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Una sconfinata giovinezza: il vecchio bambino

Presentato oggi a Roma l'ultimo film di Pupi Avati.
di Marianna Cappi

Un viaggio avanti e indietro nel tempo
Pupi Avati (85 anni) 3 novembre 1938, Bologna (Italia) - Scorpione. Regista del film Una sconfinata giovinezza.

lunedì 4 ottobre 2010 - Incontri

Un viaggio avanti e indietro nel tempo
Avrebbe forse dovuto chiamarsi "Una sconfinata infanzia" anziché Una sconfinata giovinezza, l'ultimo film di Pupi Avati presentato oggi a Roma, alla Casa del Cinema. È il regista stesso a dirlo. D'altronde il mondo dell'inverosimile e del disinibito, tipico dei bambini, è sempre stato parte del suo "tocco", la parte cinematograficamente più adulta e matura. Questa storia, interpretata da Fabrizio Bentivoglio e da Francesca Neri, è un viaggio avanti e indietro nel tempo, delicato e commovente.

Come nasce questa storia e la decisione di occuparsi di Alzheimer?
Avati: La ragione per cui mi sono occupato di questa patologia sta nel mio rapporto col tempo. Sono un 72enne e dunque un anziano, nel secondo tempo della propria vita. In molti miei film guardo con rammarico affettuoso al mio passato, imputandomi la responsabilità di aver vissuto la giovinezza con troppa fretta. Ora la regressione, che è tipica di questa patologia, si impone anche a chi, come a me, non è stato diagnosticato l'Alzheimer. Ma quel bambino di 8, 9, 10 anni che sono stato e che credevo di aver tacitato, spinge sempre di più per tornare a galla. Tutto, dal cane Perché, che era il cane di mio padre, al diamante ritrovato dalla zia nella macchina incidentata dove i miei avevano trovato la morte, è accaduto veramente, anche la lotta che facevamo con Leda, che è stata la mia prima "ebbrezza" sessuale, e Nerio, il bambino senza palato che sapeva tutte le tabelline a memoria: è tutto reale. Quando mio suocero ha cominciato a dimostrare una strana innocenza e un nitore speciale nel ricordo del passato, mi sono interessato a questa malattia. Ho pensato che forse era ora che raccontassi finalmente una storia d'amore, dopo 41 film. Perché oggi non si abbandonano più solo i cani sulle autostrade, ma si abbandonano anche i parenti e questo dovrebbe farci riflettere.

Perché Lino (Bentivoglio) fa il giornalista sportivo?
Avati: Perché per una famiglia così, con tutti i componenti piazzati in alto -chi primario, chi docente all'università, chi alla corte dei conti- un giornalista sportivo, uno che scrive di pallone, è un corpo estraneo, il matrimonio più disdicevole che si possa immaginare.

Per interpretare Chicca ti sei prestata ad ingrigire i capelli e a farti invecchiare...
Neri: Questo è uno di quei ruoli che un'attrice sogna di arrivare a fare. È un invecchiamento di dieci anni, non esagerato: sono partita da un elemento concreto, la parrucca, ma poi ho cercato la dignità del personaggio. Per 2/3 settimane, girare quelle scene di tenerezza ma anche di botte, tutte nella casa che vedete nel film, è stato un piccolo vero viaggio d'amore. È stato difficile scrollarsi quelle emozioni di dosso, alla fine delle riprese.

E Fabrizio, come ha vissuto il set?
Bentivoglio: Pupi mi ha detto: "Ho un pacco dono per un attore". Ed era vero: un dono ma anche una patata bollente, un ruolo da trattare con i guanti, delicatissimo. Ho sempre girato per strada, mai così tanto in studio, ma posso davvero dire che è stato bellissimo. Lì, "silenzio si gira" vuol davvero dire che non vola una mosca. La storia di Chicca e Lino che si amano moltissimo ma non hanno figli e di Lino che un giorno decide di tornare bambino e Chicca si trova in braccio il figlio che non ha mai avuto, era una storia bellissima da raccontare, per questo ho accettato.

Come ha preso l'esclusione dal concorso veneziano? Ha visto gli altri film italiani?
Avati: Sono rimasto sbigottito, ma non sono uso a comportamenti scomposti. Si vede dai dati Auditel qual è il cinema che l'Italia vuole andare a vedere: solo commedie. Si vede anche dalla prudenza della 01 Distribution nel numero delle copie (200, ndr), ma questo mi inorgoglisce e basta. Penso ancora che esista una fetta di pubblico che vuole vedere qualcosa di diverso, che non faccia solo sganasciare dalle risate. Se non lo pensassi mi dovrei preoccupare e ci dovremmo preoccupare tutti. I film che sono stati presi in concorso non li ho visti, non per discriminazione alcuna, ma solo perché non vado al cinema, non vedo nessun film.

La parola che meglio si associa al suo affresco dell'infanzia è "magia"
Avati: La mia non è un'infanzia speciale, tutti abbiamo un'infanzia magica. È un mondo che ho sempre messo nei miei film e dal quale non ho intenzione di allontanarmi, perché rappresenta le mie radici.

Per Lino, vi siete ispirati al Peter Sellers di "Oltre il giardino"?
Bentivoglio: Chance il giardiniere è uno dei miei personaggi preferiti del cinema di tutti i tempi ma no, non ci avevo pensato. Difficilmente uso modelli del mondo del cinema, preferisco pensare a persone reali. Mi sono rifatto alla mia infanzia e a quello che Pupi e Antonio mi raccontavano della loro.

Marito e moglie finisco per assomigliarsi molto, fisicamente
Neri: Sì, è vero. Credo che si tratti di un sentimento: il sentimento dell'unità che si realizza nell'amore.

È legittimo leggere nel film una vena d'horror?
Avati: Volevo includere nella storia sulla mia infanzia la resurrezione. Perché nell'infanzia si può ancora credere a cose del genere, si è ancora abbastanza vicini al luogo misterioso da cui veniamo. M'inteneriva l'idea di un uomo che torna indietro a cercare il bambino che può resuscitare la donna della sua vita. L'horror è la tensione che si produce nei riguardi dello sconosciuto, è il grande buio della mente. C'è un momento del film che amo follemente ed è lo sguardo di Fabrizio smarrito dopo che ha picchiato la moglie: in quello sguardo c'è tutta la storia del film, quel che è stato fino a quel momento e quel che sarà da quel momento in poi.

Raccontare oggi un amore che dura una vita è una scelta inusuale Avati: Non si raccontano i matrimoni felici però ce ne sono ancora tanti, direi la maggior parte. Io sono sposato con la stessa signora, con la quale litigo tutti i giorni, da 46 anni. Se penso che questa persona che sa tutto di me (e io so tutto di lei), la persona più informata su di me che esista sulla terra, non ci dovesse un giorno essere più, sarebbe una mancanza terribile, probabilmente insopportabile.

Francesca Neri produce ma fa sempre meno film come attrice. Gli ultimi tre tutti con Avati...
Neri: Lui intanto ne ha fatti altri 8, però. Con Pupi stiamo facendo un pezzo di strada insieme, ci siamo trovati tardi ma con lui mi sento meglio che con qualsiasi regista della mia generazione.

Gli elementi del film lo ponevano di fronte al forte rischio di scivolare nel drammone strappalacrime, come l'avete aggirato?
Avati: Con un grande pudore a livello interpretativo. Cercando di tenere la recitazione molto dentro, di non speculare. So che se questo film avrà un pubblico sarà formato in gran parte da persone che hanno a che fare in qualche modo con questa malattia: l'Alzheimer è la "malattia dei parenti", non dei malati. Con questo mio lavoro vorrei dire loro che si può includerla nella propria vita, sublimarla. Non dico che non fa soffrire, ma che si può accettare. Resta un film struggente, per quel che mi riguarda, però abbiamo cercato di mettere in campo tutte le forme di pudore immaginabili, interpretandolo "sottoemozionandoci".

Lino Capolicchio, "maratoneta" del cinema di Avati, torna dopo tanti anni. Mancava da "Fratelli e Sorelle"...
Capolicchio: Pupi mi ha telefonato dicendo: "Lino, mi dispiace ma ho un ruolo per te". Credo di aver detto tanti no nella vita, mi pare di aver detto solo no, ma a Pupi non potevo dire di no, nemmeno sotto tortura. Lui per me è un padre, un fratello maggiore. Di questo film sono felice soprattutto per Francesca Neri, perché io sono lo scopritore di Francesca Neri. Le ho fatto il provino al Centro Sperimentale, un giorno che Sergio Leone non poteva andare e mi ha chiesto di sostituirlo. Forse lui non l'avrebbe mai scelta, io sì, perché, anche se non parlava, guardandola negli occhi ci ho visto la sensibilità che serve per fare questo mestiere.

Il film segna anche il ritorno sul set di Avati di Serena Grandi
Grandi: Per la seconda volta faccio la parte di una donna della famiglia di Pupi e lo ringrazio ancora. Sono molto scossa dal film che ho appena visto, molto emozionata. Vorrei ringraziare anche Antonio, perché è sempre sul set, non ti lascia mai solo.

E di Manuela Morabito
Morabito: Io me la gioco con Capolicchio, perché è già la sesta volta che lavoro con Pupi e Antonio e ogni volta è un'esperienza grandissima, prima umana che professionale, perché sono persone dai grandi valori, valori antichi.

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