Il regista fiorentino racconta le fasi di scrittura e di ripresa del film.
di Giovanni Bogani
Un applauso fuori dal comune, al Lido di Venezia, ha accolto Missione di pace, il film di Francesco Lagi che ha chiuso la Settimana della critica. Dopo i fischi alla Comencini, nella stessa sala – il Paladarsena – sembrava di essere a un altro festival.
Un pubblico accogliente, affettuoso, estremamente caldo ha offerto dieci minuti buoni di applausi a Silvio Orlando, Filippo Timi, a Francesco Brandi e a Bugo, autore della colonna sonora e anche attore, in questa storia di militari italiani sbandati e pasticcioni, con il capitano Silvio Orlando che gioca a Risiko e pianta le tende nel posto sbagliato, nel greto di un fiume, per trovarsi al mattino dopo alluvionato…
Erano sorpresi, persino commossi, regista e attori. Quasi sotto shock Francesco Lagi, fiorentino, al suo esordio nella regia di un lungometraggio, dopo aver firmato un episodio di 4-4-2, il film prodotto da Paolo Virzì. “Volevamo raccontare un tema serio, ma con la lente della commedia”, dice. “Non tanto le missioni di pace, i militari italiani all’estero, quanto l’azzeramento di senso nella nostra società”. Dopo l’ubriacatura euforizzante degli applausi e dell’incontro col pubblico, parliamo con lui. Fiorentino, liceo e primi anni di università a Firenze, poi il Centro sperimentale. E i primi cortometraggi.
C’è voluto tanto tempo, per fare arrivare questo film a Venezia. La sceneggiatura ha avuto anni di gestazione, e le riprese le hai realizzate l’anno scorso. Perché tutto questo tempo?
“Non è stata una strada semplice. Ci sono state molte differenti stesure della storia, per esempio. Poi ho lavorato molto anche al montaggio; per questo c’è voluto tutto questo tempo”.
L’idea di base qual era?
“Raccontare in modo divertente il tema della pace, ma soprattutto raccontare certe situazioni di evidente non senso dell’oggi. Abbiamo provato a fare questo”.
Perché hai scelto la strada del grottesco?
“Era iniziato tutto in modo realistico. Poi, più ci sganciavamo dai dati reali, più mi sembrava che il racconto fosse interessante. Trovare il tono del film è stato un processo molto lungo”.
Con Francesco Brandi hai disegnato un pacifista quasi “antipatico”: pignolo, puntiglioso, ossessivo…
“Sì, perché volevamo spiazzare le aspettative dello spettatore. Il pacifista rompiscatole ci interessava, così come un militare impersonato da Silvio Orlando, che non è per niente militaresco, o la soldatessa interpretata da Alba Rohrwacher”.
I tuoi modelli di cinema quali sono, se ce ne sono?
“Non ci ho mai pensato. Certo che certi film di Wes Anderson mi sono sempre piaciuti molto, ma non so se siano entrati nel film”.
Avete scritto il film per Silvio Orlando e Francesco Brandi…
“Che sono zio e nipote nella vita. E non avremmo potuto fare il film senza di loro”.
Dove avete girato, per rappresentare questi Balcani sperduti?
“In Friuli”.
Nel film, un esilarante Che Guevara è interpretato da Filippo Timi, al quarto film interpretato, fra quelli della Mostra.
Filippo, come hai immaginato questo Che Guevara?
“Beh, intanto ho pensato che dopo aver fatto Mussolini con Bellocchio dovevo in qualche modo pareggiare i conti! Poi mi piaceva questo Che Guevara che va all’Ikea, e che prepara un governo super con Diego Armando Maradona come assessore allo sport…”.