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5 (Cinque), fumetto criminale

Dominedò e il cast presentano il loro progetto 'romanocentrico'.
di Ilaria Ravarino

In foto Matteo Branciamore, protagonista di 5 (Cinque) di Francesco Maria Dominedò.

giovedì 23 giugno 2011 - Incontri

Nel panorama del cinema indipendente italiano, più ampio di quel che sembri, sopravvivono almeno due categorie di prodotti. Ci sono i film di testa, faticosamente girati per iniziativa di registi-autori innamorati di un pensiero, di un'immagine o di una storia, e i film di pancia, altrettanto faticosamente realizzati da registi imbarcati nel progetto esclusivamente per il piacere di girare. Cinque, regia dell'attore Francesco Maria Dominedò, è un film di cuore e di pancia: girato da un gruppo di amici, realizzato con pochi soldi e con il contributo di tutti (mamme incluse), è un piccolo progetto molto romanocentrico, molto semplice e molto poco cerebrale, «un fumettone» secondo il regista, distribuito dal 24 giugno in appena 7 sale. «Volevamo raccontare una storia e divertirci», dice il regista, grande fan di Romanzo Criminale e dei poliziotteschi anni '70, e c'è da scommettere che ci siano riusciti. Per il film hanno usato un piccolo ufficio in periferia come centrale operativa, hanno allestito i set tra case di amici e quartieri popolari, hanno rimediato agli imprevisti con tanta improvvisazione, hanno reclutato attori fra i conoscenti e adescato volti noti con le buone e le cattive maniere: «Volete sapere come ho fatto a convincere Matteo Branciamore a partecipare al film? – racconta il regista – ho pagato il portiere del suo palazzo perché gli desse la mia sceneggiatura. Ha funzionato».

Quanto costa realizzare un Romanzo Criminale indipendente?
Dominedò: Meno di 400.000 euro: con gli stessi soldi ci si fa un quarto d'ora di un film italiano qualsiasi. Non abbiamo preso contributi statali né soldi delle tv. Cinque è stato finanziato da un produttore, Valter D'Errico, che non è ricco. Ma ha pagato tutti.

Come nasce l'idea di raccontare (ancora) la criminalità romana?
Dominedò: L'idea di base era quella di raccontare una storia di amicizia, spacciandola per un gangster movie alla Romanzo Criminale. Inizialmente il film si chiamava Ragazzi di strada e tutto è nato per iniziativa di Stefano Sammarco, il nostro protagonista, che un giorno è arrivato da me con tre pagine scritte di getto, un copioncino di pura emozione. Paola Bonetti, che è una scrittrice, ha rimesso a posto il soggetto che in una prima fase somigliava troppo a Romanzo Criminale, e Valter D'Errico ha deciso di produrlo. È stato lui ad affidarmi la regia.

A parte Romanzo Criminale, avete avuto altri modelli?
Dominedò: I poliziotteschi anni '70. Sia per la regia, con l'uso frenetico dello zoom, che per il fatto di aver girato praticamente senza mezzi e senza tempo. Avevamo una media di 14 scene al giorno, la sceneggiatura era di 210 pagine...

In quanto tempo avete girato?
Dominedò: A marzo di due anni fa abbiamo battuto il primo ciak, poi alcuni dei coproduttori sono scappati ma per fortuna ne sono arrivati altri. La gente del Quarticciolo, il quartiere di Roma Est dove abbiamo girato, è stata fantastica. Ci ha aiutato fornendoci le location e in alcuni casi anche il catering. Abbiamo finito a maggio ma poi tutto si è bloccato perché non avevamo i soldi per la post-produzione. Ora, grazie a Iris Film che ha creduto nel progetto, usciremo in 7 sale: saremmo potuti uscire anche in 40, ma abbiamo messo da parte l'ego perché preferiamo tenere una media per sala alta e magari restare più a lungo in certi cinema.

Si aspettava che Branciamore accettasse il ruolo?
Dominedò: All'inizio lo scettico ero io. Matteo ne I Cesaroni fa talmente bene il bambacione che credevo fosse uno stupido per davvero. Poi mi sono completamente ricreduto. Ha accettato un ruolo, quello dello "schizzato" Manolo, completamente opposto a quel che fa in tv. E poi una star del piccolo schermo che accetta di fare un piccolo film dà forza a tutto il progetto.

E Branciamore? Si aspettava un ruolo del genere?
Branciamore: No, ma sono stracontento di averlo fatto. Per me è difficile trovare un personaggio così. Purtroppo nel nostro paese se fai I Cesaroni diventi Marco Cesaroni a vita. Lo rifarei altre cento volte.
Dominedò: Io non capisco perché in Italia la gente che fa i reality, o la tv, poi non può più fare cinema. Noi, in questo film, siamo andati appositamente contro i cliché.

Cosa significa per gli attori fare cinema indipendente in Italia?
Alessandro Borghi: significa affrontare un'esperienza tosta, perché iniziata e finita in pochissimo tempo. Ma anche lavorare sui personaggi come nessun altro film ti permetterebbe di fare: tutti noi potevano cambiare il personaggio, aggiungere o togliere certe sfumature.
Lidia Vitala: Vuol dire girare le scene in un posto come il Quarticciolo, e accorgersi che il vero film è quello che succede intorno al set: fare colazione la mattina con i travestiti, assistere alle risse in strada...
Christian Mazziti: ... e andare sul set senza sapere esattamente cosa accadrà. È tutto un work in progress, un salto nel buio intrigante. E la tensione per via del poco tempo ce l'ha fatta superare Branciamore. Non avete idea di quanto sia bravo a imitare Franco Califano e Silvio Muccino.

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