La kryptonite nella borsa

Orson Welles diceva che la tecnica cinematografica si impara in 4 giorni.
Difficile invece è servirsene per fare dell'arte.
Insomma, possedere una grande tecnica senza avere nulla da dire non serve a niente.
Cotroneo ce lo conferma con questo suo bel film, girato in maniera semplice, a tratti ingenua, dove però la scarna immediatezza delle immagini appare essere, scena dopo scena, inequivocabilmente essenziale, necessaria alla storia raccontata.
Il film è tenero, come la faticosa carezza di Rosaria al piccolo Peppino, che sola la risolve a lasciare il suo letto, dove era caduta depressa alla scoperta del tradimento del marito.
Lo scrittore regista tuttavia, lascia spazio ai sentimenti senza indulgere mai alla commozione, in cui pure sarebbe facile coinvolgere il pubblico, sin da subito immedesimato in un comune passato, costruito sugli accadimenti minimi di ogni singola esistenza.
Cotroneo vuole divertire e ci riesce.
Talvolta imbarazzando lo spettatore, costringendolo ad amettere di essere stato, anche lui, proprio così.
Stretti in maglie e camice attillate dai colori improbabili, rifacciamo i conti con la nostra adolescenza, i passaggi obbligati di una crescita dove la realtà viene non elusa, ma "superata" dall'astrazione, dal sogno, che è l'unica verità possibile.
Ecco allora che il dolore per la perdita, inspiegabile ad un ragazzino, di una vita immatura, diventa la fuga in avanti verso la crescita, la consapevolezza dell'essere altro dagli altri, dello stare solo per scelta, ineludibile tributo alla propria unicità.
Gli occhiali grandi di Peppino sono per quegli anni, da guardare al grandangolo, con rivolgimenti epocali, prevalenza del pubblico, del sociale sul particolare, eppure così tanto più utili a guardarsi dentro che non quelli attuali.
Peppino crescerà differente, diverso ma consapevole, come diceva De Filippo, che "se quelli che ti stanno intorno ti emarginano, puoi stare sicuro di essere un vero talento".