sergio dal maso
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domenica 28 giugno 2015
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vento di primavera
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“Credi che un giorno diventeremo adulti ?” “Non lo so”
La notte tra il 15 e il 16 luglio 1942 il governo collaborazionista di Vichy guidato dal generale Pétain si piega alle pressanti richieste di Hitler di consegnare alla Germania i 24000 ebrei residenti a Parigi. La gendarmeria francese dà inizio ad uno spietato e crudele rastrellamento, una terribile retata ( “La rafle”, titolo originale del film) che porterà alla cattura e alla carcerazione nel Velodrome d’Hiver di 13000 ebrei francesi, rinchiusi per diversi giorni in condizioni igieniche tremende e disumane, senza acqua né cibo.
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“Credi che un giorno diventeremo adulti ?” “Non lo so”
La notte tra il 15 e il 16 luglio 1942 il governo collaborazionista di Vichy guidato dal generale Pétain si piega alle pressanti richieste di Hitler di consegnare alla Germania i 24000 ebrei residenti a Parigi. La gendarmeria francese dà inizio ad uno spietato e crudele rastrellamento, una terribile retata ( “La rafle”, titolo originale del film) che porterà alla cattura e alla carcerazione nel Velodrome d’Hiver di 13000 ebrei francesi, rinchiusi per diversi giorni in condizioni igieniche tremende e disumane, senza acqua né cibo. Come negli altri Stati dominati o sotto l’influenza nazista la deportazione degli ebrei francesi non fu improvvisa né inaspettata. Anche in Francia, come in Italia, la persecuzione della comunità ebraica fu lucidamente pianificata : prima gli ebrei furono costretti a portare la stella gialla per essere riconosciuti, poi progressivamente emarginati e privati dei più elementari diritti come l’istruzione per i bambini e il lavoro per gli adulti. Se con il rastrellamento del 16 luglio viene definitivamente sconvolta la serena vita quotidiana della comunità ebraica del quartiere di Montmartre i sintomi erano già chiaramente visibili, il delirio nazista dell’odio razziale era già stato seminato da tempo. Dall’incubo del velodromo gli ebrei furono trasferiti nel campo di transito a Beaune la Rolande nella provincia della Loira per poi partire per l’ultimo viaggio senza ritorno verso Auschwitz o gli altri campi di sterminio. Dei 13000 ebrei arrestati nel rastrellamento del 16 luglio, di cui 4051 bambini, tornarono vivi dalla Polonia solo in 25, nessun bambino. Di fronte alle atrocità narrate da Vento di primavera si resta smarriti, increduli e senza parole, anche perché all’inizio del film lo spettatore è avvertito che tutti i personaggi sono realmente esistiti e gli eventi sono accaduti esattamente come sono stati ricostruiti.
La regista Rose Bosch con uno straordinario lavoro di ricerca e di documentazione durato alcuni anni ha voluto riportare alla luce una vicenda terribile quanto dimenticata, della quale la Francia per moltissimi anni ha negato le proprie responsabilità cercando di rimuovere una delle pagine più deplorevoli della sua storia.
Il pregio maggiore del film è quello di riuscire a trasmettere la tragedia e l’orrore della “retata dimenticata” con estrema sensibilità, attraverso diversi punti di vista e con gli stati d’animo dei protagonisti che l’hanno vissuta.
Innanzitutto con lo sguardo ingenuo e innocente dell’undicenne Joseph Weismann (oggi ottantenne, vive a New York) e degli altri bambini che nel velodromo non si rendono conto della gravità di quello che sta succedendo, di fronte ad avvenimenti che non possono capire si rifugiano nel gioco e negli scherzi in un clima surreale. Non meno significativo del punto di vista dei bambini è quello dei due “eroi” della storia, la combattiva infermiera Annette (la solita straordinaria Melanie Laurent, già vista lo scorso anno nel Concerto) e il dottor David Sheinbaum (Jean Reno nell’inedita parte del “buono”).
Con la loro umanità e un altruismo commovente cercano di aiutare in tutti i modi le disperate famiglie ebree, e non solo con l’assistenza medica, senza rassegnarsi cercano anche di ribellarsi e di disobbedire a quella follia. Anche i pompieri non si piegano agli ordini dei militari e simulano un incendio per poter aprire gli idranti e dissetare le migliaia di persone rimaste senz’acqua.
A parte la bravura della regista, sono soprattutto la tensione emotiva e l’intensità degli avvenimenti a mettere al centro della scena lo sguardo dello spettatore, sguardo che si incrocia con gli occhi smarriti dei deportati.
Sono molti gli episodi e i particolari che emozionano e commuovono, basti ricordare il bambino con l’orsacchiotto che corre da solo verso il camion convinto che lo porterà dai genitori. La scelta di inserire nel film alcune scene sulla vita familiare di Hitler nel suo ritiro sulle Alpi o le riunioni del comando del generale Petain può non apparire del tutto convincente. Ritengo, però, che il contrasto tra il cinismo di Hitler che gioca con i bambini quando nello stesso tempo ne sta mandando a morire migliaia evidenzi ancora di più il delirio del suo disegno criminale.
Vento di primavera, inserito in rassegna nella settimana del Giorno della Memoria, si affianca ad altri film che hanno cercato di raccontare la Shoah e la persecuzione degli ebrei dal punto di vista dei bambini; tra i più significativi ricordiamo Arrivederci ragazzi di Louis Malle o Il bambino con il pigiama a righe di Mark Hermann. Sono film importanti perché, probabilmente, non potendo del tutto comprendere e spiegare l’orrore dell’Olocausto ma dovendo necessariamente ricordarlo, possiamo solo affidarci alla purezza e l’innocenza del loro sguardo per non dimenticare fino a dove può arrivare l’essere umano guidato da ideologie fanatiche e razziste, continuando a porci le stesse domande pur sapendo che la risposta è dispersa nel vento.
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angelo umana
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giovedì 3 febbraio 2011
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resteremo solo noi
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Nei filmati d’epoca all’inizio del film è ritratto Hitler che passeggia per Parigi coi suoi gerarchi: la città è deserta come il cuore di quegli uomini che credono di possedere il mondo. E’ un deserto dell’anima, anime così povere che sono nullità davanti alla bellezza e alla grandeur della città. Venditti in una sua canzone cantava di Attila, uomo di poca fantasia, che scambiò Roma per una stella, così Hitler sembra troppo ignorante per una città così bella. Impressionano in questi filmati i vinti, gli ufficiali della Francia occupata, che ossequiano col saluto militare i nuovi padroni dall’anima incolta.
Le “anime povere” stanno decidendo che almeno 25000 ebrei devono essere deportati, bambini compresi, e c’è la gara agghiacciante a produrre quante più retate possibili.
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Nei filmati d’epoca all’inizio del film è ritratto Hitler che passeggia per Parigi coi suoi gerarchi: la città è deserta come il cuore di quegli uomini che credono di possedere il mondo. E’ un deserto dell’anima, anime così povere che sono nullità davanti alla bellezza e alla grandeur della città. Venditti in una sua canzone cantava di Attila, uomo di poca fantasia, che scambiò Roma per una stella, così Hitler sembra troppo ignorante per una città così bella. Impressionano in questi filmati i vinti, gli ufficiali della Francia occupata, che ossequiano col saluto militare i nuovi padroni dall’anima incolta.
Le “anime povere” stanno decidendo che almeno 25000 ebrei devono essere deportati, bambini compresi, e c’è la gara agghiacciante a produrre quante più retate possibili. La Rafle vuol dire infatti La Retata, inappropriato che in italiano il film si chiami Vento di Primavera, una primavera di sentimenti non è presente in quasi alcun fotogramma. E’ un film molto amaro, splendidamente diretto da Rose Bosch e fedelmente interpretato da Jean Reno, il medico che cerca di salvare le vite dei deportati nel Velodromo d’Inverno dove essi vengono raccolti, da Mélanie Laurent, l’infermiera Annette e dai bambini che recitano sé stessi. Alla loro età non poterono comprendere come degli adulti fossero così ostili verso altri esseri umani, contraddistinti dalla stella di Davide sul petto. Alcune frasi pronunciate da mediocri nativi francesi sono presagio della tragedia che seguì e che tuttora ricompare nel mondo moderno, sotto forma di intolleranza: “Nessuno potrà più confonderli” e “Ora non si danno più tante arie, resteremo solo noi”.
Il film è un racconto su piani diversi. Da una parte c’è la vita serena delle famiglie ebree che sarà presto sconvolta, dall’altra vi sono dei quadretti idilliaci dal ritiro campestre di Hitler con Eva Braun, Himmler e bambini “protetti”, che si baloccano tra cocktails, fotografie col capo e pane e latte da dare ai cerbiatti. La regista sa raffigurare la stupidità del genere umano, ne è esempio un Hitler esausto, trasfigurato dopo un delirante discorso alla radio e il suo discorso sulla cenere che, una volta bruciate quelle persone di razza “inferiore”, renderà irrilevanti le differenze di sesso ed età dei morti.
Su carrozze di treni merci che recano la scritta “Hommes 40 Chevaux 8” partono in più riprese per la Polonia queste bellissime persone, i bambini sono increduli e incapaci di piangere. A nulla valgono le parole del medico ebreo, “Verrà un giorno in cui dovranno spiegare e pagare per questo”, o dell’infermiera francese quando apprende che vanno ad essere gasati, “Non può essere!”. Dei 13000 che effettivamente furono deportati solo pochi adulti e bambini tornarono. Uno sprazzo di primavera può essere visto nella parte finale, quando qualche sopravvissuto ritrova un congiunto e tutti gli altri applaudono o quando il bimbo senza più parole, Nonon-Noé, ritrova la sua infermiera Annette, non sembra riconoscerla ma se ne lascia abbracciare, vuoto di sé dopo tutto questo male.
Non saranno mai abbastanza i buoni film sui crimini contro l’umanità della seconda guerra. Questo della Francia di Vichy è un episodio non piccolo e spaventoso, ma ci ricorderemo “che questo è stato”.
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talizye
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lunedì 31 gennaio 2011
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da vedere
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bellissimo
ti lascia quel giusto senso di orrore per quello che è in grado di fare il genere umano
utile per non dimenticare le tragedie passate e presenti
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linus2k
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lunedì 16 gennaio 2012
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regia debole per una storia potente
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La retata del velodromo d'inverno, luglio 1942, segna una delle pagine più vergognose e terribili della storia francese. Siamo nella Parigi occupata e il maresciallo Petain, sotto pressione tedesca, ordina la retata e la cattura di 13.000 ebrei di cui 4000 bambini, destinati ai campi di sterminio dell'est Europa.
Il film "Vento di Primavera", racconta, per la prima volta al cinema, questa episodio, e lo fa nei termini e nei modi tipici del film sull'Olocausto.
Come ogni film sulla Shoah, è un pugno nello stomaco, una sofferenza minuto per minuto. La regista parte dal punto di vista dei bambini e della quotidianità familiare di una Montmatre serena ed accogliente, per raccontare lo stupro civile e sociale perpetrato dai militari francesi collaborazionisti e da quelli tedeschi.
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La retata del velodromo d'inverno, luglio 1942, segna una delle pagine più vergognose e terribili della storia francese. Siamo nella Parigi occupata e il maresciallo Petain, sotto pressione tedesca, ordina la retata e la cattura di 13.000 ebrei di cui 4000 bambini, destinati ai campi di sterminio dell'est Europa.
Il film "Vento di Primavera", racconta, per la prima volta al cinema, questa episodio, e lo fa nei termini e nei modi tipici del film sull'Olocausto.
Come ogni film sulla Shoah, è un pugno nello stomaco, una sofferenza minuto per minuto. La regista parte dal punto di vista dei bambini e della quotidianità familiare di una Montmatre serena ed accogliente, per raccontare lo stupro civile e sociale perpetrato dai militari francesi collaborazionisti e da quelli tedeschi.
E' un lento, continuo e inesorabile cammino nella sofferenza, sottolineato dal triplice piano narrativo, quello del maresciallo Petain, di Hitler nel suo bunker, e dei protagonisti diretti, delle famiglie, del medico ebreo magistralmente interpretato da Jean Reno e dall'infermiera eroica, una convincente Mélanie Laurent, già Shosanna di Tarantino.
Sicuramente la Storia colpisce e ferisce, ma analizzando il film su un piano prettamente tecnico ci si potrebbe chiedere quanto l'emozione giunga dalla storia in sé e quanto lo stile registico, la fotografia, la scelta narrativa abbiano pesato.Per essere più chiari: fosse stato un film per la tv avrebbe di sicuro emozionato ugualmente? La risposta è sì... anzi... forse sarebbe stato più adatto.
Il limite del film infatti è la debolezza registica ed una fotografia spesso anonima e poco convincente, che per l'importanza della storia rimane in secondo piano e pesa meno, ma di certo, ad un'analisi più fredda ed emotivamente meno condizionata, mostra tutte le sue lacune e le sue debolezze... Perché siamo lontani dal registro cinematografico tipico dei grandi del cinema francese e rimane una sensazione di progetto riuscito a metà. La storia in definitiva va avanti per conto suo, per la sua drammaticità storica naturale, ma non risulta accompagnato e impreziosito dalla regista, forse non sufficientemente adatta a gestirlo.
Certo è un film da vedere, da far vedere, da consigliare e da far vedere nelle scuole per il suo scopo didascalico valido ed efficace, per mantenere sempre vivo il ricordo di quel periodo drammatico.
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mammut
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sabato 29 gennaio 2011
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veramente bello
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Altro che il discorso del re. Periodo storico quasi identico, qui nel 42 l'altro invece nel 39, qui Hitler già pericolosamente devastante, nell'altro ancora una minaccia, questo quasi un capolavoro, l'altro un film normale stranamente "gonfiato" dalla critica visto l'avvicinarsi delle statuette. Mah.
[+] bravo!
(di lorenzo l.)
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(di bandy)
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cinefila
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lunedì 7 febbraio 2011
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lo sterminio francese.
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Sulla stregua di altri film, anche questo racconta gli orrori dello sterminio ebreo!
Protagonista questa volta è la Francia: la storia si sviluppa attorno a famiglie che vivono giorno dopo giorno la consapevolezza che qualcosa sta cambiando!
Il reclutamento degli ebrei nel velodromo, gli spalti pieni di uomini, donne e bambini assetati e affamati, l'intervento dei medici, di un'amorevole infermiera (la convincente Melanie Laurent) e il trasferimento nei campi tedeschi non lasciano scampo a quello che sarà l'epilogo. Pochi fortunati riusciranno a scappare da una morte sicura ma di certo rimarrà in loro il trauma di quei giorni di assurda pazzia.
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ignazio vendola
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lunedì 13 giugno 2011
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l'orrore del nazismo nella francia occupata
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Ambientato durante l'occupazione nazista della Francia, il film è un vero e proprio pugno nello stomaco per lo spettatore, ed ha il merito di illuminare un episodio poco noto sulla deportazione degli ebrei francesi con la loro segregazione nel velodromo di Parigi
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ashtray_bliss
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venerdì 1 marzo 2013
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pagina nera nella storia della francia democratica
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La Rafle, titolo orginale che si riferisce appunto alla retata degli ebrei, e' un film veramente potente, umano e drammatico che apre una porta cinematografica sugli avvenimenti i quali sono stati quasi dimenticati dal popolo e governo francese. Riapre le ferite di quella che rappresenta una delle pagine piu' nere dello stato democratico per eccellenza, la Francia, paese che viene immediatamente collegato al classico motto Libertè, Egalitè, Fraternitè e che nonostante cio' si rese complice nell'arresto, deportazione e sterminio di 13,000 ebrei di cui 4,013 solo bambini.
Il film, dunque, racconta il dramma di queste persone che prima vengono obbligate a indossare lo stemma di Davide, il segno della loro diversita' rispetto agli altri connazionali francesi, e quindi il simbolo col quale vengono immediatamente riconosciuti e talvolta emarginati.
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La Rafle, titolo orginale che si riferisce appunto alla retata degli ebrei, e' un film veramente potente, umano e drammatico che apre una porta cinematografica sugli avvenimenti i quali sono stati quasi dimenticati dal popolo e governo francese. Riapre le ferite di quella che rappresenta una delle pagine piu' nere dello stato democratico per eccellenza, la Francia, paese che viene immediatamente collegato al classico motto Libertè, Egalitè, Fraternitè e che nonostante cio' si rese complice nell'arresto, deportazione e sterminio di 13,000 ebrei di cui 4,013 solo bambini.
Il film, dunque, racconta il dramma di queste persone che prima vengono obbligate a indossare lo stemma di Davide, il segno della loro diversita' rispetto agli altri connazionali francesi, e quindi il simbolo col quale vengono immediatamente riconosciuti e talvolta emarginati. E se all'inizio tutto sembra comunque filare liscio, pian piano gli ebrei vengono emarginati da qualsiasi attivita' sociale. Gli e' vietato partecipare a eventi pubblici come concerti, teatri, cinema; pian piano vengono anche licenziati dai propri lavori e il coprifuoco per loro, nonostante siamo in estate, inizia alle sette. Tutto fa presagire il peggio, che non tarda ad arrivare.
Il governo collaborazionista di Vichy firma un accordo secondo il quale il governo francese deve 'rastrellare' 23,000 concittadini ebrei. Di questi riusciranno ad arrestare ''solo'' 13,000.
Nel pieno dell'estate, gli ebrei vengono deportati dalle loro case nel quartiere di Montmartre e raccolti nel velodromo d'hiver. Con loro possono portare cibo sufficiente per due giorni e pochissimi oggetti personali.
Li sotto precarie condizioni igenico-sanitarie vengono lasciati assetati ed affamati mentre le malattie cominciano progressivamente ad espandersi. I decessi sono all'ordine del giorno, il medico (Jean Reno) e le infermiere assegnate li non sono sufficienti per coprire i bisogni della gente. Tra le infermiere, una in particolare rimane colpita dal modo in cui gli ebrei vengono trattati (M. Laurent) e a modo suo cerchera' di opporsi e denunciare la follia nazista.
Ma ben presto gli ebrei del velodromo verranno deportati in campi di concentramento francesi nell'attesa che vengano messi sui treni diretti a Est, diretti nei campi di sterminio. Nessuna eccezzione: uomini, donne e bambini vengono trattati nello stesso modo. Assistenza sanitaria carente, ipo-nutrimento. Testimone di queste incomprensibili atrocita', l'infermiera' provera' a fare la sua protesta, portando se stessa come martire della situazione negli uffici governativi, tutto invano. Da li' a poco gli ebrei saranno nuovamente separati, donne e bambini da una parte, uomini dall'altra e portati all'Est, verso la loro ultima stazione.
Coraggiosa la Bosch nel tentare di raccontare ma soprattuto esprimere una critica aspra, una denuncia morale verso il proprio Paese e il proprio popolo che permise, in nome dell'alleanza con Hitler, che accadesse una tale depurazione razziale ai danni dei connazionali ebrei. La rafle ci vuole ricordare che la shoah degli ebrei non e' un crimine contro un popolo o una determinata categoria di persone; ma e' un crimine contro l'umanita'; contro esseri umani che venivano emarginati e successivamente derisi, lasciati in balia della fame, della sete, del dolore (fisico e psicologico) solo per via di una parte della loro identita' (l'essere francesi veniva oscurato dall'essere ebrei). L'orrore della shoa francese e' indubbiamente una delle pagine piu' nere e lugubri che pertanto va ricordato e non insabbiato dalle pagine della storia.
Film come questo sono sempre attuali nel tenere viva la memoria e l'attenzione della gente. Perche' non accada mai piu' una seconda shoah, perche' la gente non resti mai piu' passiva, disinteressata e disumana nei confronti dei propri simili.
Il film della Bosh risulta pertanto molto preciso e dettagliato nel descrivere la successione degli eventi (tutto cio' rappresentato nel film e' accaduto nella realta'). Un film del genere non e' facile da seguire senza lasciarsi prendere emotivamente, senza commuoversi di fronte allo strazio, al dolore che persone innocenti hanno dovuto subire in nome della follia-virus nazista.
Ottima e precisa la regia e la sceneggiatura, cupa la fotografia. Un film imperdibile, da vedere, per ricordare e riflettere.
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minnie
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lunedì 28 gennaio 2013
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una ricostruzione commovente e necessaria
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Lo ha passato finalmente la Rai questo film necessario e commovente su una data tragica delle recente storia europea, descritto con sensibilità e fermezza dalla regista Rose Bosch a cui va tutto il merito di aver descritto molto bene, alla perfezione direi, il clima di attesa angosciosa in cui gli ebrei, già marchiati dalla stella (con la battuta del panettiere all'inizio: "Anche loro...chi l'avrebbe detto" e già perché gli ebrei erano proprio cittadini normali, come tutti e semmai l'anomalia era proprio quel marchio assurdo imposto loro, un marchio a cui tutti i francesi, la terra della Liberté, avrebbero dovuto per primi opporsi, come hanno fatto solo i pompieri da quanto risulta), piombarono nel giro di pochi giorni se non di ore.
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Lo ha passato finalmente la Rai questo film necessario e commovente su una data tragica delle recente storia europea, descritto con sensibilità e fermezza dalla regista Rose Bosch a cui va tutto il merito di aver descritto molto bene, alla perfezione direi, il clima di attesa angosciosa in cui gli ebrei, già marchiati dalla stella (con la battuta del panettiere all'inizio: "Anche loro...chi l'avrebbe detto" e già perché gli ebrei erano proprio cittadini normali, come tutti e semmai l'anomalia era proprio quel marchio assurdo imposto loro, un marchio a cui tutti i francesi, la terra della Liberté, avrebbero dovuto per primi opporsi, come hanno fatto solo i pompieri da quanto risulta), piombarono nel giro di pochi giorni se non di ore...I gesti delle madri, il rispetto per i bambini, tutto viene a cadere a partire da ordini impartiti dall'alto e ricadneti via via fino al più infimo poliziotto o crudele sbirro. Una ragazza che aveva capito tutto e che cerca di convincere la sua famiglia a scappare, resta una voce isolata perché sono troppi gli sbirri, è troppa la repressione implacabile, non basterà la vigilanza di una portinaia a fermare la piena della violenza. E' lo stesso avvenimento descritto molto bene anche in un film che trae spunto dalla stessa data, "La chiave di Sarah", anche questo di una regista mi pare...è come se le donne, custodi della casa, siano le più indicate a mettere in luce proprio la violazione del focolare che i nazisti e i loro scherani hanno compiuto. Un dramma che ha cambiato tutto nel cosiddetto mondo civile occidentale che dovrà sempre ricordare perché la barbarie è stata toccata in quei dodici anni del Novecento, e non nel Medioevo...gli anni bui sono appena alle nostre spalle e che ci siano di lezione! Brava Bosch!
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great steven
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martedì 7 luglio 2015
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ebrei rastrellati al vel d'hiver nell'estate 1942.
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VENTO DI PRIMAVERA (FR/GERM/UNG, 2010) diretto da ROSE BOSCH. Interpretato da JEAN RENO, MELANIE LAURENT, GAD ELMALEH, RAPHAELLE AGOGUE, HUGO LEVERDEZ, MATHIEU DI CONCERTO, OLIVIER CYWE, SYLVIE TESTUD, ANNE BROCHET, DENIS MENOCHET, ROLAND COPE, ADELE EXARCHOPOULOS, CATHERINE ALLEGRET
Ispirato a fatti drammatici che accaddero nella realtà, in quella maledetta (per i deportati francesi nei campi di concentramento) estate del 1942, è il racconto delle sfortunate vicende che videro protagoniste alcune numerose famiglie ebree, costrette dapprima a pesanti restrizioni sociali e amministrative nella periferia di Parigi (come l’interdizione dalle scuole e l’esclusione dai pubblici uffici), trasferite successive in un centro di raccolta dove i famigliari vennero brutalmente separati gli uni dagli altri e condannate infine a morte nei lager nazisti.
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VENTO DI PRIMAVERA (FR/GERM/UNG, 2010) diretto da ROSE BOSCH. Interpretato da JEAN RENO, MELANIE LAURENT, GAD ELMALEH, RAPHAELLE AGOGUE, HUGO LEVERDEZ, MATHIEU DI CONCERTO, OLIVIER CYWE, SYLVIE TESTUD, ANNE BROCHET, DENIS MENOCHET, ROLAND COPE, ADELE EXARCHOPOULOS, CATHERINE ALLEGRET
Ispirato a fatti drammatici che accaddero nella realtà, in quella maledetta (per i deportati francesi nei campi di concentramento) estate del 1942, è il racconto delle sfortunate vicende che videro protagoniste alcune numerose famiglie ebree, costrette dapprima a pesanti restrizioni sociali e amministrative nella periferia di Parigi (come l’interdizione dalle scuole e l’esclusione dai pubblici uffici), trasferite successive in un centro di raccolta dove i famigliari vennero brutalmente separati gli uni dagli altri e condannate infine a morte nei lager nazisti. A guidare la folta comunità ebraica in questo terrificante gioco al massacro ordito dai gerarchi tedeschi occupanti la Francia collaborazionista, ci sono il dottor David Sheinbaum e la suora crocerossina Annette Monod. Col difetto più evidente e lampante di un titolo italiano imbecille che tradisce ignominiosamente il significato profondo della denominazione originale ( La rafle, ossia appunto "il rastrellamento", quello che avviene al Velodromo d’Inverno, divenuto ormai simbolo delle persecuzioni antisemite), è un originale punto di vista che analizza come lo stato francese visse gli anni della più spietata e distruggente guerra che l’uomo abbia mai concepito e messo in campo, considerando ovviamente più d’una prospettiva ma parteggiando materialmente per la fazione giudea, obbligata alle prostrazioni più umilianti e ai sacrifici più disumani. La materia narrativa viene trattata abilmente dalla 49enne regista, che s’è occupata anche di redigere la sceneggiatura, affinché il discorso umanitario non cada in provocazioni retoriche o forzature ideologiche, e di ripetizioni nel dialogo sensibilizzante l’opinione degli spettatori se ne riscontrano poche, e del tutto trascurabili. Una compagine di attori affiatata, tutti reclutati per interpretare i lavoratori ebrei che vivevano nella capitale francese in quel periodo e si videro togliere in una sola notte di "pulizia etnica" ogni effetto personale e diritto di compartecipare al mantenimento di un’esistenza sobria e dignitosa. J. Reno non si contraddice mai con un personaggio pacato e flemmatico, costruito sulla misura della sua corrente espressione malinconica e scritto per essere interpretato da un uomo che da lungo calca le scene senza farsene logorare, mentre M. Laurent, in saio bianco e con lo sguardo costantemente alla ricerca della felicità, costruisce una donna che sa combattere per valori libertari aiutando chi si trova in difficoltà non tanto col suo lavoro ma con l’amore che sa infondere nello stesso. V’è tuttavia qualche aggiunta poco gradevole che trasforma parzialmente il film in un documento storico di stampo propagandistico, e tutto sommato Hitler e Himmler risultano superflui, sebbene vengano rappresentati con veridicità e puntiglio decoroso. Il punto di forza più decisivo, comunque, resta la galleria dei caratteri incaricati di impersonare i deportati, con tutte le loro sfaccettature e ciascuno col suo modo personalizzato e individuale di affrontare i problemi posti dalle questioni razziali e dalla volontà inattaccabile di cancellare una razza dalla faccia del pianeta. Le scene più azzeccate sono quelle ambientate nel Velodromo, adibito ad ospizio per malati di tutti i generi, in cui il saggio medico di Reno opera con estrema perseveranza, facendosi assistere dalle monache impiegate nella Croce Rossa. Poco importa se si riscontrano inesattezze storiche nella sorte dei prigionieri (i quali, come ribadisco, vissero veramente i tragici eventi che la pellicola espone con dovizia di dettagli e potenza ambiziosamente ausiliare): l’esito riguarda in particolar modo una testimonianza cinematografica drastica, ma al tempo stesso anche pericolosa e fulminante, di un crimine compiuto ai danni di migliaia di persone che mai troverà una giustificazione, né un rimedio, né una motivazione. Collegabile ad altri film francesi che trattano sempre il tema dell’Olocausto osservato dal largo buco della serratura nazionale. In Italia è uscito il 27 gennaio 2011, in concomitanza col Giorno della Memoria.
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