Senza dubbio Captain America: Il primo vendicatore è tra i più riusciti cinefumetti Marvel mai realizzati. È sempre più raro infatti, nei blockbuster americani, trovare un equilibrio tra la vicenda narrata e l’utilizzo degli effetti visivi, troppo spesso chiamati a colmare altrove, con la loro capacità di ampliare la soglia del “mai visto prima”, vuoti di sceneggiatura o, nel migliore dei casi, a fungere da raccordo tra le sequenze di dialogo. E invece in questo film i trucchi digitali entrano alla grande, eppure in punta di piedi, fin dall’inizio, quando il mingherlino Steve Rogers tenta disperatamente di arruolarsi nell’esercito: un effetto visivo talmente convincente da ingannare chi non conosca le reali fattezze di Chris Evans. “Abbiamo dovuto inventarci una nuova tecnica”, rivela il supervisore agli effetti Christopher Townsend “perché solo in alcuni casi abbiamo incollato il volto rimodellato al computer di Chris sul corpo di un altro attore più magro: questo per evitare che si notasse una certa discrepanza tra le due performance. Così il corpo di Chris è stato letteralmente fatto dimagrire dagli artisti digitali a colpi di mouse, fotogramma per fotogramma, utilizzando come riferimento la recitazione corporea di una controfigura scheletrica”. Un intervento di cosmetica digitale che sta diventando sempre più usato a Hollywood, ma che qui funziona alla perfezione a differenza di altri recenti tentativi (si confronti il Severus Piton ringiovanito e smagrito dell’ultimo Harry Potter).

Durante la pellicola altri trucchi riempiono lo schermo, ma con la discrezione che si confà a strumenti al servizio della narrazione, al punto che spesso è difficile essere certi se il sottomarino, il bombardiere e i velivoli monoposto, il quartier generale dell’Hydra sono modellini creati al computer o realizzati con le vecchie tecniche (come pare invece nel caso dell’aereo da cui si paracaduta Capitan America, in un omaggio-citazione del velivolo di Lao Che di Indiana Jones, film di cui qui si respirano a pieni polmoni le atmosfere). In ogni caso nel film si fa un largo utilizzo di make-up ed effetti speciali tradizionali, come per la maschera del Teschio Rosso, rifinita certo nei dettagli al computer, ma plasmata alla vecchia maniera sul volto riconoscibilissimo di Hugo Weaving, utilizzando per il calco un materiale molto simile a quello usato dai dentisti e capace di rivelare impercettibili dettagli. Il merito di questo perfetto equilibrio tra meraviglia per gli occhi e solida narrazione ovviamente va in larga parte dato al regista Joe Johnston, classe 1950, uno che ha iniziato come designer di modellini e costumi in Star Wars, è stato a stretto contatto con Spielberg quale art director di I predatori dell’arca perduta, padroneggia gli effetti visivi (Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi) e nutre da sempre una fascinazione per il fantastico (Jumanji) e il passato (Le avventure di Rocketeer).

Si aggiunga allo spettacolo una delle migliori conversioni 3D viste fino ad oggi (realizzata da Stereo D e The Base Studio), che grazie alla scelta di Johnston di filmare quasi tutte le scene con obiettivi grandangolari che danno ampio respiro alle inquadrature e stabiliscono una interessante tavolozza spaziale, aggiunge efficacia all’azione: dall’assalto al treno in corsa, alle varie fasi di battaglia con i salti di Capitan America che attraversa lo schermo dal fondo al primo piano, alla sequenza della battaglia nei boschi, con gli uomini armati che avanzano da sinistra a destra, a diversi piani di profondità, fino al bellissimo squarcio nelle profondità (è il caso di dirlo) dello spazio siderale.