La Mostra applaude Contagion.
di Ilaria Ravarino
I blog non sono giornali. Sono graffiti con la punteggiatura». Applaudito fuori concorso, il paranoico film di Steven Soderbergh sulla pandemia, Contagion, ha già vinto un primato: quello della battuta più ripetuta, e amata, dall'inizio della Mostra. Al Lido con un gruppo che più che una delegazione pareva una famiglia, al fianco del suo attore feticcio Matt Damon, degli interpreti Gwyneth Paltrow e Laurence Fishburne e dello sceneggiatore, amico e collaboratore di lunga data Scott Z. Burns, Soderbergh ha partecipato a una delle conferenze stampa più inquiete degli ultimi giorni, minata da una sottile e inconfessata paranoia. Perché è bastato un colpo di tosse in sala stampa perché il regista, divertito, affondasse sadico il colpo: «Quanta gente credete che abbia toccato quel microfono? Vi sentite davvero sicuri qua dentro?». E Burns, a rincarare la dose: «Quasi ogni settimana viene scoperto un nuovo virus. Significa che, ogni anno, ci sono 52 proiettili caricati in un fucile e puntati contro la razza umana».
Dal vostro film si direbbe che la solidarietà umana, spontanea in caso di calamità naturali, cessi completamente di fronte alla pandemia. Perché?
Paltrow: Perché paradossalmente durante una calamità naturale è più facile essere eroi. La pandemia invece uccide lo slancio: il virus è contagioso, la gente ha paura di morire, la sopravvivenza di ognuno è a rischio.
Da dove arriva l'idea del film?
Soderbergh: Vorrei che a questa domanda rispondesse Scott.
Burns: Dalla volontà di esplorare i limiti dell'umanità e dalle notizie di cronaca, che parlano di virus diffusi nel mondo attraverso il mercato degli animali vivi.
Vi siete ispirati ad altri film sull'argomento, come Panic in the street?
Burns: No, quel film l'ho voluto vedere solo due settimane fa. Ma era molto diverso, si svolgeva a New Orleans e il virus veniva portato attraverso le navi, come una specie di peste nera.
Quanto siete stati influenzati da serie tv come CSI?
S: Veramente ciò che più ci ha influenzati è stato un film, Tutti gli uomini del Presidente. Cercavo quel tipo di stile pulito per un film dal contenuto realistico.
Vedete in Contagion una metafora della crisi economica mondiale?
S: Se c'è un motivo per cui ho accettato questo film, è che non vuole essere metafora di niente. Il virus è il virus. È una cosa abbastanza nuova per me: un film in cui il protagonista non dice una parola, e tutti gli altri personaggi parlano continuamente di lui. Il protagonista naturalmente è il virus.
Perché avete scelto la città di Hong Kong come focolaio del virus?
S: Scott?
B: Uno dei nostri consulenti ha lavorato alla Columbia University alle ricerche sul virus della Sars, ed è stato lui a spiegarci come tutto sia cominciato in quell'area dell'Asia e quanto abbia contato nella propagazione della malattia la presenza di animali vivi nei mercati e la loro commercializzazione. Ci sembrava un setting realistico anche per il nostro film.
La controinformazione e i blog hanno nel vostro film un aspetto negativo: perché?
S: La controinformazione doveva essere presente nel film perché ci serviva un controcanto, una voce contraria che proponesse alternative diverse da quelle suggerite dalle autorità. Ma...
B: ... ma quando succedono cose del genere, la controinformazione può diventare maligna. E diffondersi pericolosamente come un virus.
S: Non è cinismo. Il blogger interpretato da Jude Law è ambiguo, ma è convinto di agire per il bene e non sempre sbaglia.
Gli attori come hanno lavorato sui personaggi?
Fishburne: In fretta, ma per fortuna avevamo una sceneggiatura ottima. Il mio personaggio è un tipo con una grande responsabilità, deve capire cosa sta succedendo, evitare il panico, scegliere le persone cui rivelare la verità.
Damon: Era tutto su carta, io mi sono limitato solo a ingrassare visto che il mio personaggio era disoccupato da un anno e mezzo. Credo che agisca a fin di bene, è un padre e cerca di proteggere la sua famiglia.
Paltrow: Non giudico il mio personaggio per quel che fa, se quelli che hanno tradito il proprio partner dovessero prendersi il virus in questo istante, tutti i presenti in questa sala morirebbero. Siamo esseri fallibili, il mio personaggio è molto umano, si trova semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ci sono molte figure femminili eroiche nel film. Perché?
S: Perché nei centri ricerca lavorano soprattutto donne.
Ci sono stati momenti difficili durante le riprese?
P: Assolutamente no. Era la prima volta che mi trovavo a Hong Kong ed è stata una bellissima esperienza. Quanto al ruolo, mi è piaciuto persino girare la scena in cui mi rotolo per terra con la bava alla bocca. Non è stato male.
D: Con Soderbergh non esistono ruoli difficili e questo è il motivo per cui ho girato con lui sei film. È un regista che non ti mette mai ansia ed è capace di trovare modi onesti, singolari e unici di risolvere le scene più complesse.
Girare con tante star è d'aiuto al film? Come fa a convincerle e partecipare?
S: Certo che aiutano. Soprattutto in un film del genere, in cui gli spettatori hanno bisogno di riconoscere volti cui aggrapparsi e identificarsi. Per convincerli basta avere una buona sceneggiatura.
Questo film ha cambiato la vostra personale percezione del pericolo di contagio?
S: Questo tipo di paura è molto pericolosa, perché è impossibile smettere di pensarci dopo che lo hai fatto la prima volta. Ma se avessi davvero paura allora non prenderei più nemmeno l'aereo, che in questo senso è uno dei mezzi più rischiosi...
È vero che intende ritirarsi dal cinema per dedicarsi alla pittura?
S: Mi prendo solo una pausa, niente di drammatico. Un anno sabbatico di riposo.