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Febbre da fieno: incontro sul set con la regista Laura Luchetti

Una pellicola che ricorda il cinema inglese.
di Gabriele Niola

Un esordio british
Laura Luchetti 1974, Roma (Italia). Regista del film Febbre da fieno.

martedì 22 dicembre 2009 - Incontri

Un esordio british
"Bello o brutto che venga io vorrei che questo film fosse riconoscibile come mio. Una pellicola che bella così o brutta così la potevo fare solo io. I registi intercambiabili mi mettono paura", si presenta così Laura Luchetti, nome poco noto del nostro cinema che non ha una formazione prettamente italiana, se la si dovesse definire forse sarebbe più importante indagare il suo trascorso anglosassone e la sua formazione in quel tipo di cultura, non a caso parlando di quello che Febbre da fieno può essere ricorre più volte l'aggettivo british.
Al suo primo lungometraggio Laura ha subito tentato, a suo dire, la cosa più difficile cioè lavorare sui mezzi toni, commedia ma anche dramma, realismo ma anche surrealismo e comicità in stile Monty Python, non è facile capire cosa sarà Febbre da fieno perchè in primis Laura non ne è sicura, immersa com'è nella lavorazione: "Devo ancora finire le riprese e come diceva Anthony Minghella al montaggio ti confronti con il film che hai fatto rispetto a quello che volevi fare". Di sicuro però si percepisce la ferma volontà di un esordio personale, che vuole battere strade poco usuali per il cinema italiano con la fierezza intellettuale di fare un'opera densa ma con l'obiettivo di essere capita: "Alla fine vorrei fare un film che venga capito perchè è tutto giocato sui mezzi toni e il mio cruccio è di essere comprensibile".

La storia
F ebbre da fieno si svolge in un negozio di articoli vintage e ruota attorno ad alcuni personaggi ma principalmente è disegnato su Matteo, ragazzo votato al martirio sentimentale che insegue storie apparentemente impossibili ed è rivolto sempre verso il passato non riuscendo così a comprendere a fondo il suo presente. Almeno così sembra perchè Laura Luchetti è abbastanza abbottonata sulla storia del suo film: "Ho scritto una storia ironica dai toni melanconici, una storia sull'incapacità di essere se stessi quando si vuole bene, su una grande occasione persa e sulle tante occasioni regalate cioè le seconde occasioni".
Insomma c'è da ridere e da empatizzare ma non nella maniera in cui ci si aspetterebbe da un film italiano: "E' una storia strana piena di stramberie, dalle pause recitative ai costumi alle scene e alle inquadrature scelte, in linea con il mio background. Ho un vissuto di 15 anni anglosassone, quindi penso che il risultato sarà più simile al cinema indipendente inglese e americano ma non dico di più, non mi va di fare come quei registi che si paragonano a mostri sacri, mi fa accapponare la pelle!".
Hanno ragione gli attori quando descrivono Laura Luchetti come una regista in grado di spiazzarti, non appena sembra di aver capito a cosa possa somigliare Febbre da fieno ci si accorge di essere fuoristrada: "Il film non è surreale ma lievemente irreale sta a metà tra realtà e irrealtà, i generi cambiano ma rimane sempre la sensazione si stare in bilico, perchè così sono io. Posso scrivere un romanzo d'appendice, una favola cattiva o una commedia e alla fine saranno tutte cose diverse ma che pendono sia da una parte che dall'altra".

Una stesura complicata
Gran parte della difficoltà nel raccontare e nello spiegare Febbre da fieno viene dalla lunghezza della fase di stesura della sceneggiatura: "Abbiamo fatto in totale 14 stesure del copione, e ho deciso che Andrea Bosca sarebbe stato il protagonista quando ero alla settima, da lì in poi ho scritto il personaggio su di lui". Ma nulla sembra poter essere fisso sui copioni di Laura Luchetti (che è unica autrice della sceneggiatura): "Il bello di scrivermi il film da me è che posso rivedere tutto, ascolto le idee ma scelgo se applicarle e sono obbligata ad essere flessibile perchè non abbiano un budget milionario, ho dovuto riscrivere in corsa tantissime scene. Ad esempio ho scoperto un attore che bravissimo, Pietro Ragusa, talmente bravo che ora gli chiedo di venire tutti i giorni sul set e ogni volta gli riscrivo la parte".
Una fase di continua rinegoziazione delle certezze del copione alla quale contribuiscono anche gli attori e in particolare Andrea Bosca che sembra aver investito molto nel progetto: "Nella frenesia delle riscritture (che sono state effettuate fino all'ultimo secondo possibile) Andrea ad un certo punto mi ha obiettato una cosa, un luogo in cui si doveva svolgere una scena. Allora ci siamo chiusi a discuterne e alla fine ho ammesso che aveva ragione lui. In questo modo abbiamo trovato una soluzione migliore e se lui non mi avesse forzato la mano non sarei mai riuscita a fare quel passo in più che con tutta la stanchezza che si era accumulata mi era impossibile fare da sola. Lui, essendo concentrato solo sul suo personaggio, è arrivato dove non potevo andare io che penso a tutti i personaggi".

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