genitori e Nader è costretto ad assumere una badante per il padre; trova una donna molto religiosa, proveniente da una famiglia povera e tradizionalista. Razieh, che ha già una
bambina da accudire ed è incinta, accetta il lavoro, contrario alle norme religiose islamiche, solo per necessità, senza informare il marito disoccupato, un uomo collerico e manesco.
Un evento imprevisto complica ulteriormente la vicenda, innescando una spirale di situazioni conflittuali che sfuggono dal controllo di ciascuno dei personaggi, in un groviglio di bugie e di mezze verità in cui tutti sono
innocenti e colpevoli nello stesso tempo. L’evolversi della storia mette progressivamente a fuoco non solo la separazione di Nader e Simin ma anche altre separazioni, meno evidenti. Come quella data dalla classe sociale e dalla diversa condizione economica delle due famiglie, o quella di tipo religioso, in cui alla coppia protagonista, laica e occidentalizzata, viene opposto il tradizionalismo della famiglia di Razieh. Diverso è anche lo sguardo silenzioso dei bambini, ancora innocente e puro, rispetto a quello degli adulti, opportunisti e inclini a pensare solo ai propri interessi. Le vicende individuali si mescolano e si rincorrono, sollecitando continuamente lo spettatore a immedesimarsi nelle scelte dei vari personaggi, ma senza imporre o forzare giudizi morali o ragioni che, alla fine, nessuno ha fino in fondo.
Si condividono e si giustificano le motivazioni di ognuno, salvo riconoscerne poi l’ipocrisia e la doppiezza delle intenzioni. L’aspetto più rilevante del film capolavoro di Asghar Farhadi è proprio questo, che pur narrando una vicenda completamente immersa nella società iraniana e nella cultura islamica racconta al tempo stesso una storia universale, piena di dolorosa umanità e di sentimenti contrastati, assolutamente attuali anche nella vita quotidiana di un cittadino europeo. La macchina da presa di Farhadi segue febbrilmente i personaggi, non li abbandona mai, li riprende con primi piani intensi che penetrano nella loro sofferenza e nei loro segreti. Lo spettatore può osservarli da vicino ma con discrezione : spesso le immagini sono nascoste o ostacolate da vetri e porte socchiuse, gli episodi fondamentali non sono quasi mai ripresi direttamente. Il montaggio incalzante esalta la struttura polifonica della sceneggiatura, tutti i personaggi sono ugualmente importanti e vitali, con un crescendo che a tratti assume la tensione del “giallo”.
Gli attori sono semplicemente straordinari, il regista ha lavorato molto nel teatro e cura in modo maniacale la recitazione. Al 61 Festival di Berlino, non sapendo scegliere chi premiare come miglior attore e miglior attrice la giuria ha deciso di dare i due premi al cast completo maschile e femminile, evento praticamente impossibile in un festival internazionale. Una separazione è stato uno dei film più premiati degli ultimi anni; le autorità iraniane e la severissima censura di Stato, che all’inizio lo avevano ostacolato o quanto meno non lo avevano gradito, hanno dovuto “far di necessità virtù”, finendo con esultare per il premio Oscar come miglior film straniero.
A mio parere pur essendo apparentemente apolitico e intimista il cinema neo-realista di Farhadi riesce a far risaltare, forse meglio dei film dichiaratamente politici e perseguitati dalla censura, le contraddizioni e l’oppressione del regime teocratico di Khatami e del presidente Ahmadinejad. Il messaggio finale è un messaggio di speranza. La speranza per il futuro dell’Iran è rappresentata dalle donne, nella storia raccontata sono le uniche figure in grado di riscattarsi, in particolare le bambine.
Le figlie delle due coppie assistono al conflitto silenziose ma non passive, sarà Termeh a dover giudicare e decidere cosa fare, entrando così nel mondo degli adulti, per fortuna ancora guidata dall’innocenza del suo sguardo e della purezza dei suoi sentimenti.
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peer gynt
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domenica 24 maggio 2015
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la paura di dio
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Tutti mentono, in questo film. E inoltre si mente non solo agli altri, ma anche a se stessi. Per credersi sempre nel giusto, per perseguire il proprio utile, per averla vinta sull'altro costi quello che costi. E si continua a mentire anche quando si sa perfettamente che la falsita' che si va costruendo distruggera' la vita dell'altro.
Ma questa umanita' fatta di adulti sempre e pervicacemente bugiardi ha anche una spaventosa paura di Dio. Il Dio in cui credono e' uno spietato vendicatore dei torti, un crudele giustiziere pronto a punire gli adulti in cio' che hanno di piu' caro: i loro figli. Percio' a Dio non si mente, giurare il falso sul Corano non e' possibile nemmeno pensarlo.
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Tutti mentono, in questo film. E inoltre si mente non solo agli altri, ma anche a se stessi. Per credersi sempre nel giusto, per perseguire il proprio utile, per averla vinta sull'altro costi quello che costi. E si continua a mentire anche quando si sa perfettamente che la falsita' che si va costruendo distruggera' la vita dell'altro.
Ma questa umanita' fatta di adulti sempre e pervicacemente bugiardi ha anche una spaventosa paura di Dio. Il Dio in cui credono e' uno spietato vendicatore dei torti, un crudele giustiziere pronto a punire gli adulti in cio' che hanno di piu' caro: i loro figli. Percio' a Dio non si mente, giurare il falso sul Corano non e' possibile nemmeno pensarlo. E il castello di menzogne si infrange su questa religione del terrore e della proibizione, rivelando nei personaggi una schiera di marionette mosse da regole, forme, princìpi, mai da un briciolo di umanita'.
Unica isola di sofferenza e di sincerita' sono i giovanissimi, gli unici a dire la verita', coloro che paradossalmente non hanno praticamente voce. E da qui si origina il riuscito il finale: alla figlia 11enne del protagonista si chiede di scegliere, sinceramente, con chi vuole andare a vivere, visto che i suoi genitori vogliono separarsi: la ragazza esita ma e' sicura della risposta, pero' chiede che i genitori escano dalla stanza. Non sono degni, gli adulti strateghi del proprio utile, di ascoltare le parole della verita' sofferta.
Ma nemmeno noi, del pubblico, siamo degni di ascoltare questa parola. E restiamo fuori della porta, con Nader e Simin in via di separazione, a veder scorrere i titoli di coda.
Film riuscito, dalla scrittura implacabile, sua unica pecca la scelta di quella figura stilistica (la ripresa con macchina a spalla) che dovrebbe aumentare il senso di neorealismo della vicenda. Non ce n'era bisogno: il reale c'e' gia' tutto nella vicenda e nei dialoghi serrati.
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angelo umana
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mercoledì 12 marzo 2014
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ciò che vorrebbe la figlia
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L’inquadratura che sembra racchiudere tutto il senso degli avvenimenti familiari raccontati nel film è quella finale: mentre già scorrono i titoli di coda la camera “osserva” i due genitori separandi, seduti l’una quasi di fronte all’altro nell’anticamera del giudice tutelare a cui, sola, la figlia adolescente della coppia dirà con quale dei due ha scelto di vivere. La donna lo guarda con insistenza, pare cercare un contatto, un ravvedimento da parte del marito il quale invece volge altrove lo sguardo cocciuto.
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L’inquadratura che sembra racchiudere tutto il senso degli avvenimenti familiari raccontati nel film è quella finale: mentre già scorrono i titoli di coda la camera “osserva” i due genitori separandi, seduti l’una quasi di fronte all’altro nell’anticamera del giudice tutelare a cui, sola, la figlia adolescente della coppia dirà con quale dei due ha scelto di vivere. La donna lo guarda con insistenza, pare cercare un contatto, un ravvedimento da parte del marito il quale invece volge altrove lo sguardo cocciuto. Dopo tante beghe e liti – l’attenzione è tenuta viva durante tutto il film - si ha voglia di un gesto rappacificatore ma lui è accanito a restare nelle sue posizioni: vuole proseguire la lite con una coppia più povera, attribuisce alla cura di suo padre – preda dell’Alzheimer - il motivo di non volersi trasferire all’estero con moglie e figlia, ma pare venga suggerito che il maschio stia più comodo in Iran, anche se sono le donne a condurre il gioco anche un una società patriarcale. La bambina dal canto suo ha sempre chiesto ai suoi col silenzio di restare assieme.
Il regista ci ha introdotti – già lo fece con “About Elly” - a conoscere un po’ di più la società iraniana e per farlo costruisce delle vicende familiari in qualche modo complicate, drammatiche, che denunciano le pecche, i costumi imposti da una società teocratica, che sembra tarpare le ali a un modo di pensare più libero. Si temono disgrazie se si osa spergiurare sul Corano, è inammissibile che una donna frequenti la casa di un altro uomo se non accompagnata da suo marito oppure che essa possa vedere nudo un anziano malato (una scena così era in “Viaggio a Kandahar”, il medico che visitava la paziente da dietro una tenda). La vicenda familiare è pretesto per fornire uno spaccato della società iraniana: la moglie che chiede il divorzio dal marito lo fa perché lui non vuole seguirla all’estero dove lei ammette di cercare migliori condizioni di vita, ma una tale affermazione davanti al giudice conciliatore iraniano deve essere controproducente, nella scena la donna pare rischiare un’incriminazione d’ufficio.
La giustizia applicata in modo così diretto o sommario nei tribunali iraniani brulicanti d’anime viene resa quasi più attrattiva di quella nostra, che ha l’in-giustizia di tempi lunghissimi. Buon film, una storia avvincente e ottimamente interpretata.
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jacopo b98
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domenica 1 settembre 2013
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il dramma di una famiglia ci racconta l'iran
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In Iran Nader (Moaadi) e Simin (Hatami) decidono di divorziare poiché lei desidera partire dal paese, lui, per occuparsi di un padre malato d’Alzheimer, non vuole. La figlia Termeh (Farhadi) decide di rimanere con il padre, per impedire la partenza della madre. Nader assume una badante per il malato, la donna per andare da un ginecologo, dato che è incinta, lascia il padre di Nader solo in casa e lo lega al letto, quando il figlio torna trova il padre legato, se la prende con la donna e le dà una spinta. Lei perde il bambino e sia la famiglia della badante che quella di Nader è trascinata in un vortice giudiziario senza fondo. È stata colpa della spinta oppure no? Eccezionale prova registica di Farhadi (anche sceneggiatore e produttore) che ci racconta il suo paese, l’Iran, in un modo mai visto prima: il regista sviscera la società e la nazione intera e ci racconta una storia già di per sé bellissima e ben costruita, ma contemporaneamente ci dà un quadro totalmente diverso da quello che noi ci immaginiamo: non è così terribile la vita in Iran, è piuttosto normale, con i problemi di tutti i giorni.
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In Iran Nader (Moaadi) e Simin (Hatami) decidono di divorziare poiché lei desidera partire dal paese, lui, per occuparsi di un padre malato d’Alzheimer, non vuole. La figlia Termeh (Farhadi) decide di rimanere con il padre, per impedire la partenza della madre. Nader assume una badante per il malato, la donna per andare da un ginecologo, dato che è incinta, lascia il padre di Nader solo in casa e lo lega al letto, quando il figlio torna trova il padre legato, se la prende con la donna e le dà una spinta. Lei perde il bambino e sia la famiglia della badante che quella di Nader è trascinata in un vortice giudiziario senza fondo. È stata colpa della spinta oppure no? Eccezionale prova registica di Farhadi (anche sceneggiatore e produttore) che ci racconta il suo paese, l’Iran, in un modo mai visto prima: il regista sviscera la società e la nazione intera e ci racconta una storia già di per sé bellissima e ben costruita, ma contemporaneamente ci dà un quadro totalmente diverso da quello che noi ci immaginiamo: non è così terribile la vita in Iran, è piuttosto normale, con i problemi di tutti i giorni. La visione è nuova e la freschezza della regia è l’ennesima prova del valore di un cinema purtroppo poco conosciuto da noi. Interpretato da due grandi interpreti, è una storia che oltrepassa il tempo e lo spazio per arrivare a dire qualcosa di più. E da un film su una famiglia si trasforma in un film sull’Iran, che si trasfigura diventando un film su una separazione, l’argomento chiave (causa) di tutte le vicende dell’opera. È un film che fa domande e dà poche risposte (come dimostra il finale aperto): è lo spettatore a doversi rispondere da solo (esempio: Nader è colpevole? No, probabilmente, ma ha mentito al giudice). Trionfo al Festival di Berlino: Orso d’Oro, Orso d’Argento al miglior attore e alla miglior attrice. Oscar, Golden Globe e numerosi premi internazionali al miglior film straniero.
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silviorighini
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martedì 22 gennaio 2013
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un film straordinario, da non perdere.
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Un film straordinario, magistrale, giocato sul filo del rasoio: i colpi di scena, come nella vita reale, sono fatti di piccole sfumature, innanzitutto psicologiche ed emotive.
Una storia solo apparentemente domestica e intima in cui ognuno, a dispetto di una vicenda ingarbugliata, cerca una giustizia sostanziale sperando di salvare il salvabile coprendo le proprie umane debolezze, che sono poi quelle del carattere di ognuno di noi. Con la complicità di un regista che non giudica ma osserva con discrezione e delicatezza e grande acume, lo spettatore si sente testimone suo malgrado, come da una porta socchiusa, di una vicenda privata. A pensarci, le porte - che riaparano sia l'osservato che l'osservatore - hanno effettivamente un ruolo fondamentale in questo grande film.
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Un film straordinario, magistrale, giocato sul filo del rasoio: i colpi di scena, come nella vita reale, sono fatti di piccole sfumature, innanzitutto psicologiche ed emotive.
Una storia solo apparentemente domestica e intima in cui ognuno, a dispetto di una vicenda ingarbugliata, cerca una giustizia sostanziale sperando di salvare il salvabile coprendo le proprie umane debolezze, che sono poi quelle del carattere di ognuno di noi. Con la complicità di un regista che non giudica ma osserva con discrezione e delicatezza e grande acume, lo spettatore si sente testimone suo malgrado, come da una porta socchiusa, di una vicenda privata. A pensarci, le porte - che riaparano sia l'osservato che l'osservatore - hanno effettivamente un ruolo fondamentale in questo grande film. Da non perdere.
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the pork chop express
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sabato 25 agosto 2012
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L'umanità sgorga prepotente da ogni personaggio di questo film iraniano, dai coniugi separandi, al padre di lui malato di alzhaimer, al giudice, al secondino. Una storia semplice ma mai banale. Giudicato da molti una delle migliori pellicole del 2011.
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luis23
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martedì 14 agosto 2012
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una storia sui valori
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Sono tante le scene in questo film che mettono in crisi uno spettatore come me. Vuoi perchè sono occidentale ma, sopratutto occidentale/italiano. E già: il nostro stato ne contiene un altro , quello del vaticano che è la dimora del cristianesimo, della religione. Ma quante differenze tra la nostra quotidianità e quella rappresentata in questo film. La vita che si svolge ogni giorno nel racconto di questa storia è intrisa di dio, famiglia e.. (neanche a farlo apposta) di un padre. Tutti questi ingredienti hanno funzionato meravigliosamente per la narrazione di questa storia. Ma il vero focus è il conflitto lacerante di una presunta bugia di uno dei "separandi", la bugia presunta di un uomo "perbene".
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Sono tante le scene in questo film che mettono in crisi uno spettatore come me. Vuoi perchè sono occidentale ma, sopratutto occidentale/italiano. E già: il nostro stato ne contiene un altro , quello del vaticano che è la dimora del cristianesimo, della religione. Ma quante differenze tra la nostra quotidianità e quella rappresentata in questo film. La vita che si svolge ogni giorno nel racconto di questa storia è intrisa di dio, famiglia e.. (neanche a farlo apposta) di un padre. Tutti questi ingredienti hanno funzionato meravigliosamente per la narrazione di questa storia. Ma il vero focus è il conflitto lacerante di una presunta bugia di uno dei "separandi", la bugia presunta di un uomo "perbene". Per bene perchè per tutti era un uomo perbene e nulla fapensare che non sia così. Tutto ruota attorno a questa bugia e con questa scusa il regista ci fa scoprire le primordiali leve culturali di questi signori (iraniani per l'occasione). Ammetto che mi sono sentito molto povero di valori durante la visione del film. Il capolavoro è la scena finale in cui un uomo ed una donna distanti tra loro un solo metro, riescono a non parlarsi, a non guardarsi, a non comunicare nonostante tra loro ci sia solo una porta a vetri mezza aperta. Una scena che non riesco a descrivere ma che posso invitare tutti a vedere e, magari a rivedere. Una forza d'urto veramente speciale. Un grande film !!
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luca scial�
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giovedì 26 luglio 2012
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l'iran tra tradizioni e modernità
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Iran, giorni nostri. Simin vorrebbe lasciare l'Iran, ma il marito Nader non è d'accordo; neppure a farle portare con sé la figlia undicenne. Così i due avviano la separazione, la quale porta non pochi problemi alla vita quotidiana di Nader, che deve badare anche al padre malato di Alzheimer. Decide così di prendere una donna di servizio, ma di ritorno prima da lavoro trova il padre a terra e la donna fuori casa. S'infuria, anche perché non trova dei soldi che ritiene li abbia rubati lei. Dopo un acceso diverbio la donna cade dalle scale e da qui cominciano una serie di guai a colpi di accuse reciproche, minacce e cause giudiziarie.
Asghar Faradhi si è già fatto apprezzare per About Elly e si conferma con questo lungometraggio.
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Iran, giorni nostri. Simin vorrebbe lasciare l'Iran, ma il marito Nader non è d'accordo; neppure a farle portare con sé la figlia undicenne. Così i due avviano la separazione, la quale porta non pochi problemi alla vita quotidiana di Nader, che deve badare anche al padre malato di Alzheimer. Decide così di prendere una donna di servizio, ma di ritorno prima da lavoro trova il padre a terra e la donna fuori casa. S'infuria, anche perché non trova dei soldi che ritiene li abbia rubati lei. Dopo un acceso diverbio la donna cade dalle scale e da qui cominciano una serie di guai a colpi di accuse reciproche, minacce e cause giudiziarie.
Asghar Faradhi si è già fatto apprezzare per About Elly e si conferma con questo lungometraggio. Il quale ci mostra un'Iran ancora conteso tra modernità e tradizione; tra religione e diritti civili. Il tutto visto con gli occhi di un'adolescente che sta crescendo in un Paese ancora culturalmente ibrido.
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