steffa
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venerdì 13 gennaio 2023
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bello +++++
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film di rara bellezza , esteticamente gradevole ed intrinsecamente complesso ed intenso
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stefano pesaresi
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lunedì 28 marzo 2022
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maestro del cinema
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Il film di Trier ha prologo capolavoro che merita di essere visto e soprattutto rivisto al termine delle riprese. Non si può classificare come genere fantascientifico. Non si può proprio classificare. Perché quanto più la storia passa dalle vicende della famiglia alla distruzione del mondo tanto più riesce a penetrare nel fondo dell'anima dello spettatore. Le due donne rappresentano i due tipi di comportamento dell'animo umano di fronte alla percezione angosciata di un mondo che ci cade addosso. È un film tipicamente europeo dove emerge un'Europa ricca ma decadente e priva di speranza, incapace di reggere l'urto del non senso al proprio benessere. Molto bravi gli attori e sempre ricercate le sequenze che li ritraggono nel loro procedere verso l'ineluttabile in maniera naturale, con il solito taglio per così dire a mano libera, marchio di fabbrica del regista.
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Il film di Trier ha prologo capolavoro che merita di essere visto e soprattutto rivisto al termine delle riprese. Non si può classificare come genere fantascientifico. Non si può proprio classificare. Perché quanto più la storia passa dalle vicende della famiglia alla distruzione del mondo tanto più riesce a penetrare nel fondo dell'anima dello spettatore. Le due donne rappresentano i due tipi di comportamento dell'animo umano di fronte alla percezione angosciata di un mondo che ci cade addosso. È un film tipicamente europeo dove emerge un'Europa ricca ma decadente e priva di speranza, incapace di reggere l'urto del non senso al proprio benessere. Molto bravi gli attori e sempre ricercate le sequenze che li ritraggono nel loro procedere verso l'ineluttabile in maniera naturale, con il solito taglio per così dire a mano libera, marchio di fabbrica del regista. Lars von Trier si conferma in questa opera un maestro del cinema perché da l'impressione di poter fare un film nel senso più ampio legato a questa arte, anche senza una trama, ma solo riprendendo la vita nel suo scorrere..verso la morte.
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stefano pesaresi
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lunedì 28 marzo 2022
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maestro del cinema
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Il film di Trier ha prologo capolavoro che merita di essere visto e soprattutto rivisto al termine delle riprese. Non si può classificare come genere fantascientifico. Non si può proprio classificare. Perché quanto più la storia passa dalle vicende della famiglia alla distruzione del mondo tanto più riesce a penetrare nel fondo dell'anima dello spettatore. Le due donne rappresentano i due tipi di comportamento dell'animo umano di fronte alla percezione angosciata di un mondo che ci cade addosso. È un film tipicamente europeo dove emerge un'Europa ricca ma decadente e priva di speranza, incapace di reggere l'urto del non senso al proprio benessere. Molto bravi gli attori e sempre ricercate le sequenze che li ritraggono nel loro procedere verso l'ineluttabile in maniera naturale, con il solito taglio per così dire a mano libera, marchio di fabbrica del regista.
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Il film di Trier ha prologo capolavoro che merita di essere visto e soprattutto rivisto al termine delle riprese. Non si può classificare come genere fantascientifico. Non si può proprio classificare. Perché quanto più la storia passa dalle vicende della famiglia alla distruzione del mondo tanto più riesce a penetrare nel fondo dell'anima dello spettatore. Le due donne rappresentano i due tipi di comportamento dell'animo umano di fronte alla percezione angosciata di un mondo che ci cade addosso. È un film tipicamente europeo dove emerge un'Europa ricca ma decadente e priva di speranza, incapace di reggere l'urto del non senso al proprio benessere. Molto bravi gli attori e sempre ricercate le sequenze che li ritraggono nel loro procedere verso l'ineluttabile in maniera naturale, con il solito taglio per così dire a mano libera, marchio di fabbrica del regista. Lars von Trier si conferma in questa opera un maestro del cinema perché da l'impressione di poter fare un film nel senso più ampio legato a questa arte, anche senza una trama, ma solo riprendendo la vita nel suo scorrere..verso la morte.
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alfio squillaci
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domenica 19 settembre 2021
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nordicità, depressione, il "marcio" di danimarca
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"Melancholia" di Lars von Trier
Visto con notevole ritardo il film, che è del 2011, "Melancholia" di Lars von Trier. Il caso ha voluto che proprio questa estate abbia anche visto "L'ultimo giro" di Thomas Vinterberg che insieme a Trier è il fondatore del movimento "Dogma 95" il cui manifesto molto perentorio intende rifondare con piglio militaresco - le avanguardie artistiche sono milizie estetiche per definizione ammettono gli stessi estensori - se non una nuova, una propria e singolare cinematografia, in cui si impegnano a "mettere un'uniforme ai nostri film".
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"Melancholia" di Lars von Trier
Visto con notevole ritardo il film, che è del 2011, "Melancholia" di Lars von Trier. Il caso ha voluto che proprio questa estate abbia anche visto "L'ultimo giro" di Thomas Vinterberg che insieme a Trier è il fondatore del movimento "Dogma 95" il cui manifesto molto perentorio intende rifondare con piglio militaresco - le avanguardie artistiche sono milizie estetiche per definizione ammettono gli stessi estensori - se non una nuova, una propria e singolare cinematografia, in cui si impegnano a "mettere un'uniforme ai nostri film".
Ora, stare a sindacare sulle intenzioni programmatiche di un manifesto di poetica filmica confrontando intenzioni a risultati che a causa di un ebbro quanto comprensibile narcisismo eccita oltre misura chiunque intraprenda una via artistica, che sarà per definizione "nuova" (altrimenti perché sentire il bisogno di fondare un movimento?), ma è esercio critico ozioso da cui vorrei astenermi, perché si sa che "habent sua fata verba". E tuttavia qualche osservazione critica da discolaccio la farò.
Stiamo ai fatti. I nostri di "Dogma 95" sono artisti danesi e se è vero che non si è danesi - come italiani o spagnoli o inglesi - per sbaglio (Paul Valéry diceva che si è francesi così come si respira), occorre dire che sia Trier che Vinterberg si fanno carico lodevolmente di un po' di "marcio in Danimarca". Se Vinterberg affronta in "Ultimo giro" il tema o problema dell'alcolismo qui von Trier (che non è nobile ma ha aggiunto la particella nobiliare per simpatico sberleffo) assume un altro tratto dell'antropologia danese, quello della amletica depressione (la Danimarca è seconda a livello globale nel consumo di antidepressivi).
Il film si apre con una lunghissima ouverture - ben otto minuti - di immagini en ralenti - la lentezza spaccaossa è la dominante di questo film - immagini prelevate dal corpo della pellicola che vedremo, ma anche di giganteschi dischi di pianeti che si sovrappongono nel gioco regolare delle orbite fino a che uno, di cui ignoriamo il nome, si scontra con il pianeta che sembra proprio la Terra. Il tutto accompagnato anche da immagini invernali nordiche di Bruegel il vecchio, e soprattutto da una colonna sonora di grande potenza suasiva e incantatrice. Ma attenzione non è un commento musicale di ordinanza, si tratta nientemeno che del Preludio di "Tristano e Isotta" di Richard Wagner. Mica cotiche.
Da canaglia quale sono annoto che già due dei comandamenti del decalogo di "Dogma 95" sono clamorosamente infranti: il quinto: "lavori ottici non sono permessi", cfr invece qui il gioco dei pianeti; ma soprattutto il secondo: "La musica non deve essere usata a meno che non sia presente quando il film viene girato". Che non si capisce bene cosa voglia dire, fatto che non mi impedisce di osservare tuttavia che qui la musica invece, e che musica!, è giustapposta alla trama filmica e ne indirizza il "tono"; filtra da tutti gli angoli più bui, che sono tanti, della messa in scena, e sembra, così eccessiva nella sua tragica tracimazione nei momenti clou, da mostrare la funzione occulta di vero e proprio steroide anabolizzante inoculato nel film al fine di espandere oltre ogni misura la volumetria di Gravità, Nordicità, Angoscia/Depressione, Smarrimento, Tensione al Sublime, Tragicità, tutti obiettivi estetici latenti o suggeriti scopertamente dalla intenzione di regia. (Ed è come se nella sua platealità di suggerimento proposto e imposto qualche regista italiano, tutte le proporzioni viste, volendo fare un film solare e mediterraneo e dare una idea della nostra vecchia gaiezza italica, accompagnasse gli snodi della vicenda con le voluttuose e scintillanti ouverture o cavatine di Rossini).
Il film si divide in due parti intitolate ai nomi delle due sorelle protagoniste: Justine e Claire. Nella prima è narrato lo sposalizio di Justine. Bella, bionda, burrosa e apparentemente felice giovane donna. Nulla delle prime scene lascia trasparire il suo stato di malessere psichico. V'è narrato l'incidente della limousine nuziale troppo lunga per girare nelle stradine di campagna, fatto che determina un ritardo di ben due ore nella cerimonia del ricevimento nuziale, ma il tutto è narrato in un tono gioioso di festa. Justine invece, ce lo suggerisce la musica saturante di Wagner, è depressa, melanconica. Ma il suo malessere non è drammaturgicamente narrato in forma diretta giustamente: come la musica di Wagner, insistente e pervasiva, è nell'aria, alluso per fatti concludenti. Sarà quel maritino così bello e scialbo? Sarà il suo tronfio datore di lavoro che la promuove al momento del brindisi da copywriter ad art-director e che le mette alle costole un tipo appena assunto allo scopo di strapparle lo "slogan" della prossima campagna pubblicitaria? (Una piccola slabbratura narrativa questa). Sarà quel papà così evanescente e svanito? Sarà quella madre così arcigna nel suo anticonformismo ribelle che non crede nelle cerimonie e nei codici borghesi pur facendone parte? Pare, a tal proposito, che Trier sia nato in una famiglia nudista&comunista&atea e che abbia patito così tanto quella libertà senza regole che si volge fatalmente nel diktat pari e contrario di una educazione repressiva, da cercare per contrappasso un ferreo collegio alla "giovane Törless" per contrastare con la disciplina (quella che invocherà nel suo "Dogma 95" con annessi voti di castità estetici) proprio quell'eccesso di libertà. Diomio, com'è prevedibile la vita nelle sue sorprese! Fatto sta che è in questa drammaturgia da "romanzo familiare" psicoanalitico senza scomodare Marthe Robert o Freud che va ricercata l'eziopatogenesi del disagio psichico di Justine, e di converso i suoi atti inconsulti, quali quello di sfanculare il datore di lavoro pubblicamente; assentarsi dal ricevimento per orinare nel prato sotto la campana dell'abito da sposa; negarsi sessualmente al marito, ma possedere, accovacciata di sopra, il tipo in cerca dello slogan; prendere abbondanti bagni caldi, ecc. In questa prima parte, fedele al suo manifesto estetico che si riprometteva l'uso esclusivo della telecamera a mano Trier si lancia nel virtuosismo di spostare velocemente, ma vistosamente, da un volto all'altro dei dialoganti la handycam, ed è forse il suo punto programmatico (il 3 "La macchina da presa deve essere portata a mano") più rispettato, anche se non sempre, perché gli stacchi di immagine tradizionali persistono nella cucitura delle scene.
Che dire? Sembra un tema ben svolto. Nulla da eccepire se non qualche sbavatura (quella dello "slogan" miracoloso).
Nella seconda parte intitolata a Claire vediamo Justine in abiti dimessi e totalmente in disfatta psichica rifugiarsi a casa della sorella Claire, che visti i due genitori sbagliati, in tutto il film ha svolto il ruolo di soccorrevole e affettuoso sostegno della sorella malata. Tutta questa seconda parte è diluita e lenta, e perciò campi lunghi, cavalcate seguite con metodico stillicidio, nessuno scalpiccio degli zoccoli riassunto o risparmiato: sembriamo in un film da école du regard, quando la telecamera indugia sui volti, sugli angoli bui del giardino, evitando accuratamente le ellissi narrative e tendente a suggerire Sospensione del Tempo e Sintomatico Mistero, plateali effetti imposti, appiccicati dalla regia. Qui, finito il racconto tutto sommato realistico o wysiwyg (Wat You See Is Wat You Get) della prima parte, convincente e riuscito, si compie la sbobinatura simbolica del film nel suo complesso - la partita a quattro tra le due sorelle, il marito di Claire e il figlioletto di costei della seconda parte -, ovvero quanto preannunciato negli otto minuti di ouverture musicata da Wagner: l'attesa del pianeta Melancholia gravitante sulla Terra. La distruggerà?
Siamo nel flou, nello schizzo allegorico molto sdato come chiusura della curva narrativa. I finali sono tutti deboli avvertiva Forster? Ce ne sono "più" deboli, evidentemente.
La mia osservazione finale è che von Trier tenti un grande salto con l'asta in direzione del Sublime, dell'Inespresso, del Tragico, in cui l'io deflagrato si porta con sé questo Atomo opaco del Male che èil mondo visto da un depresso, avvalendosi di molti effetti intenzionali e imposti, ma che resti sospeso con la lunga pertica nell'aria delle buone intenzioni. Il tutto, specie nella seconda parte - il disfacimento della prima, sa di forzatura e artificio, di buoni propositi ma di rendimenti non rispondenti alle premesse e alle promesse. E con l'aggiunta di una lentezza di sbobinatura finale tanto suggestiva quanto tendente al vuoto più annichilente.
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rosmersholm
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mercoledì 25 agosto 2021
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capolavoro
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Visionario, inquietante, libero. Rimane sotto pelle a lungo. Un capolavoro, uno dei pochi di quest'epoca.
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giulio andreetta
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giovedì 27 agosto 2020
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quasi un capolavoro per lars von trier
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I film di Lars Von Trier sono in genere delle creazioni estremamente raffinate e originali. Anche Melancholia non fa eccezione, il film si sviluppa a partire da un'idea geniale, e descritta dal punto di vista narrativo in modo assai curioso e particolare. In sostanza viene raccontato l'avvicinamento, prima impercettibile, poi sempre più drammatico e catastrofico di una sorta di pianeta gemello alla Terra, Melancholia appunto. Ma questo evento cosmologico si fonde alla descrizione molto raffinata della storia di una crisi matrimoniale, di una sofferta sensazione di incomunicabilità e solitudine sperimentata da una giovane donna (Kirsten Dunst).
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I film di Lars Von Trier sono in genere delle creazioni estremamente raffinate e originali. Anche Melancholia non fa eccezione, il film si sviluppa a partire da un'idea geniale, e descritta dal punto di vista narrativo in modo assai curioso e particolare. In sostanza viene raccontato l'avvicinamento, prima impercettibile, poi sempre più drammatico e catastrofico di una sorta di pianeta gemello alla Terra, Melancholia appunto. Ma questo evento cosmologico si fonde alla descrizione molto raffinata della storia di una crisi matrimoniale, di una sofferta sensazione di incomunicabilità e solitudine sperimentata da una giovane donna (Kirsten Dunst). Da menzionare l'ottimo livello qualitativo della resa fotografica, con macchina presa spesso tenuta a mano, a comunicare ancor di più l'inquieto tormento dei personaggi principali. Da un punto di vista formale il film è diviso in due parti, ciascuna intitolata con il nome delle due sorelle protagoniste del racconto, Justine e Claire. Kirsten Dunst offre realmente un'interpretazione eccelsa, a mio modo di vedere, anche se non appariscente e giustamente minimale nella gestualità e nelle intenzioni. Fin da subito siamo introdotti ad un'atmosfera eroica, ma anche profondamente melanconica della pellicola, dalle note del Preludio del Tristano di Richard Wagner. Le scelte espressive del regista appaiono senz'altro molto raffinate. Una pellicola che può senz'altro esser consigliata ad un ampio pubblico.
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ritacirrincione
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martedì 20 febbraio 2018
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von trier non si concede e non concede scampo
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In Melancholia Lars von Trier tratteggia la sua visione del mondo e lo fa attraverso lo sguardo di Justine e Claire, due sorelle che rappresentano due diversi modi di affrontare la vita: organizzato, pragmatico, fiducioso nelle “magnifiche sorti e progressive”, l’uno; disincantato, nichilista e iconoclasta, l’altro; insieme rimandano all’unità molteplice dell’essere umano. Von Trier non si concede e non concede scampo: legami, patti sociali, costruzione di fortune e di carriere, cerimonie, campi da golf con innumerevoli buche: nella sua visione apocalittica, tutto si sgretola, macrocosmi planetari e microcosmi relazionali. Quando l’impatto di Melancholia con la Terra è ormai inevitabile, Claire si arrende e crolla.
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In Melancholia Lars von Trier tratteggia la sua visione del mondo e lo fa attraverso lo sguardo di Justine e Claire, due sorelle che rappresentano due diversi modi di affrontare la vita: organizzato, pragmatico, fiducioso nelle “magnifiche sorti e progressive”, l’uno; disincantato, nichilista e iconoclasta, l’altro; insieme rimandano all’unità molteplice dell’essere umano. Von Trier non si concede e non concede scampo: legami, patti sociali, costruzione di fortune e di carriere, cerimonie, campi da golf con innumerevoli buche: nella sua visione apocalittica, tutto si sgretola, macrocosmi planetari e microcosmi relazionali. Quando l’impatto di Melancholia con la Terra è ormai inevitabile, Claire si arrende e crolla. Sarà la fragile Jasmine a gestire la fine, e lo fa non affidandosi a complessi dispositivi sociali in cui la sorella è così a suo agio, ma attraverso il contatto autentico e diretto di uno sguardo o il prendersi per mano e il simbolismo magico di una capanna incantata, dentro cui, come in un ritorno al grembo materno, affrontare la fine.
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fabio9610
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lunedì 19 febbraio 2018
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noia mortale
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Per più di metà film il nulla, l'altra metà è di una lentezza esasperante.
Persino la protagonista è annoiata dagli eventi.
Da guardare solo se volete vincere l'insonnia.
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francismetal
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mercoledì 1 novembre 2017
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mi dispiace lars...
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Sono deluso da questo grande genio del cinema. Ho amato lavori come Antichrist, che la critica ha odiato, mi è piaciuto molto anche Dancer in the Dark, ma questo però mi ha annoiato parecchio.
Il difetto della maggior parte dei film di Von Trier è che sono lenti... e questo è da imputare al Dogma 95 o comunque di quel tipo di regia.
Questo film è durato oltre 2 ore e ha raccontato una storia che si poteva raccontare in circa la metà del tempo.
Sicuramente riguardando questo film coglierei più significati nascosti dal visionario regista, ma difficilmente avrò tempo, pazienza ed energie per riguardare questo film.
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emyliu`
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domenica 22 ottobre 2017
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una sublime fine del mondo
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MELANCHOLIA è un film di fantascienza esistenziale, tremendamente bello e di una inaudita forza espressiva, come un angosciante incubo iper-reale dal quale ci si risveglia
con sacro timore, che il genio creativo di Lars Von Trier ha magnificamente visualizzato. Rapporti conflittuali tra persone allo sflacelo e obbiettivo ravvicinato nella vita
di due sorelle sempre più lontane. Durante la festa dopo il matrimonio di Justine (che viene colta da una profonda malinconia), nella villa della sorella Claire si apprende
la notizia di un enorme pianeta che, spuntando all'improvviso da dietro il Sole, incombe in rotta di collisione verso la Terra, benchè i cosmologi invitino all'ottimismo.
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MELANCHOLIA è un film di fantascienza esistenziale, tremendamente bello e di una inaudita forza espressiva, come un angosciante incubo iper-reale dal quale ci si risveglia
con sacro timore, che il genio creativo di Lars Von Trier ha magnificamente visualizzato. Rapporti conflittuali tra persone allo sflacelo e obbiettivo ravvicinato nella vita
di due sorelle sempre più lontane. Durante la festa dopo il matrimonio di Justine (che viene colta da una profonda malinconia), nella villa della sorella Claire si apprende
la notizia di un enorme pianeta che, spuntando all'improvviso da dietro il Sole, incombe in rotta di collisione verso la Terra, benchè i cosmologi invitino all'ottimismo...
Justine, che nel frattempo si allontana da tutti, sembra indifferente e più che rassegnata quasi rincuorata per la sempre più probabile ipotesi che la fine del mondo diventi
una realtà. Mentre Claire, sempre più sconvolta, viene colta da terribili attacchi di panico, osservando di giorno in giorno l'aumento del diametro del pianeta incombente che
diventa via via sempre più grande della Luna, fino a fermarsi di colpo e indietreggiare lentamente come in una sorta di cosmica danza mortale, quando il perciolo sembra scampato...
Indelebile l'emblematico sguardo della protagonista, Kirsten Dunst, davvero straordinaria in crisi depressiva dopo la disastrosa festa di matrimonio, che un attimo prima della fine, mentre la sorella ansiosa, Charlotte Gainsbourg, si dispera tenendosi mano nella mano con il bambino sotto una simbolica capanna protettiva, sembra quasi sollevata dall'imminente catastrofe. Davvero inquietante questo film del 2011, rimane sotto traccia nell'inconscio filmico, ed è una di quelle pellicole che a distanza di tempo torna voglia di rivederlo per riviverlo. Parola di Emyliù
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