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Il tribunale della Storia secondo Robert Redford

The Conspirator riscopre l'antica tradizione del pamphlet.
di Edoardo Becattini

Una scena del film The Conspirator di Robert Redford.
James McAvoy (James Andrew McAvoy) (45 anni) 21 aprile 1979, Glasgow (Gran Bretagna) - Toro. Interpreta Frederick Aiken nel film di Robert Redford The Conspirator.

martedì 21 giugno 2011 - Approfondimenti

Dalla storica rapacità narrata da Erich von Stroheim (Greed) fino alle Gangs of New York di Martin Scorsese, la radici insanguinate dell'America non sono mai state un terreno fertile su cui piantare i propri racconti. La scarsa visibilità ottenuta in patria da The Conspirator - storia del processo a Mary Surratt, presunta co-cospiratrice dell'assassinio di Abraham Lincoln – conferma una scarsa disposizione degli americani ad accogliere favorevolmente quelle ombre e quelle crepe che macchiano o deturpano il sentiero aureo della loro grande nazione. Anche se raccontata attraverso lo sguardo ostinato e gli alti ideali del giovane avvocato Fredrick Aiken, la pagina del processo sommario a Mary Surratt pone di fronte a una di quelle cesure, o meglio, di quelle falle che si presentano all'interno di ogni percorso storico di civiltà, con la differenza che il film di Robert Redford, uscito negli Stati Uniti giusto qualche settimana prima dell'“esecuzione” di Bin Laden, mette sotto una luce sinistra il meccanismo del capro espiatorio e le politiche avvelenate da un clima di odio e di paura. E, d'altra parte, porta avanti un percorso di lucidità critica che va riconosciuto come costante fra il giovane Redford attore e il vecchio Redford regista. Un percorso da icona liberal tramandato come presenza e incarnazione ad altri attori con ambizioni registiche come George Clooney o Sean Penn, ma del quale il Sundance Kid ormai settantenne continua a farsi fiero portavoce. Dal giovane cronista Bob Woodward che fece emergere il caso Watergate in Tutti gli uomini del presidente agli scandali dei telequiz truccati negli imperturbabili anni Cinquanta di Quiz Show, dall'ambizioso senatore Bill McKay de Il candidato fino alla metafora politica e militare dei Leoni per agnelli, la sua storia di divo liberal e democratico è costante e appassionata tanto dietro che davanti alla macchina da presa.

Il racconto liberal
Questa enorme fede nella cultura liberal-democratica americana si palesa tanto nelle tematiche dei suoi racconti quanto nell'intensità degli occhi dei suoi personaggi (sia che questi vengano interpretati da lui stesso, come il carismatico professor Malley di Leoni per agnelli, che da altri e più giovani simulacri, come il personaggio di James McAvoy in The Conspirator). L'idea di raccontare una pagina storica a partire dalla ricostruzione di un processo non è per Redford una novità, dal momento che era già al centro di Quiz Show, ma con The Conspirator si carica di maggiore importanza la centralità della passione più che l'obiettività del racconto, l'importanza civile e pedagogica dell'emblema e il tribunale della memoria storica contro la discutibile imparzialità della legge. Affascinato fin dal suo esordio come regista dai racconti della Gente comune, così come dalle leggende romantiche dal respiro letterario come La leggenda di Bagger Vance e L'uomo che sussurrava ai cavalli, Redford regista è in fondo tanto un po' irreprensibile e azzimato rappresentante upper class come il Paul di A piedi nudi nel parco o l'Hubbell di Come eravamo, quanto carismatico ed enfatico come Il grande Gatsby di Fitzgerald o Il temerario di George Roy Hill. Forse in questo riposa la grande differenza fra un attore-regista di temperamento liberal come Redford e uno di granitica tradizione repubblicana come Clint Eastwood: a fronte di un forte senso comune di appartenenza all'identità e alla mitopoiesi americana, laddove Eastwood crede nella giusta causa come espressione naturale dell'epica del racconto, come parte congenita di un Tutto di cui fanno parte tanto gli eroi solitari che la coscienza popolare; Redford mostra più fiducia nell'idea di pamphlet storico, in cui la buona retorica si esprime in funzione dell'impegno civile.
E forse per questo la sua America ha bisogno più di lezioni che di eroi.

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