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Il paese delle spose infelici, storie di ragazzi di periferia

Pippo Mezzapesa e il cast del film al Festival di Roma.
di Elisabetta Pieretto


domenica 30 ottobre 2011 - Incontri

Il paese delle spose infelici di Pippo Mezzapesa è il secondo film italiano in concorso al Festival di Roma e anche in questo caso, come per Il mio domani di Marina Spada, il parterre degli ospiti in conferenza stampa è al completo. Ad accompagnare Mezzapesa, gli interpreti Nicolas Orzella e Luca Schipani, alla loro prima esperienza di attori, e l'affascinante Aylin Prandi, qui “sposa infelice” cui allude il titolo. Seguono gli sceneggiatori Antonio Leotti e Antonella Gaeta che hanno lavorato insieme a Mezzapesa alla trasposizione cinematografica dell'omonimo libro scritto da Mario Desiati, anch'egli presente. A chiudere le fila, il produttore del film, Domenico Procacci, Rai Cinema e Silvio Maselli dell'Apulia Film Commission, a testimoniare il ruolo importante che la Regione Puglia ha giocato in questo progetto. I giovanissimi Orzella e Schipani, rispettivamente Veleno e Zazà, i protagonisti del film, non nascondono una certa timidezza di fronte alla platea di giornalisti tanto che si lasciano scappare uno spaventato “però, quanti siete”. Mezzapesa ha impiegato mesi di lungo e serrato casting tra i circoli sportivi e i campi di calcio delle periferie pugliesi per trovarli, perché “volevo dei ragazzi che fossero capaci di dare una loro istintiva vitalità ai personaggi e, al contempo, rispondessero in modo propositivo alla disciplina del set” racconta lo stesso regista.

Da dove nasce l'idea della storia?
Mezzapesa: Dal romanzo di Mario Desiati. Quando l'ho letto, quello che più mi ha colpito è il rapporto di amicizia che si instaura tra Veleno e Zazà, due ragazzi molto diversi che però si trovano entrambi a vivere un momento di rara crudezza qual è l'adolescenza. C'è poi Annalisa, una donna più grande di loro, che vive un malessere simile a quello dei due ragazzi anche se per altra causa, la perdita inaspettata e improvvisa del compagno. Infine c'è il quarto protagonista della storia, il territorio, ferito nella sua bellezza sia geograficamente – penso alle gravine – che industrialmente.

Signor Desiati, ci sono note autobiografiche nella storia che ha scritto?
Desiati: Sì, in parte. A dire il vero me ne sono accorto ancora di più vedendo il film, ho avuto ottantadue minuti di deja-vù che mi hanno riportato al mio passato, a pensarci bene l'unica forma di autoanalisi in cui addirittura sono stato pagato, invece che pagare. Il film, però, è molto diverso dal libro e penso sia giusto perché credo che debba essere capace di tradire l'opera letteraria dalla quale proviene. Ad esempio, mi ha colpito molto il modo in cui Pippo racconta la solidarietà felina e feroce che c'è fra i due ragazzi e come racconta l'amore nella scena della giostra.

I luoghi-mondi che abbiamo visto e conosciuto nei suoi lavori precedenti ricorrono anche qui, non crede?
Mezzapesa: Sì, è vero. Specie nel campo di calcio che è il luogo ideale dove far nascere un'amicizia perché lì vengono meno i ruoli sociali per sporcarsi di fango, cioè di vita e di realtà ed è proprio quello che vuole fare Veleno, che vede in Zazà il personaggio che vuole emulare.

Quanto ha inciso nel racconto la Puglia come ambientazione?
Mezzapesa: A me interessava mostrare il contrasto tra continue pulsioni di morte e pulsioni di vita che è alla base del racconto. Volevo mostrarlo interiormente nei personaggi e plasticamente in una natura incontaminata e violata al tempo stesso e in questo il paesaggio pugliese mi sembra funzioni.
Procacci: Mi ricordo che tanto tempo fa mi arrivò un copione con su scritto “Ti interessa un film ambientato in Puglia? Eccolo qua”. Ecco, a me non interessa una storia pugliese ma una bella storia. Casualmente in questo film ci sono entrambe le componenti. Penso, poi, che la Puglia abbia saputo negli ultimi anni trattenere – nel senso buono del termine – molti talenti, dando loro la possibilità di esprimersi e questo non fa che aumentare il valore di girare in quel territorio.

Come vi siete trovati a interpretare i ruoli di Veleno e Zazà e Annalisa?
Schipani: Non sono un attore, sono un giocatore di calcio e per puro caso mi sono trovato a lavorare in questo film.
Orzella: Questo personaggio mi assomiglia molto, spesso mi è sembrato di rivivere molto della mia vita.
Prandi: Non ho fatto assolutamente nulla, mi sono sentita uno strumento con Pippo direttore d'orchestra.

Cosa rappresenta per lei, Mezzapesa, essere in concorso al Festival di Roma?
Mezzapesa: I festival sono sia dei punti di arrivo per la lavorazione di un film che un punto di partenza per la distribuzione. Sono molto contento di essere qui, credo che sia una vetrina importante per arrivare al pubblico, oltre che una soddisfazione poterci portare tutti quelli che hanno lavorato al progetto.

Come avete lavorato in sceneggiatura?
Leotti: Ho sentito una forte coesione tra me, Antonella, Pippo e Mario, con cui periodicamente ci siamo confrontati. Personalmente non vado mai sui set, mi annoiano e mi trovo fuori luogo, aspetto sempre di vedere il film finito. Tra quelli che ho scritto credo che questo sia il più bello. Si trattava di un romanzo complesso da tradurre per lo schermo.
Mezzapesa: Sono d'accordo con quello che diceva Mario, è necessario un tradimento dell'opera letteraria. La prima cosa che abbiamo fatto in sede di sceneggiatura è stata scarnificare il romanzo per raggiungerne l'essenza e poter ridare vita ai personaggi sullo schermo.

Perché gli adulti in questi film sono periferici?
Mezzapesa: Gli adulti rappresentano il destino ineluttabile cui i ragazzi cercano di sfuggire. Il fratello maggiore di Zazà è quello in cui Zazà si trasformerebbe se rinunciasse al suo destino calcistico. Spesso capita così anche nella realtà, il mondo adulto ha una certa propensione istintiva a inghiottire la vitalità propria dell'infanzia.

In cosa ti è stata utile la tua precedente esperienza come documentarista?
Mezzapesa: Il documentario mi ha aiutato a osservare e catturare la realtà per restituirla nel film; i cortometraggi, invece, mi hanno insegnato a raccontare l'evoluzione dei personaggi. In Zazà e Veleno ritrovo molto dei personaggi dei miei primi lavori.

Come ha lavorato alla scelta delle musiche?
Mezzapesa: Gran parte della musica è stata scelta in fase di sceneggiatura. Nella sequenza calcistica, ad esempio, volevo rendere l'epica del calcio astraendolo dal racconto e l'ideale per farlo erano gli archi di Balanescu. Lo stesso vale per il finale: quello è un momento cruciale, in cui per la prima volta Veleno sceglie di tornare indietro e farsi uomo, così come per la prima volta Annalisa accetta di farsi salvare. Le musiche diegetiche, invece, come "Non è la Rai" e "Scrivimi", mi servivano per connotare gli anni Novanta, un decennio piuttosto amorfo.

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