fabio 3121
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domenica 29 novembre 2020
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la costruzione di una squadra vincente
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il film basato sul libro "Moneyball" racconta la storia vera della squadra di baseball Oakland Athletics e su come il suo general manager Billy Beane (Brad Pitt), dopo la cessione dei suoi giocatori più forti, anziché seguire le indicazioni degli anziani osservatori del club, non potendo disporre di grosse somme di denaro, decide di avvalersi del contributo di un giovane laureato in economia Peter Brand (Jonah Hill). Attraverso lo studio analitico delle statistiche relative a centinaia di giocatori (scartati da altre squadre) nonchè la visione dei loro relativi filmati di gioco, i 2 mettono insieme una squadra affidandola all'allenatore Art Howe (Philip Seymour Hoffman).
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il film basato sul libro "Moneyball" racconta la storia vera della squadra di baseball Oakland Athletics e su come il suo general manager Billy Beane (Brad Pitt), dopo la cessione dei suoi giocatori più forti, anziché seguire le indicazioni degli anziani osservatori del club, non potendo disporre di grosse somme di denaro, decide di avvalersi del contributo di un giovane laureato in economia Peter Brand (Jonah Hill). Attraverso lo studio analitico delle statistiche relative a centinaia di giocatori (scartati da altre squadre) nonchè la visione dei loro relativi filmati di gioco, i 2 mettono insieme una squadra affidandola all'allenatore Art Howe (Philip Seymour Hoffman). Quest'ultimo dovrà quindi personalizzare molti allenamenti non avendo a disposizione dei campioni ma poi alla fine la squadra batterà il record di 20 vittorie consecutive nell'American League. Siamo di fronte ad un film quasi del tutto girato nello stadio, negli spogliatoi, sul terreno di gioco, negli uffici amministrativi. Buona la prova di tutto il cast, una menzione a Brad Pitt, e la fotografia soprattutto quella delle scene degli interni. Unico neo per chi non segue - come me - il baseball, è rappresentato da molti dialoghi sulle strategie di gioco che ovviamente appaiono per nulla comprensibili. Essendo incece uno sport molto praticato negli USA, ciò ne ha garantito in patria un successo sia di pubblico che di premi ai festival del cinema.
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fabio
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domenica 10 marzo 2019
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dietro le quinte dello sport
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Bel lavoro e bella interpretazione di Brad Pitt. Due ore intense che raccontano una parte del mondo che sta' dietro lo sport professionistico americano. Un ex giocatore fallito ora manager di una società minore desidera con tutto se stesso di portare la squadra alla vittoria del campionato. Per riuscirci non esita a scompigliare le carte, cambiando totalmente strategia e rischiando il tutto per tutto. La voglia di rivalsa diventa simile ad un' ossessione. Ma cambierà il mondo, cambierà le regole e il modo di vedere.
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jl
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mercoledì 4 luglio 2018
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w la sabermetrica !!!!
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Come spesso capita nei film tratti da eventi sportivi anche in questa pellicola firmata da Bennett Miller e datata 2011 ma risalente alla stagione 2001, c’è molto di più del semplice baseball, molto più del “batti e corri” o degli spogliatoi frequentati da masticatori di tabacco, c’è invece tutto un sottobosco di luoghi comuni e di sogni infranti, a partire da quelli di Brad ‘Billy Bean’ Pitt, che da promessa della Major League, con un passato di sogni e lacrime spese ripensando alla sua modesta carriera, si trasforma per mezzo dell’arrivo di Peter Brand nel primo sostenitore della sabermetrica, la scienza che grazie all’analisi statistica traduce quel che uno scout non seppe vedere proprio in lui ovvero varie debolezze essenziali in alcune particolarità del ‘gioco’.
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Come spesso capita nei film tratti da eventi sportivi anche in questa pellicola firmata da Bennett Miller e datata 2011 ma risalente alla stagione 2001, c’è molto di più del semplice baseball, molto più del “batti e corri” o degli spogliatoi frequentati da masticatori di tabacco, c’è invece tutto un sottobosco di luoghi comuni e di sogni infranti, a partire da quelli di Brad ‘Billy Bean’ Pitt, che da promessa della Major League, con un passato di sogni e lacrime spese ripensando alla sua modesta carriera, si trasforma per mezzo dell’arrivo di Peter Brand nel primo sostenitore della sabermetrica, la scienza che grazie all’analisi statistica traduce quel che uno scout non seppe vedere proprio in lui ovvero varie debolezze essenziali in alcune particolarità del ‘gioco’. Oltre a questo c’è anche la vita di persone incapaci di mantenere distaccati sentimenti e vita professionale, incapaci di non lasciarsi coinvolgere, anche se ben pagati, all’interno del gorgo dei sentimenti prodotti da uno sport che per loro è molto più di un semplice sport ma la loro vera ragione di vita. Pitt fornisce una prova sopra le righe, oltre le più rosee aspettative, facendo appassionare, grazie al suo atteggiamento sornione, lo spettatore ad una disciplina di difficile lettura per un utente non americano e decisamente più avvezzo a gusti calcistici. Ciò nonostante la caccia al record di vittorie consecutive degli A’s e il rapporto fra Billy e la figlia, diviene il polmone per mezzo del quale vive e si alimenta tutta la pellicola. Da sottolineare anche la buona prova di Philippe Seymour Hoffman, nel ruolo dello scettico coach Art Howe che non vede di certo di buon occhio un’innovazione così scientifica incapace di captare quel che è impalpabile ad una fredda statistica ovvero ‘l’essenza stessa dello sport’. Da vedere anche se non siete appassionati del ‘diamante’ ma se siete comunque appassionati di sogni made in USA quasi a lieto fine.
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davide
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lunedì 8 gennaio 2018
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i nomi non sono tutto
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Un bel film sul mondo del baseball, o meglio il dietro le quinte, la gestione dei soldi delle società, dei giocatori e soprattutto della voglia di dimostrare che non servono i nomi per fare una grande squadra.
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venerdì 5 agosto 2016
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ottimo
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andrea alesci
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martedì 26 maggio 2015
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quelle imprevedibili vittorie celate nei numeri
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Nelle cifre stanno racchiuse tutte quelle storie di cui spesso non ci curiamo, quei profili che sottovalutiamo, che sottostimiamo, che scorrono via invisibili sotto il nostro pregiudizio. Ed è nella profondità delle cifre che sta la grandezza di Moneyball (in traduzione italiana L’arte di vincere). Un titolo che racchiude la formula del successo degli Oakland Athletics, la strategia messa in opera anche nella realtà (siamo nel 2002) dalla squadra californiana che milita nella Major League di baseball.
Una storia vera nelle mani del regista Bennett Miller (Truman Capote - A sangue freddo), che sa entrare con grande pregnanza nei meccanismi bui del diamante, facendo della macchina da presa un occhio attento a gesti e tic del general manager Billy Beane (Brad Pitt) e alle espressioni del suo giovane assistente Peter Brand (Jonah Hill), pronti a cambiare il modo di gestire una squadra di baseball, basandone la composizione esclusivamente sulla percentuale con cui un giocatore conquista la prima base.
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Nelle cifre stanno racchiuse tutte quelle storie di cui spesso non ci curiamo, quei profili che sottovalutiamo, che sottostimiamo, che scorrono via invisibili sotto il nostro pregiudizio. Ed è nella profondità delle cifre che sta la grandezza di Moneyball (in traduzione italiana L’arte di vincere). Un titolo che racchiude la formula del successo degli Oakland Athletics, la strategia messa in opera anche nella realtà (siamo nel 2002) dalla squadra californiana che milita nella Major League di baseball.
Una storia vera nelle mani del regista Bennett Miller (Truman Capote - A sangue freddo), che sa entrare con grande pregnanza nei meccanismi bui del diamante, facendo della macchina da presa un occhio attento a gesti e tic del general manager Billy Beane (Brad Pitt) e alle espressioni del suo giovane assistente Peter Brand (Jonah Hill), pronti a cambiare il modo di gestire una squadra di baseball, basandone la composizione esclusivamente sulla percentuale con cui un giocatore conquista la prima base.
Tutto – per arrivare alla vittoria – fa perno attorno a quel numero prodotto da chi scende in campo. Per approdare alla vittoria delle World Series cui aspira Billy Beane, quella vittoria che potrebbe cambiare il baseball e che sarebbe personale riscatto di una carriera da giocatore andata male proprio perché affidata alle mani di scout col piglio dei profeti. Billy ha scontato sulla sua pelle che le variabili in gioco nello sport e nella vita sono imprevedibili e che solo un differente modo di gestire l’andamento di una squadra può squadernare i vecchi metodi in favore di una prospettiva tutta nuova. Una prospettiva fondata sulla statistica.
Ma per spianare la strada al suo sogno Billy è costretto a licenziare un amico di vecchia data che fa parte del suo staff, deve dare il ben servito ad alcuni giocatori, soprattutto deve scontrarsi con l’ostinata resistenza di coach Art Howe (Philip Seymour Hoffman). Un cammino tortuoso che affronta in coppia con il 25enne analista Peter Brand, il quale già con la sua vistosa mole e l’aria da studente sfida le convenzioni; un viaggio che prosegue contando sul sostegno della figlia Casey (Kerris Dorsey), sicuro baluardo contro i fantasmi del suo passato.
Gli Oakland infilano venti vittorie di fila (record assoluto della Major League), guadagnandosi la finale. E non importa se poi arriva la sconfitta contro Minnesota Twins. Billy Beane ce l’ha fatta. Il metodo ispiratogli dallo storico del baseball Bill James ha funzionato, è vincente. Nel film come nella realtà Billy rifiuterà il contratto plurimilionario con i Boston Red Sox (che due anni dopo vinceranno le loro prime World Series dal 1918 proprio applicando le strategie della coppia Beane/Brand). Billy Beane rimarrà a Oakland, scegliendo alla fine quel romanticismo che rende ogni sfida più grande.
Così, attraverso il perfetto montaggio a incastro (tra girato e materiale di repertorio) di Christopher Tellefsen, gli scuri toni fotografici di Wally Pfister e l’ondeggiante colonna sonora di Mychael Danna, attraversiamo un’intera stagione di American League con lo sguardo posato su quei numeri che possono raccontare storie insospettabili. Quei numeri che spesso sono lì, nascosti nell’ombra di domande sbagliate. Per vederli bastano solo un paio di buoni occhiali e la volontà di credere nella matematica di una pallina da baseball.
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onufrio
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mercoledì 4 marzo 2015
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uomini fatti di numeri
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Billy Beane è un ex giocatore di baseball dal talento cristallino, purtroppo non ha sfruttato al meglio le proprie chances da giocatore e prova a rifarsi come general manager, ovvero colui che gestisce il mercato della squadra, in questo caso gli Oakland, un team dal basso budget capace di competere con le grandi potenze del baseball; per fare un paragone col nostro tanto amato calcio, è come se il Chievo Verona lottasse per lo scudetto contro la Juventus. Film appassionante e riflessivo, che ci mostra nuovi angoli nascosti nel mondo dello sport ma soprattutto in ua innovativa gestione manageriale di una squadra sportiva.
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mardou_
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sabato 29 novembre 2014
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bennet miller non ha fatto strike
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Da molte, troppe stagioni ormai,si assiste ad un generale impoverimento nell'industria cinematografica hollywoodiana: si ha l'impressione che l'avvento del 3D abbia cancellato ogni possibilità di pellicole di contenuto e di storie “nuove” che non siano dei sequel, prequel, spin off o simili.
Non a caso infatti hanno avuto un successo ben oltre le aspettative film come “Midnight in Paris” di Woody Allen o “The Artist”, fresco di Oscar, pellicole tutt'altro che originali ma che in tempi come questo rappresentano l'unica ventata di aria fresca che si può respirare nelle sale di tutto il mondo.
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Da molte, troppe stagioni ormai,si assiste ad un generale impoverimento nell'industria cinematografica hollywoodiana: si ha l'impressione che l'avvento del 3D abbia cancellato ogni possibilità di pellicole di contenuto e di storie “nuove” che non siano dei sequel, prequel, spin off o simili.
Non a caso infatti hanno avuto un successo ben oltre le aspettative film come “Midnight in Paris” di Woody Allen o “The Artist”, fresco di Oscar, pellicole tutt'altro che originali ma che in tempi come questo rappresentano l'unica ventata di aria fresca che si può respirare nelle sale di tutto il mondo.
La storia vera di riscatto e vittoria del general manager degli Oakland Athletics Billy Beane sarebbe potuta essere un'altra piacevole sorpresa per gli spettatori assuefatti da prodotti ormai tutti uguali, un'ottima occasione per affrontare in modo originale il mondo dello sport, tema generalmente poco esplorato dai registi.
Purtroppo però, Bennet Miller non ha fatto strike.
Ricordate “Jerry Maguire”?
Ecco,prendete il meraviglioso film di Cameron Crowe (1996) sostituite il football al baseball, dimenticate l'ottima interpretazione di Tom Cruise nominato agli Oscar e optate per quella anonima e rassegnata di Brad Pitt, candidato senza alcun merito a miglior attore protagonista, togliete il bimbetto occhialuto e dolcissimo che ci aveva fatto ridere e commuovere allo stesso tempo ed aggiungete invece un nerd sovrappeso, Jonah Hill, non altrettanto simpatico, fresco di università e decisamente complessato.
“ L'Arte di Vincere” si riduce a questo: una pallida copia di una pellicola di successo ben più ricca di pathos, intelligente e completa.
Peccato inoltre per i ruoli ingiustamente sacrificati di Philip Seymour Hoffman, già protagonista del precedente film di Bennet: “Truman Capote” e di Robin Wright che con “Millenium” sembra ormai essersi abbonata al ruolo di piacente quarantenne in evidente crisi coniugale...
Certo non si può parlare di film mediocre: anche se la partenza è lenta e poco accattivante, la sceneggiatura è solida e la storia si sviluppa in un crescendo di emozioni che strappano anche qualche lacrima.
Usciti dal cinema si ha però la stessa sensazione che pervade un tifoso quando allo stadio la sua squadra del cuore pareggia in una partita poco entusiasmante giocando al di sotto delle proprie possibilità.
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marco q.
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martedì 7 gennaio 2014
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un film che rende le statistiche emozionanti
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Billy Beane (Brad Pitt) è il GM degli Oakland Athletics, squadra di buon livello ma con un budget basso. Ogni anno il suo lavoro viene vanificato dalla strapotenza economica degli avversari che puntualmente offrono cifre innarivibili ai migliori giocatori della sua squadra, lasciandola indebolita e da ricostruire. La svolta: incotra Peter Brand (Jonah Hill), giovane laureato in economia,che lo convincere ad adottare un metodo per ottenere delle vittorie sulla base delle statistiche dei giocatori. Perchè Beane, ossessionato dall'idea di essere un perdente, non vuole giocare bene o ottenere buoni risultati; lui vuole vincere. Brand gli fa capire che le valutazioni dei giocatori si basano su sistema antiquato, che guarda più all'apparenza e al carattere (in sostanza una valutazione superficiale) che alla vera "forza" di un giocatore, comprensibile solo attraverso un attenta analisi statistica.
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Billy Beane (Brad Pitt) è il GM degli Oakland Athletics, squadra di buon livello ma con un budget basso. Ogni anno il suo lavoro viene vanificato dalla strapotenza economica degli avversari che puntualmente offrono cifre innarivibili ai migliori giocatori della sua squadra, lasciandola indebolita e da ricostruire. La svolta: incotra Peter Brand (Jonah Hill), giovane laureato in economia,che lo convincere ad adottare un metodo per ottenere delle vittorie sulla base delle statistiche dei giocatori. Perchè Beane, ossessionato dall'idea di essere un perdente, non vuole giocare bene o ottenere buoni risultati; lui vuole vincere. Brand gli fa capire che le valutazioni dei giocatori si basano su sistema antiquato, che guarda più all'apparenza e al carattere (in sostanza una valutazione superficiale) che alla vera "forza" di un giocatore, comprensibile solo attraverso un attenta analisi statistica. Ed è questo il tratto veramente atipico di questo film. Nei film sportivi (americani) sono sempre stati cuore, coraggio, determinazione e qualche volta un po' di provvidenza manzoniana a portare gli atleti con pochi mezzi al successo, metafora di quel sogno americano che ha guidato per tanti anni hollywood. Nell"Arte di vincere" tutto questo è sostituito da una oggettiva e razionale analisi , che si sostanzia nella frase "comprare vittorie e non giocatori". Un'idea semplice, scientifica, anche un po' arida nella sua assolutezza. Un'idea basata su calcoli matematici, non su grandi ideali o forti motivazioni personali. Ed è qui che il film esprime tutta la sua straordinarietà: nonostante la sua aridità di fondo, questa storia colpisce al cuore. Emoziona come pochi altri, forse proprio per questo suo basarsi su un razionalismo che non lascia molto al cuore, come un fiore che nasce nel deserto. E' quindi certamente una perla nel sua genere, anche grazie alla eccellente fotografia, alle ottime interpretazioni degli attori, ed a una sceneggiatura che rende il film scorrevole e profondo allo stesso tempo. Da vedere.
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scarabocio
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mercoledì 18 dicembre 2013
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quando lo sport diventa riflessione sulla vita
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'L'arte di vincere', pellicola con una solida sceneggiatura, a tratti scontata, che tuttavia non fa pesare questo difetto alternando la narrazione lineare di una stagione di baseball americana a scene riflessive, romantiche, comunque lontane, almeno visivamente, dal campo e dagli spogliatoi.
Prima di tutto menziono con grande sorpresa Jonah Hill, che interpreta con intelligienza un laureato in economia a Yale, assunto dall'allenatore degli Oakland Athletics (Brad Pitt) in qualità di esperto di compravendita di giocatori. Espressivo, calato perfettamente nella parte, c'é da chiedersi se non sia stato veramente lui stesso a inventare la teoria del Moneyball, in quel di Oakland nel 2002.
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'L'arte di vincere', pellicola con una solida sceneggiatura, a tratti scontata, che tuttavia non fa pesare questo difetto alternando la narrazione lineare di una stagione di baseball americana a scene riflessive, romantiche, comunque lontane, almeno visivamente, dal campo e dagli spogliatoi.
Prima di tutto menziono con grande sorpresa Jonah Hill, che interpreta con intelligienza un laureato in economia a Yale, assunto dall'allenatore degli Oakland Athletics (Brad Pitt) in qualità di esperto di compravendita di giocatori. Espressivo, calato perfettamente nella parte, c'é da chiedersi se non sia stato veramente lui stesso a inventare la teoria del Moneyball, in quel di Oakland nel 2002. Ottima scelta dunque del regista, che decide coraggiosamente di affidare un ruolo tanto importante all'interno della vicenda a un 'nuovo arrivato' del grande schermo internazionale.
E' allo stesso tempo un peccato dover parzialmente rinunciare alle capacità interpretative di P.S. Hoffmann, cui siamo stati felicemente abituati negli ultimi anni. L'allenatore Art Howe è statico, prevedibile e la sua personalità e figura non vengono mai analizzate o approfondite. Ragionandoci bene siamo davanti a una sfida nella sfida per Hoffmann: essere capaci di interpretare non solo l'eccentricità umana (I love Radio Rock) o la dedizione coesistente all'utilitarismo nel lavoro (The Ides of March) ma anche l'asciuttezza, la ricerca di stabilità di un allenatore timoroso della società che lo circonda. Visto da questa angolazione, anche il suo ruolo acquista interesse.
Ma veniamo a Pitt, protagonista assoluto del film, nonché divo holliwoodiano di fama planetaria.
Non è una delle sue migliori apparizioni, sicuramente anche a causa della parziale mancanza di slanci che una vicenda quasi interamente sportiva ha potuto offrirgli. Sfrutta tuttavia nella giusta maniera, mostrando grande esperienza, i segmenti chiave del piano sequenza: i primi piani in automobile, i frenetici susseguirsi di telefonate manageriali, le riflessioni serali domestiche. Laddove lo stress e l'impegno del manager sportivo addicono alla sua recitazione, a mio avviso, i comportamenti e movimenti del padre single separato a tempi alterni dalla figlia non sono nemmeno parzialmente credibili. Il Pitt padre di 'The Tree of Life', seppur con le differenze di età, esperienza ed epoca, era riuscito in maniera più convincente a rappresentare il profondo legame affettivo di un genitore nei confronti di un figlio.
Partendo dal presupposto a mio parere limitativo che questa è una trasposizione cinematografica non di un romanzo inventato ma di una storia vera (sceneggiatura prefissata, luoghi a cui adeguarsi, dialoghi da prendere spesso per quelli che sono) è un film piacevole, istruttivo e stimolante. Dà a noi spettatori la possibilità di osservare da una insolita e innovativa angolazione uno sport, quello del baseball, che non smette mai di incuriosire, americani e non.
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