Vanishing on 7th Street

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Un film di Brad Anderson. Con Hayden Christensen, Thandie Newton, John Leguizamo, Taylor Groothuis, Jacob Latimore.
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Horror, durata 92 min. - USA 2010. - One Movie uscita venerdì 29 luglio 2011. MYMONETRO Vanishing on 7th Street * * - - - valutazione media: 2,48 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Che voglia di sparire... dalla sala!!! Valutazione 2 stelle su cinque

di Riccardo76


Feedback:
mercoledì 5 ottobre 2011

L’ultimo film di Brad Anderson sembrerebbe intriso di messaggi impliciti, soprattutto filosofici. Uno tra questi potrebbe essere quello che, considerando la nostra società basata soltanto sull’immagine, il regista ritiene che essa sia arrivata ormai sull’orlo di un baratro e non può far altro che crollare e ricominciare da zero, facendosi avvolgere dalle tenebre per rinascere in una nuova luce. La lettura si potrebbe estendere però anche al livello metacinematografico, dove un cinema ormai saturo necessiterebbe di rinnovamento, e la scena iniziale, ambientata in una sala di proiezione,  confermerebbe tale ipotesi. Infine, attraverso un’interpretazione religiosa dell’opera, la luce potrebbe rappresentare la fede, l’unica salvezza contro le tenebre del male, che stanno prendendo sempre di più il sopravvento in una società oramai quasi completamente atea e allo sbando, come si vede dalla scena finale ambientata in una chiesa dove la luce divina è simboleggiata da una candela.

Quindi, Vanishing on 7th street, sembrerebbe un valido film, con molti buoni propositi e spunti di riflessione, se non fosse per il fatto che, trattandosi di un thriller paranormale – con risvolti catastrofici e fantascientifici – esso non riesce a tenere in tensione lo spettatore, finendo per annoiarlo a morte, a causa di una struttura debole. Tanto per cominciare il film si presenta come un concentrato di cliché visti e rivisti in pellicole del passato, per citarne le migliori, E Venne il Giorno  di Shyamalan, l’Ultimo uomo della  terra  di Ragona  e  La notte dei morti viventi  di  Romero, che, se da un lato possono rappresentare eleganti citazioni, dall’altro finiscono per dare l’impressione del dejà-vu, provocando un crollo di interesse, di tensione e di attenzione dal momento in cui lo spettatore se ne rende conto. Uno dei cliché più sfruttati qui presente è la composizione del gruppo dei sopravvissuti: ritroviamo infatti puntualmente l’eroe giovane, bello e sprezzante del pericolo, poi,  il solito ferito, che, come sempre, finisce per risultare d’impaccio agli altri, quindi,  l’esperto di pronto soccorso per curare quest’ultimo – in questo caso una sedicente fisioterapista – e , infine, non poteva mancare la vittima innocente, un bambino, che spera ancora nel ritorno della madre (curiosamente manca la bellona del gruppo, colei che dovrebbe innamorarsi dell’eroe, al fine di assicurare al pubblico una scena di sesso). Anche le situazioni risultano quelle già sfruttate a più non posso nei peggiori B-movie: i sopravvissuti braccati in un locale circondato dai mostri, la necessità di fuggire per mancanza di munizioni ( in questo caso torce e tutto ciò che fa luce),  il tentativo di recuperare un mezzo per la fuga. Già con questi elementi la tensione cala inesorabilmente, ma anche la sceneggiatura non aiuta, con le sue poche scene di suspense, ed i prolungamenti di tempo estenuanti di certe situazioni. Anche per quanto riguarda gli effetti speciali, poi, il film scivola nel ridicolo: le ombre infatti, con i loro movimenti goffi e i loro lamenti, ricordano molto gli spiriti cattivi di Ghost, che rappresentano la parte meno riuscita di quel capolavoro; solo che in quel caso correva l’anno 1989, e perciò si poteva giustificare la grossolanità degli effetti speciali, ma non nel caso di una pellicola del 2011, con tutte le tecniche digitali a disposizione.  Infine, anche i dialoghi contribuiscono al crollo di tensione e attenzione, rallentando fastidiosamente un ritmo già di per sé lento, per non parlare della loro inconsistenza, costruiti sulla banalità più assoluta.

Alla fine quindi, lo spettatore finisce per augurarsi che il motorino generatore di corrente che tiene in vita i sopravvissuti esaurisca il carburante il prima possibile per porre fine a questa noia tremenda e scomparire finalmente anche lui ( dalla sala però).

Ma c’è qualcosa da salvare? – Sì, ma non molto: oltre ai messaggi impliciti citati all’inizio, un piccolo colpo di scena, quasi alla fine, in cui si fa credere  allo spettatore qualcosa che in realtà non avviene realmente e il finale, che per fortuna, si distacca dalla massa dei predecessori e ci regala una poetica scena di chiusura. Tuttavia, questo non basta a far scrollare di dosso dallo spettatore una noia mortale!      

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