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L'altro mondo? Siamo noi italiani

Giudizi e riflessioni sul discusso film di Francesco Patierno. Di Roy Menarini.
di Roy Menarini

In foto Diego Abatantuono e Valerio Mastandrea, protagonisti di Cose dell'altro mondo di Francesco Patierno.
Valerio Mastandrea (52 anni) 14 febbraio 1972, Roma (Italia) - Acquario. Interpreta Ariele nel film di Francesco Patierno Cose dell'altro mondo.

lunedì 5 settembre 2011 - Approfondimenti

Ha esordito nelle sale italiane, dopo la fortunata presentazione veneziana, Cose dell’altro mondo di Francesco Patierno, anticipato da alcune polemiche agostane sul trailer e sul presunto tono antileghista del film. Non è qui interessante decidere quale sia il grado di satira politica della pellicola di Patierno, che anzi – a dispetto di quanto faceva prevedere – pare a dir poco timido nei confronti dei suoi personaggi, sulla carta razzisti e qualunquisti, ma alla fine simpatici e assolti. Il film, poi, sconta alcuni vistosi limiti puramente cinematografici, come le difficoltà narrative nel collegare le storie dei personaggi, il ricorso a primi piani debordanti e inquadrature incerte, la fragilità dello spazio cinematografico messo in scena, mai dettagliato né organicamente costruito.

Al di là di queste valutazioni minimali, vale tuttavia la pena astrarre il discorso a una riflessione più indiretta sul cinema e la rappresentazione dei problemi politici e sociali italiani. Veniamo da una stagione cinematografica, quella conclusa a luglio 2011, che ha visto trionfare il cinema italiano di commedia. Si è detto, non a torto, che la commedia contemporanea rappresenta un’Italia del volemose bene, dove i contrasti – comunque basati su confronti stereotipati quali quelli nord/sud o Roma/resto d’Italia – vengono risolti con un sorriso. In tal senso, Benvenuti al Sud appare come il non plus ultra dell’ecumenismo, mentre Checco Zalone con il suo Che bella giornata sarebbe la versione solo appena più “scorretta” di un mondo comunque destinato a pacificarsi e a (ri)unirsi. Escluso Antonio Albanese, il cui personaggio Cetto La Qualunque ha il problema contrario (essere paradossalmente superato dalla realtà quotidiana), tutti questi film hanno cercato di armonizzare, anche per motivi di cassetta, un’Italia scissa e politicamente litigiosa, con problemi sul terreno assai difficili da superare con un bicchiere di vino e un paio di fuochi d’artificio.

In che modo entra Cose dell’altro mondo in questo contesto? Attraverso l’assunzione di un impianto surreale, favolistico. Nella storia del cinema italiano, il fantastico giunge spesso a sublimare una situazione sociale divenuta insopportabile, dalle biciclette dei poveri che si alzano in volo in Miracolo a Milano all’extraterrestre sindacalizzato di Omicron, dalla lotta anti-palazzinari di Fantasmi a Roma alle fughe nel tempo di Non ci resta che piangere. Insomma, in Italia si ride con la fantascienza e il fantastico, e lo si fa di solito quando non ci sono più schemi realistici attraverso i quali leggere il presente. Cose dell’altro mondo è dunque il segno di una crisi culturale e sociale molto forte, cui si reagisce attraverso una fiaba apocalittica che – nella patria di Totò – diviene pur sempre una carnevalata. Il fatto che, poi, alcuni di questi film, come il fortunato blockbuster con Claudio Bisio e quest’ultimo tentativo con Abatantuono e Mastandrea, traggano l’idea del proprio racconto da opere pre-esistenti – rispettivamente Giù al Nord e Un giorno senza messicani – non fa che confermare la sete d’immaginario che ci affligge.

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