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The Housemaid, il remake che tale non fu

Im Sang-soo rielabora il cult di Kim Ki-young con una forte impronta personale.
di Emanuele Sacchi

Lee Jung-Jae (Hoon), unico protagonista di The Housemaid, in una foto di scena del film diretto da Im Sang-soo.
Lee Jung-Jae (51 anni) 15 dicembre 1972, Seul (Corea del sud) - Sagittario. Interpreta Hoon nel film di Im Sang-soo The Housemaid.

giovedì 26 maggio 2011 - Approfondimenti

The Housemaid di Im Sang-soo, nonostante ciò che capita di leggere in mezzo a tanta cattiva informazione, c'entra nulla o quasi con l'omonimo film di Kim Ki-young. Prendendo spunto da uno dei titoli fondamentali della prima consistente ondata del cinema sudcoreano, Im ne offre una rielaborazione del tutto personale, imprimendo la sua (forte) impronta, destinata come sempre a dividere.
L'originale di Kim Ki-young era un sasso gettato nello stagno di una società assurdamente ancorata a vetuste abitudini e divisioni dei ruoli in seno al nucleo famigliare, dove l'irruzione del femminino rappresentava il turbamento, la fonte di scandalo ma insieme l'occasione per mettere (ancorché timidamente) in discussione lo status quo. Nel ribaltamento di prospettiva che intercorre tra le due opere è possibile leggere l'evoluzione della società e soprattutto dell'infinita guerra dei sessi, in atto oggi come ieri con diverse modalità. Al centro la figura della domestica, per definizione ambigua, per sua natura portatrice di disagio. “Colei che cucina il nostro cibo e veglia sui nostri bambini” - come dice Hoon, protagonista (e unico personaggio) maschile - è una figura che lavora nell'intimo, nel cuore del nucleo familiare, pur rimanendo un'estranea, appartenente a un'altra classe sociale e quindi potenzialmente – per ogni buon ricco borghese che si rispetti – fonte di pericolo (per Chabrol imbraccerebbe il fucile trasformando la quotidianità domestica de facto in lotta di classe). Perché questo fatto non impedisca a Hoon di avere una relazione con la sua domestica è presto spiegato dalla perfida suocera: a guidarlo sono i piaceri del proibito e della totale liceità. La sensazione di onnipotenza del bambino viziato: quel che voglio avrò, qualunque sia la conseguenza. Per Kim Ki-young – un'autentica istituzione per il giovane cinema coreano, recentemente Bong Joon-ho ha parlato di lui come del suo maestro indiscusso - la domestica era l'elemento perturbante della (falsa) unità familiare, l'effetto deflagrante dell'emancipazione femminile e della sensualità calate in un contesto ipocrita e maschilista. Il gesto di fumare reiterato all'inverosimile, l'ostentazione dei vestiti occidentali in contrapposizione con il tradizionale hanbok della padrona di casa erano il presagio nefasto dello stravolgimento dello status quo in favore di un innaturale ribaltamento di privilegi inviolabili. Per Im, ben più estremo e “consapevole”, l'analisi è ancor più amara e per certi versi opposta; non che non sia tangibile l'evoluzione della società, in termini di emancipazione e moralismo, ma in fondo è cambiato assai poco (e il contesto, apparentemente più “paritario”, è sostanzialmente solo più ipocrita). Quel che è certo è che l'elemento anarchico e socialmente altro ha ulteriormente perso potere, trasformandosi da temibile mina vagante a disperato agnello sacrificale. Resta solo l'eccesso di indulgenza nel grottesco, guidato forse dall'ambizione di mirare a Buñuel, a zavorrare il volo di Im Sang-soo, altrimenti forte di una maestria senza pari nella scelta delle immagini e nell'uso delle stesse come grimaldello sociale. La geniale contrapposizione moglie-camera vs. domestica-bagno nella stessa inquadratura o lo scrutare della macchina da presa, che cerca di racchiudere quanto più le è possibile degli interni della magione padronale per preparare il terreno a ciò che avverrà, sono solo esempi di una perizia che si accompagna allo stile, senza che quest'ultimo diventi una parolaccia.

Im Sang-soo: l'esagerazione come regola
Sconvolge già al suo debutto Im Sang-soo, aprendo le porte di un ripostiglio tenuto a lungo serrato con Girls' Night Out. Dopo decenni di figure di contorno, impossibilitate a sovvertire la sostanziale misoginia della società coreana, le donne si impossessano del proscenio per esibire senza pudore la propria femminilità. Sboccate e ubriache ma tremendamente libere, le protagoniste di Girls' Night Out sono una ventata di novità oltre che la prima scossa di Im alle fondamenta del cinema sudcoreano. Un aperitivo di ciò che avverrà con La moglie dell'avvocato e il suo inno strozzato alla trasgressione, ma soprattutto con la farsa del potere di The President's Last Bang. In egual misura amato e odiato, il film predilige da subito la funzione di pietra dello scandalo; ma è anche la maturazione dello stile di Sang-soo, in cui il grottesco si sbarazza dei limiti del buon gusto e del filmabile per prendere a schiaffi la storia recente della nazione. Denudare il privato del Presidente, spogliandolo di qualsiasi dignità e ritraendolo come un laido edonista, al di là della messinscena tragicomica del potere e della sua inevitabile parabola, significa anche sfidare con le armi dell'eccesso il recentissimo e ancor vivo rimosso del passato prossimo della repubblica. In fondo un'operazione simile al nostro Vogliamo i colonnelli, perché la farsa è l'unico registro adeguato per ritrarre regimi troppo ridicoli per essere presi sul serio e troppo tragici nella loro crudeltà per poter accettare (seriamente) che siano esistiti e accettati, in qualche modo, dal loro popolo. Solo apparentemente meno indigesto per i benpensanti il sottovalutato The Old Garden, uno scarto stilistico, con il suo incedere insolitamente malinconico e quasi intimista: ma i contenuti restano urticanti, in un sentito ritratto tra nostalgia e speranze infrante di una passione politica vissuta in un clima di intolleranza e tra mille sofferenze. Ma a livello formale nell'ambito della carriera di Im Sang-soo è solo una parentesi, prima del ritorno ai lussureggianti colori e alla messinscena sovraccarica delle scene di lotta di classe di The Housemaid.

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