marcloud
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martedì 28 aprile 2020
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poesia giapponese
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Goro Miyazaki ci consegna un piccolo compendio di come avanzare verso il futuro, senza dover fare tabula rasa del passato. Lo fa con romanticismo e dolcezza, ambientando la sua storia nella Yokohama del 1963, sullo sfondo della contestazione studentesca e avendo come protagonista Umi, giovane ragazza che ha perso il padre nella guerra di Corea. Ottimo lavoro dello studio Ghibli, sempre all'altezza della narrazione che sceglie di inscenare.
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jackiechan90
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venerdì 14 agosto 2015
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un film sul passato che parla al presente
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività.
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività. L’edificio però sta per essere demolito, in linea con le direttive della scuola che vuole cancellare tutto ciò che ricorda il passato. Da qui parte la campagna degli studenti per rimettere a nuovo l’edificio perché, come afferma Shun, il leader della rivolta studentesca, “Come si può pensare di costruire un futuro se si dimentica il proprio passato?”. La ricerca del passato è il leitmotiv di questo film e la sua domanda ontologica. La ricerca del passato è quella del Giappone, paese dove convivono riti folkloristici e quartieri avveniristici. Ma è anche al ricerca sul proprio passato e sulle loro famiglie che dovranno fare Umi e Shun, i due protagonisti della storia, per risolvere una loro questione privata che avrà conseguenze, per l’appunto, sul loro futuro insieme. Mihazaky junior dirige un film che scava nelle fondamenta della storia giapponese del passato ma rivolgendosi in realtà a quella presente, anche lei sempre in bilico tra tradizione e futuro. Ed è interessante rileggere con gli occhi di oggi questo film del 2006, quest’anno in cui si ricordano i 70 anni dallo scoppio della bomba atomica e nel quale all’interno dello studio Ghibli, si assiste a una piccola rivoluzione con la nuova generazione di animatori (tra cui lo stesso regista del film) che si prepara a sostituire i fondatori Mihazaki senior e Takahata. Se la strada è quella intrapresa da questo piccolo ma ben confezionato film, che mantiene la grafica dei film di Hayao Mihazaky ma con soggetti più “adulti” e una maggior ricerca stilistica nei movimenti e nelle espressioni dei personaggi (più ricercata, a mio avviso, rispetto agli ultimi film di Hayao), possiamo sperare che l’esito sarà senz’altro positivo.
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jackiechan90
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venerdì 14 agosto 2015
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un film sul passato che parla al presente
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività.
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività. L’edificio però sta per essere demolito, in linea con le direttive della scuola che vuole cancellare tutto ciò che ricorda il passato. Da qui parte la campagna degli studenti per rimettere a nuovo l’edificio perché, come afferma Shun, il leader della rivolta studentesca, “Come si può pensare di costruire un futuro se si dimentica il proprio passato?”. La ricerca del passato è il leitmotiv di questo film e la sua domanda ontologica. La ricerca del passato è quella del Giappone, paese dove convivono riti folkloristici e quartieri avveniristici. Ma è anche al ricerca sul proprio passato e sulle loro famiglie che dovranno fare Umi e Shun, i due protagonisti della storia, per risolvere una loro questione privata che avrà conseguenze, per l’appunto, sul loro futuro insieme. Mihazaky junior dirige un film che scava nelle fondamenta della storia giapponese del passato ma rivolgendosi in realtà a quella presente, anche lei sempre in bilico tra tradizione e futuro. Ed è interessante rileggere con gli occhi di oggi questo film del 2006, quest’anno in cui si ricordano i 70 anni dallo scoppio della bomba atomica e nel quale all’interno dello studio Ghibli, si assiste a una piccola rivoluzione con la nuova generazione di animatori (tra cui lo stesso regista del film) che si prepara a sostituire i fondatori Mihazaki senior e Takahata. Se la strada è quella intrapresa da questo piccolo ma ben confezionato film, che mantiene la grafica dei film di Hayao Mihazaky ma con soggetti più “adulti” e una maggior ricerca stilistica nei movimenti e nelle espressioni dei personaggi (più ricercata, a mio avviso, rispetto agli ultimi film di Hayao), possiamo sperare che l’esito sarà senz’altro positivo.
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ilaria pasqua
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venerdì 16 maggio 2014
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il passato è importante
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Yokohama 1963. È il periodo successivo alla guerra e il Giappone sta cercando di rialzarsi in piedi.
Umi ha sedici anni e ogni mattina alza due bandiere di segnalazione marittima come faceva prima che suo padre morisse nella guerra di Corea 8 anni prima. Umi vive in una grande casa sulla collina dei papaveri con i fratelli e la nonna mentre la mamma, professoressa universitaria, è sempre assente.
Nell’ambiente scolastico è periodo di rivolta. Gli studenti discutono sulla necessità di salvare il Quartier Latin, edificio in cui hanno sede i club scolastici, fatiscente sì, ma che racchiude la storia dell’Istituto e della cultura.
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Yokohama 1963. È il periodo successivo alla guerra e il Giappone sta cercando di rialzarsi in piedi.
Umi ha sedici anni e ogni mattina alza due bandiere di segnalazione marittima come faceva prima che suo padre morisse nella guerra di Corea 8 anni prima. Umi vive in una grande casa sulla collina dei papaveri con i fratelli e la nonna mentre la mamma, professoressa universitaria, è sempre assente.
Nell’ambiente scolastico è periodo di rivolta. Gli studenti discutono sulla necessità di salvare il Quartier Latin, edificio in cui hanno sede i club scolastici, fatiscente sì, ma che racchiude la storia dell’Istituto e della cultura. Questa protesta si allarga ampiamente andando a toccare i temi caldi di quel periodo. In un paese come il Giappone che si sta rimodernando velocemente non c’è più spazio per il passato. Ma come si può pensare al futuro se si dimentica il passato? È la domanda che pone Shun, studente diciassettenne a capo del giornale della scuola.
Umi propone di ristrutturare l’edificio per dargli una nuova possibilità, così tutti gli studenti si mettono al lavoro e collaborano insieme per preservare quel passato su cui la società cerca di passar sopra.
La ragazza non sa che Shun ogni mattina alza le due bandiere dal rimorchiatore del padre adottivo, in risposta alle sue.
Quando i due si incontreranno a scuola nascerà ben più di un’amicizia, ma vecchie storie familiari creeranno enormi e forse insormontabili problemi.
La collina dei papaveri è un film di Goro Miyazaki. La sceneggiatura è del padre Hayao e nonostante questo il film ha più di una pecca. Il risultato non è quello che ci si aspetta solitamente dal genio di Miyazaki. Anzi, ci si tiene abbastanza lontano. E forse ne so il motivo: l’ambientazione storica, tutta in città, toglie quella magia, quell’aura fiabesca che è fortissima nei film di Miyazaki padre e che anzi ne è il cuore pulsante. Ma è chiaro che anche il figlio sia alla ricerca della sua chiave stilistica.
Sia chiaro, non sto dicendo che non l'ho apprezzato ma che ho trovato la storia molto debole nel complesso, anche se gradevole. È un film che si lascia guardare e che illumina una parte della storia del Giappone di cui non ero a conoscenza. Il decentramento delle vicende ci mostra uno spaccato della vita di un Giappone che forse non esiste più. Si respira un’aria diversa.
Ecco il pregio: la grandissima cura dell’ambientazione di quel periodo, sin nei minimi dettagli, con quei colori splendenti tipici dello Studio Ghibli, e la capacità di trasportarci lì, di farci respirare gli anni '60 di una città che non è la capitale. Sull’animazione invece non ho assolutamente nulla da dire, come al solito.
I personaggi sono caratterizzati bene ma la loro evoluzione è funzionale alla storia, al desiderio di salvare il Quartier Latin.
Del film invece ricorderò sempre i lavori nel Quartier Latin, i personaggi secondari alle prese con i loro piccoli club. La coralità, piuttosto che l’individualità. Non so se fosse voluto, ma è già tanto, certamente.
In conclusione La collina dei papaveri non è un film che eccelle, non riesce a raggiungere gli alti standard degli altri capolavori dello Studio Ghibli, ma ha una sua anima e si lascia guardare con piacere e coinvolgimento.
Recensione pubblicata in origine su: www.ilariapasqua.net
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piktor
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martedì 7 gennaio 2014
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"semplice" poesia
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A differenza di altre recensioni,considero questo film un piccolo gioiello e per certi versi quasi superiore ai capolavori di Miyazaki padre, che però ha collaborato alla sua realizzazione. La storia è semplice, forse troppo, seppur non diretta ai piccoli, ma lascia tutto lo spazio alla poesia dell'animazione che, complice la colonna sonora, tocca lo spettatore in maniera immediata e senza filtri. L'animazione non è perfetta, ma ciò la rende più umana, come due pianoforti che per quanto accordati non avranno mai lo stesso suono. Il ritmo delicato e raffinato, a tratti malinconico, permette di assaporare la cura degli sfondi, della scenografia e del momento storico; una su tutte il "Quartier Latin".
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A differenza di altre recensioni,considero questo film un piccolo gioiello e per certi versi quasi superiore ai capolavori di Miyazaki padre, che però ha collaborato alla sua realizzazione. La storia è semplice, forse troppo, seppur non diretta ai piccoli, ma lascia tutto lo spazio alla poesia dell'animazione che, complice la colonna sonora, tocca lo spettatore in maniera immediata e senza filtri. L'animazione non è perfetta, ma ciò la rende più umana, come due pianoforti che per quanto accordati non avranno mai lo stesso suono. Il ritmo delicato e raffinato, a tratti malinconico, permette di assaporare la cura degli sfondi, della scenografia e del momento storico; una su tutte il "Quartier Latin". La vicenda romantica dei due adolescenti, ambientata in un Giappone in piena crescita nel secondo dopoguerra e prodotta poco dopo la catastrofe dello tsunami - paradossalmente attraverso non poche difficoltà che lasciarono poco tempo per grandi divagazioni e rischiarono di posticiparne l'uscita, tanto che per un certo periodo gli animatori dovettero lavorare di notte - assume un significato forse non molto profondo, ma molto poetico, proprio in questo contesto e invita a guardare con ottimismo al futuro ed al nuovo senza dimenticare il valore e le avversità del passato. Interessanti i filmati bonus del DVD.
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leo 1993
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martedì 11 giugno 2013
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un bel messaggio, sfondi stupendi, regia prolissa
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Siamo a Yokohama (Giappone) nei primi anni '60 qualche anno dopo della fine della guerra di Corea.
Le vicende si svolgono intorno al “Quartier Latin”: edificio storico utilizzato dai ragazzi della scuola limitrofa per ritrovarsi e riunirsi in gruppi, ciascuno appassionato di una particolare disciplina: ci sono i chimici, gli astronomi, un povero e grottesco ragazzo appassionato di filosofia che stenta a trovare seguaci, e poi c'è il club letterario che si occupa anche della redazione del giornalino scolastico.
La protagonista è una studentessa di nome Umi, orfana del padre marinaio, in onore del quale issa ogni mattina due bandiere davanti a casa sua che possono essere viste dalle navi che transitano in quel tratto di mare su cui si affaccia l'abitazione.
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Siamo a Yokohama (Giappone) nei primi anni '60 qualche anno dopo della fine della guerra di Corea.
Le vicende si svolgono intorno al “Quartier Latin”: edificio storico utilizzato dai ragazzi della scuola limitrofa per ritrovarsi e riunirsi in gruppi, ciascuno appassionato di una particolare disciplina: ci sono i chimici, gli astronomi, un povero e grottesco ragazzo appassionato di filosofia che stenta a trovare seguaci, e poi c'è il club letterario che si occupa anche della redazione del giornalino scolastico.
La protagonista è una studentessa di nome Umi, orfana del padre marinaio, in onore del quale issa ogni mattina due bandiere davanti a casa sua che possono essere viste dalle navi che transitano in quel tratto di mare su cui si affaccia l'abitazione.
Umi conoscerà Shun, un ragazzo che si occupa della redazione del giornalino scolastico, e grazie a lui la ragazza parteciperà ad un'assemblea studentesca indetta per decidere se e come ristrutturare e modernizzare lo storico edificio tanto caro ai ragazzi.
Qui si apre una magnifica discussione sull'importanza delle tradizioni, ma anche sull'importanza dell'innovarsi sempre però nel rispetto del passato senza dimenticare la storia.
Tutto si complica quando gli studenti vengono a sapere che il loro amato “Quartier Latin” dovrà essere demolito, i giovani allora dovranno ingegnarsi per salvare il luogo dei loro ritrovi, dei loro esperimenti e delle loro discussioni.
Parallelamente Shun e Umi iniziano a palesare i forti sentimenti che provano l'uno per l'altra, ma una sconvolgente verità verrà a galla ed impedirà ai due di essere felici insieme.
L'ultima parte del film si concentra sul triste passato delle famiglie dei due protagonisti, entrambe segnate dalla guerra di Corea.
Il finale seppur abbastanza semplice risulta comunque toccante ed emozionante.
Nonostante abbia una trama originale e interessante il film risulta molto lento e a tratti noioso a causa delle troppe scene ripetitive e a causa di interminabili sequenze utili solo per arrivare ai 90 minuti di durata.
La regia di Goro Miyazaki (figlio del celeberrimo Hayao) quindi non brilla assolutamente risultando in alcuni punti prolissa e faticosa.
Senza dubbio le sue abilità si sono affinate rispetto al suo primo film diretto (“I racconti di Terramare”), ma la strada che ha da percorrere è ancora lunga, ma continuando nella giusta direzione Goro può crearsi un suo stile e deliziarci con ottime pellicole.
Nulla da dire invece sugli sfondi: le luci, le sfumature e i colori sono curatissimi in ogni dettaglio e immergono la vicenda in un sontuoso ambiente di sottofondo (in puro stile Ghibli): fantistico ogni aspetto del Quartier Latin, prima trascurato e polveroso poi pulito e splendente.
Molto positivo anche il messaggio proposto ovvero, come detto sopra, l'importanza di avanzare e di rinnovare senza radere al suolo il passato e la memoria di chi non c'è più.
E' proprio questa missiva il filo conduttore di tutto il film: non si limita alla scena dell'assemblea e alle vicende riguardanti il Quartier Latin, ma coinvolge anche la vita e storia dei due personaggi principali Umi e Shun, risultando così il collante di tutto.
Quindi possiamo dire che nel complesso “La collina dei papaveri” è un film godibile, ma la prolissità della regia appesantisce la visione e stanca lo spettatore.
La colonna sonora, molto arzilla e vivace, contrasta anche se in minima parte, alla lentezza con cui il film si svolge in particolari punti.
“La collina dei papaveri” poteva essere un signor anime, ma purtroppo la regia di Goro Miyazaki non è stata all'altezza della situazione, e adesso ci troviamo un buon prodotto ma niente di più.
VOTO:6/10
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tiamaster
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lunedì 25 marzo 2013
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avanzare, ma mai dimenticare
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Goro Miyazaki, figlio del celeberrimo Hayao Miyazaki che è, a mio parere, il più grande regista di film d'animazione mai vissuto (sì, a mio parere anche meglio di Walt Disney, basti vedere "La città incantata" o "Il castello errante di Howl"), dopo una non esaltante opera prima registica, ci regala "La collina dei papaveri", scritta proprio dal suo leggendario padre.
Il tocco di Hayao si riconosce subito grazie ad una sceneggiatura stratosferica, ricca di contenuti come l'importanza di avanzare senza dimenticare il passato (rappresentata ovviamente dalla vicenda del Quartier Latin) e capace di costruire una qualità di rapporti tra i personaggi superiore anche a moltissimi film "reali". E con questo mi riferisco al amicizia tra i due prottagonisti (e ai colpi di scena legati ad essi), che propongono rifflesioni importanti e molto mature.
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Goro Miyazaki, figlio del celeberrimo Hayao Miyazaki che è, a mio parere, il più grande regista di film d'animazione mai vissuto (sì, a mio parere anche meglio di Walt Disney, basti vedere "La città incantata" o "Il castello errante di Howl"), dopo una non esaltante opera prima registica, ci regala "La collina dei papaveri", scritta proprio dal suo leggendario padre.
Il tocco di Hayao si riconosce subito grazie ad una sceneggiatura stratosferica, ricca di contenuti come l'importanza di avanzare senza dimenticare il passato (rappresentata ovviamente dalla vicenda del Quartier Latin) e capace di costruire una qualità di rapporti tra i personaggi superiore anche a moltissimi film "reali". E con questo mi riferisco al amicizia tra i due prottagonisti (e ai colpi di scena legati ad essi), che propongono rifflesioni importanti e molto mature. Purtroppo però se il maestro Hayao non si smentisce mai, è sempre comunque evidente che il talento di Goro, per quanto notevole, è lontano anni luce dal padre. Hayao, con inquadrature, dettagli, attimi, riusciva a far sì che una singola immagine "parlasse", emozionasse, rapisse senza bisogno di parole, trasportandoci in un mondo di poesia e emozioni. Goro, purtroppo si limita ad un ottima messa in scena. Il prodotto finale rimane comunque notevolissimo, profondo, intelligente e superiore al 80% degli odierni film DIsney e Dreamworks. Tanto di cappello a Goro, ma il padre è un genio irraggiungibile...
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director's cult
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domenica 17 marzo 2013
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senza il passato non si può costruire il futuro
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Alla sua seconda fatica, La collina dei papaveri è una sorta di romanzo di formazione di una generazione, quella degli anni Sessanta, ancora legata all'importanza della storia e del suo impatto sulla società, nonostante vivano il presente con curiosità e voglia di fare.
Miyazaki opta per una storia lineare, dividendo la trama in due parti: la vita quotidiana di Umi, orfana di padre dedita alla famiglia in assenza della madre, e la passione che mette Shun nel collettivo, cuore pulsante del dissenso contro una società che non prende in considerazione il volere dei giovani nel rispettare le tradizioni.
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Alla sua seconda fatica, La collina dei papaveri è una sorta di romanzo di formazione di una generazione, quella degli anni Sessanta, ancora legata all'importanza della storia e del suo impatto sulla società, nonostante vivano il presente con curiosità e voglia di fare.
Miyazaki opta per una storia lineare, dividendo la trama in due parti: la vita quotidiana di Umi, orfana di padre dedita alla famiglia in assenza della madre, e la passione che mette Shun nel collettivo, cuore pulsante del dissenso contro una società che non prende in considerazione il volere dei giovani nel rispettare le tradizioni.
E tradizionale è anche lo stile di Goro, decisamente meno visionario del padre e più conformista così anche nelle tematiche affrontate, ma comunque è riuscito a coniugare la lezione del padre confezionando una storia delicata venata di nostalgia, enfatizzata dall'uso di colori tenui e crepuscolari che si "allontanano" volutamente dalla realtà odierna. Lo stile di Goro sarà anche meno estroso e più vintage del padre, ma conferma allo stesso tempo di aver assimilato lo spirito e lo stile artistico dello studio Ghibli, dove tecnologia e artigianato (con quell'inconfondibile stile degli anime giapponesi anni Ottanta) si fondono perfettamente.
La collina dei papaveri è un lungometraggio animato per adulti ma anche per i giovani, un messaggio per ricordare ai ragazzi del Ventunesimo secolo che la modernità non è fatta solo di grattacieli interamente dedicati ai Pokemon e ai videogiochi, ma di una generazione di "arrabbiati" che sono consapevoli che senza il vecchio, il nuovo non può esistere, dove l'unione fa la forza e che per ottenere veramente qualcosa bisogna lavorare insieme e duramente.
Il punto di forza del film è lo sguardo tenero e affettuoso con cui il regista segue i suoi piccoli eroi, soprattutto nel rapporto tra i due ragazzi, facendo risaltare il loro forte senso del dovere.
Shun si batte per salvaguardare quel piccolo pezzo di passato, ma la forza è soprattutto in Umi, così volenterosa e capace nel sostituirsi al genitore assente, e già così responsabile per la sua giovane età.
Il punto debole invece è l'iniziazione sentimentale dei due ragazzi, risultando la parte meno riuscita del film, creando una sorta di "soap opera di terza categoria" come afferma Shun in un dialogo. Questa sottotrama incentrata sull'amicizia amorosa tende a offuscare un po' la storia principale, ma nel complesso La collina dei papaveri è un film di animazione dai toni garbati, uno spaccato storico che ci ricorda la voglia di volere cambiare veramente qualcosa in nome di un futuro migliore.
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director's cult
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domenica 17 marzo 2013
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senza il passato non si può costruire il futuro
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Alla sua seconda fatica, La collina dei papaveri è una sorta di romanzo di formazione di una generazione, quella degli anni Sessanta, ancora legata all'importanza della storia e del suo impatto sulla società, nonostante vivano il presente con curiosità e voglia di fare.
Miyazaki opta per una storia lineare, dividendo la trama in due parti: la vita quotidiana di Umi, orfana di padre dedita alla famiglia in assenza della madre, e la passione che mette Shun nel collettivo, cuore pulsante del dissenso contro una società che non prende in considerazione il volere dei giovani nel rispettare le tradizioni.
E tradizionale è anche lo stile di Goro, decisamente meno visionario del padre e più conformista così anche nelle tematiche affrontate, ma comunque è riuscito a coniugare la lezione del padre confezionando una storia delicata venata di nostalgia, enfatizzata dall'uso di colori tenui e crepuscolari che si "allontanano" volutamente dalla realtà odierna.
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Alla sua seconda fatica, La collina dei papaveri è una sorta di romanzo di formazione di una generazione, quella degli anni Sessanta, ancora legata all'importanza della storia e del suo impatto sulla società, nonostante vivano il presente con curiosità e voglia di fare.
Miyazaki opta per una storia lineare, dividendo la trama in due parti: la vita quotidiana di Umi, orfana di padre dedita alla famiglia in assenza della madre, e la passione che mette Shun nel collettivo, cuore pulsante del dissenso contro una società che non prende in considerazione il volere dei giovani nel rispettare le tradizioni.
E tradizionale è anche lo stile di Goro, decisamente meno visionario del padre e più conformista così anche nelle tematiche affrontate, ma comunque è riuscito a coniugare la lezione del padre confezionando una storia delicata venata di nostalgia, enfatizzata dall'uso di colori tenui e crepuscolari che si "allontanano" volutamente dalla realtà odierna. Lo stile di Goro sarà anche meno estroso e più vintage del padre, ma conferma allo stesso tempo di aver assimilato lo spirito e lo stile artistico dello studio Ghibli, dove tecnologia e artigianato (con quell'inconfondibile stile degli anime giapponesi anni Ottanta) si fondono perfettamente.
La collina dei papaveri è un lungometraggio animato per adulti ma anche per i giovani, un messaggio per ricordare ai ragazzi del Ventunesimo secolo che la modernità non è fatta solo di grattacieli interamente dedicati ai Pokemon e ai videogiochi, ma di una generazione di "arrabbiati" che sono consapevoli che senza il vecchio, il nuovo non può esistere, dove l'unione fa la forza e che per ottenere veramente qualcosa bisogna lavorare insieme e duramente.
Il punto di forza del film è lo sguardo tenero e affettuoso con cui il regista segue i suoi piccoli eroi, soprattutto nel rapporto tra i due ragazzi, facendo risaltare il loro forte senso del dovere.
Shun si batte per salvaguardare quel piccolo pezzo di passato, ma la forza è soprattutto in Umi, così volenterosa e capace nel sostituirsi al genitore assente, e già così responsabile per la sua giovane età.
Il punto debole invece è l'iniziazione sentimentale dei due ragazzi, risultando la parte meno riuscita del film, creando una sorta di "soap opera di terza categoria" come afferma Shun in un dialogo. Questa sottotrama incentrata sull'amicizia amorosa tende a offuscare un po' la storia principale, ma nel complesso La collina dei papaveri è un film di animazione dai toni garbati, uno spaccato storico che ci ricorda la voglia di volere cambiare veramente qualcosa in nome di un futuro migliore.
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mauser
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mercoledì 14 novembre 2012
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tavolozza di colori e buoni sentimenti
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Goro Miyazaki non è Hayao e si vede, ma si riconosce una certa classe nel suo lavoro.
La collina dei papaveri probabilmente non è un capolavoro, ma è un buon film opportunamente farcito di attenzione, sapiente tecnica di animazione e una storia abbastanza interessante.
Con questo titolo lo Studio Ghibli ha puntato su una storia che negli anni '80 fu un autentico successo, combinazione di tantissimi ingredienti diversi dei più in voga all'epoca: rimaneggiando il manga originario per adattarlo al video il lavoro di talio e cucito è stato tanto, ma nel complesso il risultato animato non ha niente da invidiare a quello cartaceo, anzi riesce ad essere un mezzo addirittura più efficace per trasmettere i messaggi originali di aiuto reciproco, amicizia, solidarietà, rispetto di cultura e tradizione.
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Goro Miyazaki non è Hayao e si vede, ma si riconosce una certa classe nel suo lavoro.
La collina dei papaveri probabilmente non è un capolavoro, ma è un buon film opportunamente farcito di attenzione, sapiente tecnica di animazione e una storia abbastanza interessante.
Con questo titolo lo Studio Ghibli ha puntato su una storia che negli anni '80 fu un autentico successo, combinazione di tantissimi ingredienti diversi dei più in voga all'epoca: rimaneggiando il manga originario per adattarlo al video il lavoro di talio e cucito è stato tanto, ma nel complesso il risultato animato non ha niente da invidiare a quello cartaceo, anzi riesce ad essere un mezzo addirittura più efficace per trasmettere i messaggi originali di aiuto reciproco, amicizia, solidarietà, rispetto di cultura e tradizione.
La quantità di temi che il film tocca, senza approfondirne se non un paio, è davvero notevole e questa potrebbe essere la critica più grande da rivolgergli, alcune scene sono toccate con un buonismo ed una semplicità effettivamente poco credibili ed ecco perchè in tanto l'hanno additato come "film buonista per bambini, senza una storia che stia davvero in piedi". Io bambina non lo sono più, ma il film mi è ugualmente piaciuto molto perchè è un sapiente mix di ingredienti, seppure non perfetto. E' adatto sia ai più piccoli, coinvolti nel ondo chiassoso e colorato del Quartier Latin, della casa sulla collina, della vita quotidiana degli anni '60 e della natura che ancora si infila tra la città, sia agli adulti che vedono un prodotto eccezionalmente realizzato dal punto di vista tecnico e stilistico, forme ultimo baluardo di un'animazione fatta a mano che ormai tutte le case occidentali stanno abbandonando dopo decenni di grandi glorie. La collina dei papaveri è un monumeto alla memoria anche da questo punto di vista: alla fine il 3D è il 3D, ma come il disegno fatto a mano... non c'è nulla.
I peggiori difetti di questo lungometraggio, comunque, non sono da ricercare nel film stesso, ma nel modo distratto e poco curato con cui, ancora una volta, il prodotto orientale di animazione è stato portato in Italia.
La nota più dolente è senz'altro la programmazione in sala: un solo giorno, il fantomatico 6 novembre, e poi sparito per sempre. Non si può certo dire che sia una scelta strategicamente valida ed è ancor di più sinonimo di quanto ancora l'animazione nipponica sia etichettata in Italia come di serie B, prodotti esclusivamente per bambini e senza il minimo interesse. A tal proposito posso dire, avendoli visti entrambi, che La collina dei papaveri non ha niente da invidiare al ben più famoso Brave-Ribelle, salvo una campagna di sponsor adeguata (addirittura martellante).
Piuttosto che cercare di cambiare l'immaginario di chi ancora crede che tutto ciò che proviene dal Giappone siano ragazzini dalla bocca larga e trame inesistenti proponendogli i film della tradizione miyazakiana, da Nausicaa a Mononoke Hime, si preferisce portare avanti questo (s)comodo stereotipo.
Quindi è un film già nato sfortunato in Italia con la messa in onda di un solo giorno per il quale gli appassionati devono riorganizzarsi la settimana intera e gli impegni perchè non si replicherà più.
Un altro problema riscontrato, e che purtroppo accomuna tutti i film giapponesi di animazione, è il doppiaggio. La Kazè continua ad avere un livello di inascoltabilità irraggiungibile, ma con gli ultimi prodotti la Lucky Red ha rimostrato di poter essere altrettanto incapace. Il nuovo doppiaggio di Laputa - Il castello nel cielo si era configurato come deprimente (un vero peccato visto che l'originale italiano era perfetto) caratteristica ritrovata anche ne La collina dei papaveri dove una traduzione non esattamente fedele ma piuttosto letterale, un linguaggio eccessivamente formale e una piattezza nella dialettica totalmente inespressiva si aggiungono ad aggravare la situazione del film, affossato definitivamente più dal suo stesso produttore che dal pubblico il quale forse, in circostante più favorevoli, si sarebbe volentieri prestato per questo tipo di animazione delicatissima, alla riscoperta della semplicità del sentimento e del gesto, di tradizioni non proprie della nostra cultura, ma descritte magnificamente. Un mondo che non esiste più, ma che torna ad esprimersi con la regia di Goro, la sceneggiatura di Miyazaki padre e l'inconfondibile abilità artistica dello Studio Ghibli con la sua cura per il particolare, l'espressione, il fondale...
Un prodotto piacevole e godevole che meritava un altro trattamento.
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